Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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L'ispettore Donatoni ucciso dal fuoco amico? NON E' VERO - E' un errore giudiziario

Sono sicuro di aver scoperto che la decisione dei giudici di affermare che l'ispettore Donatoni venne ucciso da fuoco amico e non dai sequestratori, fu un errore giudiziario. Ecco la vicenda e i motivi del mio ragionato convincimento. (Aggiornato il 21-12-2012)

***

Il 17 giugno 1997 viene sequestrato a scopo di riscatto Giuseppe Soffiantini di Manerbio (BR); egli resterà prigioniero per 273 giorni nel sud della Toscana.
Nell’autunno 1997 viene stabilito un contatto per il pagamento del riscatto con la banda dei sequestratori. Dopo due tentativi andati a vuoto, viene fissato un terzo incontro. All’appuntamento della notte fra il 16 e il 17 ottobre 1997 a Riofreddo (Roma) si presentano i NOCS. Leggo in Internet che “i magistrati bresciani ordinarono alla polizia di organizzare un blitz per catturare i sequestratori”. Mi sembra strano che un giudice si sia assunto tale responsabilità, ma tutto è possibile; dice un antico proverbio ligure “che è facile fare il buliccio (= frocio) con il culo degli altri”.
Il blitz prevedeva il deposito di valigie senza soldi; i rapitori avrebbero lasciato un segnale luminoso sulla strada e là avrebbero dovuto essere depositate le valigie. I NOCS  avevano preparato le valigie con esplosivo (forse bombe flash) e  si sarebbero appostati per catturare, utilizzando la sorpresa dell’esplosione, chi si fosse presentato a raccoglierle, . Il luogo prescelto dai banditi sarebbe stato in una piazzola sulla strada all’incrocio della Statale 5 con la provinciale per Riofreddo. Il blitz era una pericolosa stupidaggine. Sono cose che funzionano solo quando il sequestratore è uno sfigato qualsiasi, ma non quando (come già si sapeva) si è di fronte ad una banda numerosa ed organizzata che non cade davvero in trappole bambinesche. Ma si sa che giudici e polizia sono sempre convinti di essere più intelligenti dei criminali! Inoltre l’operazione violava uno dei principi elementari della strategia che dice “mai affrontare il nemico dove ha il vantaggio del terreno”. È cosa ovvia che chi organizza il deposito del riscatto ha già studiato la zona, le vie di accesso e di fuga, le possibilità di osservazione, mentre la polizia doveva acquattarsi di corsa e al buio in un terreno ignoto.
Leggo dal sito della Polizia di Stato che: È la notte la migliore amica dei poliziotti del Nocs. Fedeli al loro motto "Silenziosi come la notte", i "commandos" si avvicinano all'obiettivo al segnale di assalto "go, go go". Le squadre operative, dopo una lunga e paziente pianificazione della missione, possono entrare in azione con una fulminea discesa dal mezzo per l'assalto d'urgenza o tramite un avvicinamento silenzioso. Molto poco in questo tipo di operazioni può essere lasciato al caso. Senza dubbio esistono procedure operative standard per lo svolgimento delle attività, ma in genere vengono eseguite in caso di emergenza, quando non si ha il tempo per organizzare un piano di intervento complessivo. Altrimenti si elaborano ogni volta tutti i dettagli dell'intervento, perché nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata la metodologia operativa di ogni missione non può essere replicata una seconda volta. Sembra che purtroppo nell’episodio in esame, la situazione di emergenza o direttive sbagliate li avessero costretti a lasciare tutto al caso.
È noto alle cronache che tutto il sequestro venne gestito da forze di polizia, giudici e servizi segreti in modo caotico e nebuloso (un generale dei Carabinieri verrà anche condannato per essersi intascato un miliardo di lire del riscatto) tanto che Soffiantini scriverà “Se uscirò vivo da questa esperienza citerò per danni e per causata mutilazione chi con irresponsabili atteggiamenti ha messo la mia vita in continuo pericolo di morte”. Come avviene per la cosiddetta “Sindrome di Stoccolma”, Soffiantini iniziava a pensare che doveva aver più paura dello Stato che dei rapitori! L’operazione di Riofreddo metteva chiaramente a rischio di uccisione l’ostaggio e se ciò non è avvenuto è stato solo perché l’ostaggio valeva troppo, non certo per la genialità dell’idea! Come si può pensare di affrontare dei banditi su di un terreno mai ispezionato prima? Come pensavano di illuminare la zona per inseguire i banditi? Solo con i razzi illuminanti? E non c’erano all’epoca gli elicotteri? E non esistevano già i visori notturni?
Ad ogni modo le valige vengono depositate, i NOCS si appostano alla bell’e meglio senza vedere dove (di certo non potevano usare torce che avrebbero tradito la loro presenza) e circa alle 21,15 succedeva l’irreparabile.
È opportuno tener presente che era già buio perché il sole era tramontato alle 18,22 (ora legale), e che quella sera vi era luna piena, già sorta alla 19, ma che si trovava ancora dietro le montagne e che quindi la visibilità doveva essere scarsa. Ed infatti banditi e NOCS si intravedono appena fra di loro; risulta anche che i NOCS comunicavano fra di loro con le radio e quindi, nel silenzio della sera, non doveva essere difficile per i banditi, appostati a 50-100 metri, sentirli. Un suono di 50 dB a 50 metri di distanza si riduce a circa 25 dB, superiore al rumore di fondo in aperta campagna, a ottobre.
I banditi, appena accortisi dell’agguato, iniziano a sparare (disponevano almeno di un Kalashnikov, abbandonato sul posto e usato per sparare a raffica e forse di una pistola cal. 9 para e di un’altra cal. 7,65) e ne nasce un conflitto a fuoco con i NOCS, muniti di pistole cal. 9 para e di uno o più fucili Galil SAR, arma prodotta praticamente per loro dalla Bernardelli, e che iniziano a sparare all’impazzata, pare anche con razzi e traccianti, per illuminare la zona; risulta che anche i banditi fossero in possesso di cartucce con palla tracciante, ma nessuno ha segnalato di aver visto tali tracce luminose, sebbene vi siano state..
L’ispettore Samuele Donatoni rimane ucciso nella sparatoria.
Il 20 ottobre quattro della banda vengono catturati, ma solo il 9 febbraio 1998 Soffiantini verrà liberato, dopo il pagamento del riscatto.
Il 9 febbraio 1998 Giuseppe Soffiantini viene liberato a Impruneta, vicino Firenze.
A fine giugno 1998, 18 persone vengono rinviate a giudizio; rimane fuori dal processo Giovanni Farina detenuto all’estero.
Il processo contro i detenuti a disposizione inizia l’11 dicembre 1998 e si chiuderà il 12 aprile 2000 con l’accertamento che ad uccidere Donatoni sono stati i componenti della banda recatisi a prelevare le valige, decisione confermata in appello il 20 aprile 2001 e poi in Cassazione.
L’11 dicembre 2002 si apre il processo a Farina Il bandito sardo, già condannato a 28 anni e sei mesi di reclusione per il sequestro di Giuseppe Soffiantini, è ora imputato per l’omicidio dell’ispettore Donatoni. Per l'omicidio dell’agente dei NOCS erano già stati condannati il latitante Attilio Cubeddu, Osvaldo Broccoli e Giorgio Sergio. 
La Corte d’Assise, che cerca di ricostruire l’accaduto in base alla testimonianze dei militari del NOCS, si perde in un mare di incertezze e dispone una nuova perizia balistica la quale giunge alla conclusione che Donatoni è stato ucciso con la pistola da uno dei suoi compagni e che il Kalashnikov non c’entra nulla!
La copia della sentenza del 9 novembre 2006 (confermata poi dalla Cassazione l’8 ottobre 2008) che assolve il Farina si può leggere qui:
http://nottecriminale.files.wordpress.com/2011/12/assisefarina141205.pdf

Per caso mi  capita di leggere in Internet del caso Donatoni e delle sorprendenti conclusioni della Corte di Assise che contrastavano le conclusioni di due ottimi periti come Torre e Benedetti e dei periti del PM; a leggere il nome del perito balistico incaricato, Antonio D’Arienzo, su cui il collegio ha basato l’inversione di rotta, a me, al modo di Manzoni, è venuta spontanea la domanda “D’Arienzo, chi è costui?”.
Ho controllato su Internet è ho scoperto che D’Arienzo è il cosiddetto tuttotologo “la cui competenza spazia dalla grafologia alla balistica, dalla dattiloscopia al falso nummario” (parole sue) e, più di tutto, alla trascrizione di intercettazioni telefoniche.
Io non dubito assolutamente delle capacità del D’Arienzo. I tuttologi sono quelle persone, spesso con studi sommari, che si ricavano la loro nicchia in un tribunale perché sono preziosi aiutanti dei giudici che non capiscono nulla di certe cose; su ogni problema gli danno il consiglio giusto, gli spiegano come stanno le cose pratiche, sono pronti a capire in quale direzione il giudice vuole orientare le indagini e di certo non lo contrariano. Sono tutti i giorni in tribunale, tutti li conoscono e per i giudici ciò basta per diventare un “perito famoso” in base ad uno dei principi base della psicologia per cui l’uomo tende a pensare che “se questa cosa la fanno gli altri vuol dire che è giusto fare così” (Cfr. Cialdini, Le armi della persuasione,1984). Inoltre i tuttologi, abituatisi a spiegare le cose a chi non ne capisce nulla (un po’ come le maestre della scuola elementare), senza mai essere contraddetti, acquistano quella sicumera che tanto piace ai giudici ansiosi perché dà loro sicurezza.
Ma la balistica è una scienza, non è una cosa artigianale; ormai tutti sanno, salvo i giudici italiani, che la balistica è cosa da scienziati con esperienza universitaria e specifica specializzaione, per cui se uno è specializzato in residui di sparo è meglio che si astenga dal dare responsi in materia di traumatologia balistica; ormai è divenuta una scienza multidisciplinare riservata a medici legali e scienziati balistici che abbiano approfondito la materia. È lo stesso fenomeno che si riscontra sempre nelle indagini sugli esplosivi (vedi caso Ustica): si può dare l’analisi dei materiali ad un premio Nobel della chimica, ma egli non potrà nulla dire di utile su di una esplosione, perché occorre conoscere anche la teoria e la pratica dell’impiego di esplosivi.
Chi volesse rendersi conto di come vengono gestite le scienze forensi nel resto d’Europa, lo invito a dare uno sguardo allo istituto di medicina legale di Friburgo
http://www.uniklinik-freiburg.de/rechtsmedizin/live/arbeitsbereiche-1/medizin.html
o quello dell’Università di Berna Istituto di medicina legale , in cui opera il famoso prof. Beat P. Kneubuehl, e allo staff di persone che fanno parte di questi organismi.
Se ci si allontana da questi livelli è più facile far “ballistica” che “balistica” !
È mai possibile che in Italia quando c’è da fare una perizia in un caso delicatissimo non si sappia fare di meglio che chiamare il factotum del proprio Tribunale?
Anch’io sono sempre stato un tuttologo, ho un’ottima biblioteca sulla medicina legale e le scienze forensi, ho scritto su argomenti vari senza prendere cantonate, ma con una differenza rispetto a tanti altri: ho sempre avuto il buon senso di non fare perizie perché una cosa è lo specialista e l’altra il tuttologo. Tutti possono fare i nani sulle spalle di giganti, ma guai a ritenersi dei giganti e guai a considerare un gigante chi non lo è! Si può finire per fare il nano sulle spalle di un nano ed ho l’impressione che a Roma scarseggino i giganti!
Per caso sono capitato su uno scritto di D’Arienzo in Internet
http://www.sulpm.net/sulpm/aggiornamenti_professionali/tecniche_di_ricerca_dei_residui_.htm (Sito che trovo chiuso nel 2020)
e sono rimasto basito: egli riesuma come metodo migliore per il prelievo dei residui di sparo quello del guanto di paraffina, screditato fin dal 1935! (Si veda James Smyth Wallace, Chemical Analysis of Firearms, Ammunition, and Gunshot Residue, 2008, pag. 106) e crede ancora che il problema di identificazione di un residuo di sparo sia legato all’accertamento della presenza di antimonio e bario mentre ormai è noto che queste sostanze sono troppo diffuse nell’ambiente per essere significative: occorre invece anche dimostrare che la particella ha le caratteristiche di una particella che si produce nelle condizioni di pressione e temperatura tipiche di un fenomeno esplosivo. E per fare ciò non basta davvero l’attivazione neutronica!

Ciò mi ha indotto a pensare che forse la perizia non era stata affidata a soggetti con un adeguato livello di competenze specifiche e ho approfondito la lettura della sentenza e delle perizie disposte dalla Corte di Assise. E sono rimasto basito del tutto!
La cosa che più colpisce è che le perizie sono state scritte senza neppure una indicazione bibliografica che supporti le affermazioni scientifiche fatte; sfido chiunque a trovare nella letteratura scientifica articoli o libri in cui si facciano affermazioni prive di dimostrazione sperimentale, prive del riscontro su studi altrui, basate solo sulle affermazioni del D’Arienzo di avere esperienze personali. Ma quante ferite da Kalashnikov avrà mai visto in vita sua, quante volte ha fatto esperimenti su blocchi di gelatina? Avrebbe potuto tranquillamente iniziare al sua perizia con le parole “In verità, in verità io vi dico...”!
E colpisce ancora di più che in Italia vi siano giudici che prendano per buone simili perizie, prive di qualsiasi rigore scientifico. Anche Einstein ha dovuto dimostrare le proprie teorie e queste sono state accettate solo quando si è raggiunta la prova della loro corrispondenza alla realtà.
Lo stesso dr. Capannesi nei suoi scritti reperibili in Internet inserisce ampie bibliografie: come mai non indica riferimenti scientifici nella sua perizia?
Sia chiara una cosa: io non so che cosa sia successo a Riofreddo e sarei temerario a fare affermazioni al riguardo perché non dispongo di tutte le carte processuali e perché ormai molti degli elementi di prova sono andati dispersi e perché non basta la teoria ma servono complesse prove sperimentali. Però l’applicazione delle regole logiche e delle “regole dell’arte” della scienza balistica, mi consentono di affermare che tutto il ragionamento contenuto nella sentenza è stato fondato su basi inconsistenti.

Il processo si è svolto nel seguente modo. Il Collegio ha iniziato ad interrogare in modo puntigliosissimo i poliziotti partecipanti alla sparatoria per scoprire che cosa era accaduto, dove ognuno si trovava, che cosa ognuno aveva fatto. Operazione questa ben poco sensata perché il giudice non può pensare che un’operazione del genere si svolga come una lite in un salotto. Fin dall’inizio era chiaro che era stata una operazione confusa, che nessuno sapeva esattamente dove si trovava perché sul luogo c’era arrivato al buio, che fra di loro vedevano solo ombre e non potevano essere certi a chi appartenessero, perché si spostavano spesso. Era altrettanto chiaro che dopo la sparatoria c’è stato solo il caos totale. Quindi ogni indicazione che i testimoni potevano dare, poteva essere solo una ricostruzione fatta a posteriori, come fa sempre il nostro cervello quando gli mancano dati diretti e immediati (lo aveva già scoperto Cesare Musatti, Elementi della psicologia delle testimonianza, 1931). Tra l’altro non mi risulta che a nessuno sia stato chiesto quali mezzi avessero per illuminare la zona prima dell’arrivo degli aiuti. Il collegio ha cercato di fare un sopralluogo per verificare la visibilità, ma poi ha desistito perché nel frattempo era stato piantato proprio lì un lampione (strano che con i potenti mezzi della giustizia non si potesse spegnerlo od oscurare o svitare una lampadina!).
Dalla lettura delle testimonianze e delle conversazioni radio risulta una tale confusione, da rendere chiaro che ogni ricostruzione è impossibile. E più o meno è quello che ha concluso il collegio, salvo un particolare: non ha attribuito l’impossibilità della ricostruzione al caos, ma alla volontà di tutti i cinque superstiti di far confusione per nascondere il fatto che ad uno di loro era scappato un colpo nella schiena al Donatoni.
A me personalmente (a cui è capitato come cacciatore di dover girare per i boschi al buio) sembra ben poco verosimile che in pochi minuti cinque persone che si trovano coinvolte nella “fessereria” possano decidere di cambiare le carte per nascondere una cosa che né loro né altri (salvo forse uno) potevano sapere come fosse successa. Vi immaginate delle persone che si mettono a spostare un cadavere per far quadrare la sua posizione con la traiettoria dei colpi sparati dai banditi e che essi di notte non potevano certo sapere bene dove fossero e quanti fossero? Ma questo era l’atroce sospetto che iniziò ad attanagliare il presidente del collegio, giudice Almerighi (a cui chiedo scusa, se per caso egli fosse più esperto di me di cose di polizia e militari; per quanto ne so, può benissimo aver fatto il militare fra gli incursori). E così il giudice dispone una superperizia che accerti se, come egli ormai crede, il Donatoni sia stato ucciso non da un colpo di Kalashnikov, ma da un colpo di Beretta 92. Ovvio che non intendendosi di balistica, nomini il D’Arienzo , che per lui è il luminare del Tribunale di Roma e che il D’Arienzo gli segnali il prof. Capannesi esperto in attivazione neutronica (ma non altrettanto esperto in indagini balistiche, visto che si occupa di cose ben più importanti).
Da questo momento perizie e sentenza saranno rivolte a interpretare in malam partem, contro i poliziotti, ogni particolare della vicenda, anche i più discutibili ed equivoci.

Prendiamo ad esempio il problema della direzione del colpo che ha ucciso il Donatoni. È pacifico per i periti che il proiettile è entrato nella coscia sinistra, ne è uscito, è penetrato nel torace, ha rotto due costole, ha fracassato due vertebre, l’aorta e infine se ne è uscito dalla spalla destra. Non vi è prova certa, ma solo l’opinione dei periti, che si sia trattato di un solo colpo. Se così è stato, è pacifico che un simile tramite è ipotizzabile solo se il Donatoni si trovava in una posizione scomposta dovuta al fatto che stava cercando di salvarsi dagli spari del bandito con il Kalashnikov, tanto più minacciosi se, come pare, i proiettili erano traccianti; può darsi che fosse accovacciato, può darsi che stesse facendo una capriola, può darsi che si fosse girato per buttarsi nella scarpata, può darsi che il colpo lo abbia sbilanciato all’indietro, ecc, ecc. Ma allora che senso ha mettersi a discutere sulla direzione del colpo? Forse che se avesse ricevuto un proiettile nella pianta del piede si sarebbe scavato per vedere se un bandito avesse sparato da sottoterra? Tutte le ipotesi sono possibili ed è una forzatura costruirci sopra delle conclusioni. Non è una cosa intellettualmente onesta che di fronte ad un qualsiasi dato concreto, ci si affanni a sostenere che Donatoni doveva per forza essere girato piuttosto verso destra che verso sinistra, o viceversa. Sulle ipotesi non poggiate su solidi fatti non si può costruire nulla; se si prendono tre circostanze dubbie e si sceglie per tre volte solo l’ipotesi che fa comodo, si può dimostrare anche che “Cristo è morto di freddo”, come si usa dire in Toscana. Si fanno ipotesi sui fatti certi, non ipotesi su altre ipotesi!

Inoltre meraviglia sempre come la gente pretenda disquisire su cose di cui non sa nulla. A me è capitato il caso di un bracconiere suicidatosi mentre era appostato in auto per uccidere un capriolo e con il motore acceso. Nessuno avrebbe mai potuto spiegare il perché del motore acceso se non avesse avuto la nozione specialistica, ben nota ai bracconieri, che il capriolo in quelle situazioni non scappa fino a che il motore è acceso, ma fugge non appena lo si spegne.
Il caso in esame, ad esempio, non può essere valutato appieno se non si conosce anche l’acustica dello sparo. Quando si spara un proiettile a velocità supersonica, come quello del Kalashnikov, il rumore del bang supersonico arriva all’orecchio prima del rumore dello sparo e, entro la distanza di 70 metri, il rumore dello sparo viene coperto. Ciò significa che quando i banditi hanno sparato, i poliziotti del NOCS hanno percepito uno sparo proveniente non dalla zona dei banditi, ma dal punto della traiettoria del proiettile più vicino a loro (si veda E. Mori, http://www.earmi.it/balistica/acustica.htm e K. Sellier, Schusswaffen und Schusswirkungen, 1982); ma sono nozioni contenute in molti libri di balistica esterna … per chi non arretra di fronte ad una formula matematica). In un caso sottopostomi, la persona, colpita dal proiettile da caccia sparato da 150 metri, era convinta di essersi sparata con la propria arma perché aveva sentito lo sparo su se stesso! Vale a dire che nella sparatoria i poliziotti hanno sentito i colpi come sparati vicinissimi a loro, come se gli sparatori (amici o nemici) fossero fra di loro.
È evidente che se si ignora questo aspetto della vicenda è assurdo chiedersi perché uno si sia girato a destra piuttosto che a sinistra o perché si sia buttato in salvo in una certa direzione. Ma perché, ad esempio, lo sparo può persino averlo sentito dietro di sé!
Mi direte: ma sicuramente il D’Arienzo queste cose le sapeva e quei libri li ha letti; è proprio lui a scrivereche ovviamente si è tenuto conto di quanto riportato in materia dalla letteratura specifica nel corso dell'espletamento degli accertamenti svolti, in quanto la ricerca bibliografica è parte integrante dei nostri strumenti di lavoro.
Tenuto conto un corno! Egli in sede di sopralluogo ha persino sparato dei colpi per vedere come si sentivano gli spari; vale a dire che lui del bang supersonico non ne ha mai sentito parlare. Non si tratta di tener conto, ma di dimostrare che ciò che si dice corrisponde allo stato dell’arte. Ma forse è uscito dalla scuola di quel perito romano (a cui si è abbeverata una intera generazione di sprovveduti che non erano in grado di leggere testi in inglese), che in suo libro scrisse che il soldati sul Carso sentivano il ta-pum dei proiettili dei moschetti austriaci perche questi esplodevano sopra la loro testa (in realtà sentivano, come tutti sanno fin dal 1915, prima il bang e poi il rumore dello sparo attutito e non è mai esistito un assurdo proiettile che esploda in aria come un bengala).

E sono assolutamente sorprendenti le affermazioni che si leggono in sentenza secondo cui un corpo non poteva rotolare perché vi era solo un “leggero pendio di 35°; ma 35° corrispondono ad una pendenza del 70% e quindi ad un ripidissimo pendio! Forse il giudice si è sbagliato ed ha confuso i gradi con la percentuale, ma anche una pendenza del 35% non affatto un leggero pendio; è una salita o discesa che uno si spaventa a farla in auto e prega che i freni reggano! Oppure l’affermazione che il corpo non poteva rotolare perché vi erano arbusti e che quindi il corpo si doveva scorgere per forza: ma a finire dietro ad un arbusto ci vuole ben poco; ma come pensa il giudice che si possa trovare al buio, in mezzo a ramaglie e arbusti un corpo rivestito da una tuta studiata per non essere appariscente e che di certo non aveva i catarifrangenti?
Purtroppo tutta la sentenza è scritta con questo stile, pronta a bersi ogni “responso” del suo perito ed a negare con argomentazioni puramente verbali ogni cosa che non quadri con ciò che ormai si è deciso essere la verità. Lo spirito della sentenza è fideistico, D’Arienzo è il profeta e perciò ogni critica è sbagliata e tutti i fatti che non quadrano con le sue affermazioni vanno scartati.

A me hanno sempre fatto sorridere perciò quei giudici o quei periti che si mettono a disquisire su ciò che essi avrebbero fatto in una certa situazione; gente che non ha mai litigato neanche con la moglie pretende di sapere come ci si comporta in una rissa; gente che non ha la patente, è abilissima nello spiegare che cosa si doveva fare per evitare un incidente; gente che non mai tagliato neppure l’insalata pretende di capire come si comporta un boscaiolo quando deve far cadere un albero di 30 metri o un contadino che guida un trattore su un ripido pendio, e così via. Molto giudici pensano che valga ancora il brocardo medievale secondo cui essi sono i superperiti rispetto ai periti (periti peritorum) e pensano che di fronte a due tesi contrapposte sono autorizzati a giudicare secondo il loro acume; solenne sciocchezza nel medioevo la scienza non c’era, perché nulla garantisce che il giudice abbia acume e perché il giudice può arrivare a percepire i vizi di ragionamento dei periti, ma non può capire se il perito usa metodi superati o se gli rifila scempiaggini che spaccia per verità; e non può inserire nel processo sue presunte cognizioni personali (o paranormali) per valutare i dati specialistici esposti in perizia. Le sentenze non escono ex capite Jovis, ma devono essere il risultato di una ragionamento scientifico basato su dati certi e non su opinioni. Si veda in proposito di metodo scientifico la splendida motivazione della sentenza in appello sul delitto di Via Poma  che ha messo a nudo le deficienze delle nozioni di certi pseudo esperti.

La perizia in atti ha cercato di dimostrare, attraverso l’analisi mediante attivazione neutronica, che i residui di sparo sulla vittima provano che essa è stata attinta da un proiettile sparato da vicino e che, in base alle lesioni cagionate non poteva trattarsi di un proiettile veloce come quello del Kalashnikov.
Prima di esaminare ciò che dice la perizia è importante vedere ciò che non dice! La perizia, nonostante le puntuali osservazioni dei periti del PM ha svicolato sul problema sollevato da questi: come poteva un proiettile calibro 9 mm para uscito da una Beretta provocare tutti i danni riscontrati sulla vittima? Qui pare proprio che qualcuno ha attivato i neutroni, ma altri non hanno attivato i neuroni!
Sentite come se la cava il D’Arienzo quando gli contestano che un proiettile 9 para non può aver avuto una penetrazione come quella accertata: Nel caso qui rappresentato (produce le foto di una perizia che ha fatto lui!) una pallottola calibro 9 mm Parabellum, sparata con una pistola Beretta 92FS, ha attraversato numerosi strati di ferro e di resina di un'autovettura, il corpo in diagonale di un giovane, attraversandogli la colonne vertebrale, poi ha raggiunto, attraversandolo, il sedile anteriore fino poi a bloccarsi contro la schiena del passeggero, che indossava un giaccone di pelle molto spesso.). Semplici sciocchezze di chi non sa che l’attraversamento di più strati sottili di lamiera è soggetto a regole molto particolari (si vedano
http://www.earmi.it/balistica/perforazione.htm e Kneubuehl, Geschosse. Vol. I, pag. 205) e che i proiettili seguono le leggi della fisica e non le leggende metropolitane degli armaioli della PS: in tutti i libri di balistica si può leggere che una palla cal, 9 para può perforare un metro di acqua, 25 cm di legno, 45 cm di osso, 60 cm di muscolo e di lì non si scappa. Le prove balistiche si fanno sui corpi animali o su blocchi di gelatina, non sui sedili della Panda!
Il problema della penetrazione di un proiettile nel corpo umano (ben simulato da blocchi di gelatina balistica) è stato studiato in centinaia di studi scientifici e non presenta più misteri. Si vedano fra tutti:
- Kneubuehl – Copuland – Rotschild, Wundballistik, 1992 (tradotto anche in inglese)
- Vincent Di Maio, Forensic Pathology, 2001
- K. Sellier, Schusswaffen und Schusswirkungen, Vol. I, 1969 (tradotto anche in inglese)
Questi studi hanno consentito di elaborare formule per calcolare la perdita di velocità di un proiettile nell’entrare ed attraversare un corpo umano; spesso questo tipo di calcolo è essenziale per determinare il tipo di arma o la distanza di sparo. Si veda una divulgazione di questi calcoli nel mio articolo
http://www.earmi.it/balistica/baltermi.htm
Cerchiamo perciò di calcolare quale fossero le possibilità di penetrazione nel corpo del Donatoni da parte di un proiettile cal. 9 Luger (o 9 Para, o 9x19), poco importa se sparato da una Beretta o da altra arma.
Questo proiettile ha un peso di 8 grammi e in una canna da 125 mm, quale quella della Beretta 92 F, raggiunge una velocità sicuramente non superiore ai 350 ms (in pistole con canna da 185 mm. si registrano valori di 320-340 ms , a seconda della cartuccia). Per essere più realisti del re ed evitare sciocche contestazioni, diciamo pure che esso aveva i teorici 380 ms indicati dal produttore. Il D’Arienzo dice che il proiettile pesava 7,5 gr e aveva la velocità di 400 ms, ma non si comprende ove ha preso questi dati che dice “tabellati” (dove?) probabilmente dal produttore (quale?), dimenticandosi che sono dati riferiti ad una canna da 200 mm. e non di 125 mm, il che comporta una perdita di ben 55 ms, La differenza è comunque irrilevante ai nostri fini e (mi voglio rovinare!) prenderò per buoni i valori del D’Arienzo.
Il Donatoni era alto m 1,90 ed aveva un fisico atletico di 94 chili. Ciò significa (secondo le proporzioni dell’Uomo di Leonardo) che il torace, dall’ombelico alla spalla, era lungo circa 50 cm e altrettanto era lo spazio dal fianco sinistro alla spalla destra.
Ma non era nudo, egli era rivestito da una robusta tuta da combattimento che assorbe una notevole energia (e quindi velocità) del proiettile. Senz’altro avrà avuto anche una maglia o una camicia.
I primi studi sull’influsso di abiti nel ridurre la velocità di un proiettile sono stati fatti sulla tuta invernale da combattimento americana formata da sei strati di tessuto e si è visto che il proiettile 9 Luger perde nell’attraversamento ben 100 ms (K. Sellier, Schusswaffen und Schusswirkungen, vol. II, 1977 pag. 182). Altri studi si sono occupati dell’effetto dei tessuti più in generale. Si vedano
- http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1749-6632.1968.tb11973.x/abstract
- http://oai.dtic.mil/oai/oai?verb=getRecord&metadataPrefix=html&identifier=ADA089445
- http://www.dtic.mil/ndia/2005garm/tuesday/hudgins.pdf
Da questi si ricava che con una tuta a solo due strati, la velocità che perde il proiettile nello attraversarla è, con la valutazione minima possibile, superiore a quella che si ha con l’attraversamento della pelle. Nel caso Donatoni il proiettile perforò anche una tasca nel punto della cucitura cha da sola vale per due strati.
Secondo le formule ormai recepite da 40 anni dalla medicina legale e che D’Arienzo neppure prende in considerazione per discuterle, la cosiddetta velocità limite sulla cute della palla in esame è di 32 ms; ciò vuol dire che il proiettile perde 32 ms di velocità solo per vincere l’elasticità della cute, prima ancora di iniziare a perforarla. Si può affermare tranquillamente che si ha una perdita di altri 32 ms per la tuta, ottenendo che il proiettile inizia a penetrare sotto la cute con una velocità pari a 400 – 32 – 32 = 336 ms.
Percorre poi 7 cm nella coscia perdendo circa 68 ms di velocità.
Nel caso Donatoni il proiettile ha perforato una seconda volta pelle+tuta per uscire dalla coscia ed ha perso altri 64 ms arrivando a 204 ms. Da quel punto ha proseguito fino a strisciare conto il giubbotto antiproiettile, che certamente non lo ha accelerato (ma mi voglio rovinare e non lo considero) e ha nuovamente bucato tuta+pelle per entrare nel torace; togliamo altri 64 ms e rimaniamo con 140 ms; la palla prosegue, spezza due costole e devia sulla colonna vertebrale urtandola due volte (non so calcolare la perdita di velocità e non ne parlo, ma trovo che la rottura di una costola comporta almeno 60 ms di perdita di velocità; cfr. Sigfried Hubner, Tecnica del tiro da difesa, 1991) e deve percorrere circa 40 cm per attraversare il torace da parte a parte. Il guaio è che con 140 ms può perforare solo 20 cm di tessuto molle; anche se fosse riuscita a perforare tutto il torace, mai avrebbe potuto perforare cute+pelle per uscirne.
Rifaciamo i calcoli trascurando la tuta
400 – 32    368 (foro nella cute della coscia)
368 – 68    300 (attraversamento coscia)
300 - 32     268 (uscita coscia)
268 – 32    236 (ingresso cute del torace)
236                   (perfora 30 cm e va a zero.
Manca la velocità sufficiente per bucare la pelle e la tuta sulla spalla. Ma, si ripete, non si può fare a meno a meno di considerare nel calcolo che quattro attraversamenti di tuta, per quanto assottigliata da risparmi e percentuali, almemno 120 ms li assorbono; inoltre, la rottura del giubbetto antiproiettile ricoperto da tessuto con fibre molto resistenti, la rottura di due costole, gli urti contro le vertebre, il passaggio per due volte di una camicia o di una maglia non possono non aver cagionato una perdita di velocità di almeno altri 150 metri al secondo.
La scienza dimostra perciò che un proiettile 9 para non avrebbe potuto cagionare il tramite accertato e sicuramente non avrebbe potuto uscire. Se il perito D’Arienzo vuol sostenere il contrario deve portare esperimenti e scritti scientifici, non chiacchiere.
Del resto sorprende proprio che abbia evitato di fare una qualsiasi prova pratica, molto semplice: bastava prendere un adatto contenitore e sistemarci dentro nell’ordine visto, pezzi di una tuta, pezzi di carne con cotenna di maialino, un pezzo con due costole, pezzi di carne senza cotenna per gli spessori intermedi, e poi spararci contro alcuni colpi con una Beretta e vedere fin dove arrivava il proiettile (ho trascurato le vertebre perché di forma troppo variabile).
Se invece si fanno i calcoli con il proiettile per Kalashnikov con diametro 7,8 mm, peso 7,9 grammi e velocità 700 ms si ha che esso, se avesse punta arrotondata, potrebbe perforare fino a 95 cm di tessuti molli e il calcolo ci può stare. Il proiettile è però più appuntito del proiettile per pistola per il quale sono state elaborate le formule; ma il fatto fosse di tipo tracciante comporta una certa diminuzione nella penetrazione e perciò si ritorna ai valori adottati.

Non è che il perito D’Arienzo, sia incapace, anzi ciò che rientra nelle sue possibilità lo ha fatto con diligenza; il problema è che pretende di poter ignorare completamente la letteratura balistica. Però non bastano tre colpi di pistola su un pezzo di maiale per fare affermazioni di tipo generale su quell’arma o quella pallottola (esilarante il fatto che gli esperimenti sul maiale siano rimasti a metà perché non riuscivano a colpire il pezzo di carne!). Come può permettersi un perito che ha sparato tre colpi con un Kalashnikov di pensare di saperne quanto gli esperti dell’esercito russo?

Sconvolgente è poi il modo con cui periti e sentenza hanno affrontato il problema dei frammenti verdi rinvenuti e che il prof. Torre rilevò immediatamente, comprendendone appieno l'importanza risolutiva, nel corso della sua perizia attorno al foro di ingresso del proiettile.

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Riportiamo, per rendere ancora meglio il senso di incredulo stupore che mi ha accompagnato (e che ha accompagnato il fisico dr. Felice Nunziata, che mi ha aiutato nelle valutazioni scientifiche) sin dall’inizio della lettura degli atti, le fotografie ingrandite e particolareggiate che rappresentano ictu oculi il principale ed indiscutibile indizio di natura balistico – forense relativo al caso in esame: è evidente al più ottuso degli operatori che se un proiettile è verde (cosa piuttosto rara) e sulla ferita vi sono tracce di materia verde, se si dimostra che la materia sulla ferita è la stesa che è sul proiettile, resta ben poco su cui discutere!

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La dettagliatissima serie di analisi SEM-EDX messa in campo permise al prof. Torre di  rapportare alla munizione tracciante IK 87 tutte le evidenze balistiche rinvenute sul foro d’ingresso presente sulla tuta all`altezza della coscia sinistra, sul foro d’ingresso presente sulla tasca sinistra del giubbotto tattico, sul guanto di vinile contenuto nella stessa tasca.
Infatti, partendo dal dato analitico del Prof. Torre e riportandolo sinotticamente in modo da associare tutte le sedi e/o gli oggetti analizzati in funzione dei risultati analitici e a questi ultimi collegare le sedi e/o gli oggetti di nota provenienza si ha l`incontrovertibile conferma dell`assunto circa la natura del proiettile che attinse l`Isp. Donatoni.

 

Sede e/o oggetto analizzato

Risultati microanalisi SEM

Sede e/o oggetto di provenienza

 

Tracce di vernice verde attorno al foro sulla tuta corrispondente alla ferita postero-inferiore alla coscia sinistra

piombo, titanio, cromo

Vernice verde munizione tracciante IK 87

 

Cinque minuti frammenti metallici (schegge) in corrispondenza di foro alla tasca anteriore sinistra del giubbotto tattico

rame e zinco
tracce di antimonio e stagno bario  stronzio potassio titanio

- Camiciatura proiettile IK 87
- innesco IK 87
- miscela tracciante IK 87
- vernice verde  munizione IK 87

 

Guanto in vinile rinvenuto nella tasca sinistra del giubbotto tattico

bario,  stronzio e potassio,  piombo, titanio, cromo

Miscela tracciante IK 87 ottenuta dai proiettili IK 87 esplosi in occasione degli spari di prova

 

Vernice prelevata da proiettile IK 87 inesploso

Piombo, titanio e cromo

Tracce di vernice verde sul foro presente sulla tuta (coscia sinistra)

 

Vernice prelevata da proiettile IK 87 inesploso

mercurio, antimonio e stagno

Schegge rinvenute in corrispondenza del foro alla tasca sinistra del giubbotto tattico

 

Residui di materiale tracciante prelevati dal fondo di proiettile IK 87 esploso

bario, stronzio, magnesio e potassio

Guanto in vinile con aree di fusione (tasca sinistra del giubbotto tattico) e scheggia metallica (foro alla tasca sinistra del giubbotto)

 

Guanti analoghi a quelli rinvenuti nella tasca sinistra del giubbotto tattico, posti in busta di carta ed utilizzati come bersaglio in spari di prova

bario, stronzio

NOTA: utilizzando IK 87 si sono manifestati sui guanti (anche con simulanti interposti) sia fenomeni di fusione che di ritenzione della vernice verde

 

Foro di ingresso di colpo sperimentale (IK 87)

piombo, titanio e cromo

Tuta, in corrispondenza del foro posteriore alla coscia sinistra, e sul guanto contenuto nella tasca del giubbotto tattico.

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Quindi, e mi ripeto: il perito prof. Torre ha trovato sul corpo della vittima frammenti che sicuramente provengono da un particolarissimo proiettile tracciante per Kalashnikov, frammenti che sono sul foro d’entrata del proiettile letale e che pertanto possono essere stati lasciati  solo da esso e quindi, con metodo scientifico ineccepibile e incontrovertibile accerta, in termini di certezza scientifica, che il proiettile letale era stato sparato da un  Kalshnikov.
Il perito Capannesi rifà le analisi e conferma che quelle condotte dal professore Torre erano corrette e che quindi i frammenti provengono da un proiettile per Kalashnikov.
Il perito d’Arienzo spara tre colpi su di un filetto di maiale e non trova frammenti (ma perché non ci ha messo sopra un pezzo di tuta?). Il perito Capannesi gli crede sulla parola e lascia perdere il problema del frammenti verdi!
Orbene ecco quindi come conclude il perito D’Arienzo con la sua personalissima logica: In relazione alle analisi effettuate e ai risultati ottenuti in questa perizia, tali particelle (frammenti metallici e di vernice) sono da giudicarsi DEL TUTTO ESTRANEE all’evento che ha causato la morte dell’ispettore dei NOCS Samuele Donatoni.
Cioè, se non avete capito bene, il suo modo di concludere è il seguente: siccome il giudice è convinto che il proiettile sia stato sparato dal fuoco amico, siccome in base alle testimonianze non riesco a capire che cosa sia successo, siccome è impossibile che i Nocs non abbiano fatto cose sporche, allora vuol dire che per motivi ignoti i frammenti verdi non c’entrano nulla!
E allora da dove vengono? Che ci fossero degli elfi verdi sul luogo della sparatoria? Si è chiesto, ad esempio, se essi non si possono essere staccati per attrito sulla tuta o sul giubbetto tattico? O forse a Riofreddo c’era un agente del KGB che spargeva frammenti per incastrare i banditi? Mi viene in mente quel personaggio del Manzoni che aveva dimostrato che la peste non poteva esistere e ... morì di peste! Ogni forma di ragionamento logico impone di ritenere che se vi sono dei frammenti che corrispondono ad un certo proiettile, essi derivano dal proiettile fino a che non si dimostra il contrario; ma non si può liquidare la questione dicendo che in passato i frammenti non si erano mai staccati!

Resta incomprensibile come una corte di assise abbia accettato delle incongruenze logiche così macroscopiche e si sia messe le fette di prosciutto su occhi ed orecchie per non sentire e vedere le ragioni del PM e della parte civile e per accettare certe assurdità logiche.

La questione del proiettile omicida non finisce qui perché il perito, il quale sa benissimo che le sue affermazioni sulla lesività del 9 para fanno acqua, si affanna a sostenere la tesi che un proiettile di Kalshnikov nello attraversare la coscia, quasi sottocute, avrebbe avuto effetti distruttivi e non avrebbe causato solo un foro “pulito”. E in dibattimento, di fronte alle contestazioni, citerà tre opere di datati autori italiani che non hanno mai pubblicato nulla al di fuori dell’Italia e che hanno solo rimasticato un po’ di vecchie nozioni sulla lesività dei proiettili ad alta velocità in opere destinate a studenti. Ma qui non si trattava di far della teoria generale, ma di vedere quale sia il comportamento di un proiettile 7,62x39 nel primo tratto della penetrazione nei tessuti umani.
Io che sono “il nano sulle spalle dei giganti” e che non ho nessun dovere di essere informato, come ha invece ha un perito che giura di dire al verità e che quindi non può inventarsela, ho trovato in cinque minuti in Internet uno studio specifico:
Fackler e altri, Wounding Effects of the AK-47 Rifle in The American Journal of Forensic Medicine and Patology del 1990, in cui si accerta che questo proiettile (quello per il Kalashnikov) non crea alcun effetto cavitazionale e nessuna distruzione di tessuti nei primi 6-12 cm di penetrazione e che può iniziare a capovolgersi solo dopo 25 cm, e che in molti casi produce un tramite del tutto normale quale quello di un proiettile camiciato per pistola.
Gli stessi risultati sono stati ottenuti più di recente (2001-2005) dal croato Korac Zelimir, Military Medicine, Terminal ballistics of the Russian AK 74 assault rifle,il quale scrive
Russian AK 74 assault rifle bullets (5.45 x 39 mm) were not found to deform or fragment in tissue simulant (gelatin blocks). These missiles are unstable and unpredictable with regard to the direction of the bullet path through the tissue simulant and the beginning of significant yaw. Gelatin disruption in the initial 8 to 11 cm of the bullet path is minimal.NB: Il 5,45 x 39 con velocità di ben 900 ms, è considerato più lesivo del 7,62 x 39.
http://gunwebsites.com/News.php?action=detail&g=news1100000574&swg=true
Egli è medico, conosce molto bene le ferite da AK-47, per loro arma d’ordinanza, ed ha scritto decine di articoli scientifici.
Gli studi del Fackler sono stati considerati fondamentali in tutto il mondo per correggere leggende metropolitane come quelle in cui crede il D’Arienzo il quale, posto di fronte al testo citato “ha fatto spallucce”. Lui riconosce solo gli Autori romani che parlano di altre cose, datate alla guerra del Vietnam e relative al fucile americano!

Abbiamo così stabilito che in base alla teoria scientifica corrente, il colpo non può essere stato sparato da una Beretta calibro 9 para; e ribadiamo che, come Galileo ci ha insegnato da qualche secolo, ogni affermazione basata sulla teoria deve trovare conferma con esperimenti pratici relativi al caso concreato a cui si intende applicare la teoria.
Si tratta ora di vedere  se quanto stabilito sopra sia in insanabile contrasto con gli accertamenti fatti dal dr. Capannesi secondo il quale l’analisi mediante attivazione neutronica sui residui di sparo dimostra che il colpo è stato sparato da vicino.
Per valutare la perizia del dr. Capannesi, sicuramente ottimo esperto di attivazione di neutroni, come dimostrano i suoi scritti pubblicati in Internet e che mi sono letto, occorre tener presente che egli non è esperto di armi e munizioni e che per esse si basa sull’apporto culturale di altri i quali, io sospetto non sempre hanno adeguate conoscenze.
Prendiamo a esempio il suo scritto Bullet Identification: A Case of a Fatal Hunting Accident Resolved by Comparison of Lead Shot Using Instrumental Neutron Activation Analysis in Journal of Forensic Sciences, JFSCA, Vol. 37, No. 2, March 1992, pp. 657-662 in cui si dovevano analizzare dei pallettoni da 8,5 mm con analoghi pallettoni trovati in casa di un sospettato. L’esperto di munizioni che lo aiuta gli dice che si tratta di pallettoni camiciati con nichel (nickel-jacketed shot), quando è noto che i pallini nichelati non sono rivestiti da un guscio di nichel, ma sono solamente ricoperti da una specie di polvere di nickel (in inglese nickel-plated, da non confondere con il Nichel shot che sono palline di nichel per usi industriali). Io non lo, perché in questa materia non sono neppure un nano, ma mi pare che ai fini di una analisi debba essere una differenza da non ignorare.
In un altro suo scritto, Determination of firing distance and firing angle by neutron activation analysis in a case involving gunshot wounds in Forensic Science International, vol. 61, ottobre 1993, pag, 75-84 ha studiato la traiettoria di pallini determinando distanza di sparo e angolo di tiro. Non capisco, per miei limiti culturali, come dai residui di sparo o di piombo si possa risalire all’angolo di tiro; se il colpo è di striscio si potrà forse stabilire l’angolo di impatto sul bersaglio, che nulla ha a che vedere con l’angolo di tiro, salvo che si spari ad una colonna. Ma poi, quando si tratta di pallini non si può ignorare che la rosata è composta da uno sciame di pallini che non si muovono in modo rettilineo; è accertato che un pallino che dopo 10 metri si trova tutto a sinistra, dopo altri 20 metri si può trovare tutto a destra; è anche noto che a 30 metri lo sciame ha un diametro di circa 120 cm il che significa che i pallini più esterni possono deviare dalla linea di tiro di uno o due gradi (Cfr. W. Lampel, Jagdballistik, 1971, pag.227 e segg.). Inoltre se la distanza di tiro è talmente modesta da recuperare residui di sparo, basta il tramite dei pallini per stabilire la traiettoria di impatto. Anche in questo caso mi pare che sia mancato il  supporto di un esperto di armi da caccia. Non risulta neppure che egli abbia tenuto conto che i pallini possono essere sparati entro un bicchierino di plastica che si apre solo a qualche metro dall’arma, nel qual caso tutta la teoria sulla distribuzione dei residui di sparo va a farsi benedire.
Però, per non commettere lo stesso errore, mi affido ad un collega del dr, Capannesi che ne capisce molto di attivazione neutronica e di residui di sparo e che mi conferma come le perizia si presti a considerazioni critiche che qui riporto.


Dr. Felice Nunziata
Considerazioni sulla Perizia ed al Supplemento Capannesi et al.

Ovviamente appare pleonastico battezzare il protocollo del dr. Capannesi quantomeno aspecifico per quanto riguarda i residui dello sparo, poiché, venendo meno l’acquisizione del dato morfologico, elementale, metrico e di mappatura X delle particelle residuali, i dati ponderali prodotti dal dr. Capannese non possono essere associati biunivocamente ad un innesco ma possono essere frutto di qualsiasi altra fonte.
A pag. 3 non si identificano merceologicamente le munizioni fornite al dr. Capannesi dal D’Arienzo: infatti, queste ultime sarebbero dovute essere della stessa tipologia di quelle reliquate sul luogo dell’evento delittuoso a causa del fatto che a munizioni di differente manifattura si associano composizioni elementali differenti.
A pag. 6 si afferma che gli elementi determinati in relazione alla caratterizzazione dei proiettili sono:
As, Ag, Au, Ni, Co, Fe, Sb, Cd, Cr, Se, Hg.
In TABELLA 1 si riportano invece:
As, Ag, Au, Ni, Co, Cu Fe, Sb, Zn, Sn.
Un mero confronto è più che indicativo.
Infine, nel quarto foglio elettronico di TABELLA 1

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la composizione elementale della lega Cu-Zn relativa ai 7 proiettili viola ogni standard conosciuto per le blindature dei proiettili che ricordiamo essere, generalmente, CuZn 30 o CuZn 10. Da ciò deriva un’ulteriore prova dell’inaccuratezza del protocollo messo in atto.
A pag. 8 si afferma che le munizioni (quali??) per Galil sono prive di antimonio e che quest’ultimo viene sostituito dal rame. È un dato chimico che si affaccia all’improvviso, attraverso la redazione di questa Perizia, nella Letteratura dei composti innescanti per munizioni.
A pag. 8 non si evidenzia il criterio, qualora mai fosse esistito, della pulizia delle armi dopo ogni sparo allo scopo di non inquinare le armi stesse alla successiva esplosione con residui della precedente munizione: infatti, è noto dalla Letteratura che anche il lavaggio di un’arma in un bagno ad ultrasuoni non pulisce un’arma del tutto. Non si comprende neanche se per ogni calibro siano state fatte più misure ossia quanti bossoli innescati, dello stesso calibro e della stessa tipologia, siano stati esplosi ai fini del prelievo: ne discende che non è dato comprendere se i valori ponderali espressi siano frutto di una ripartizione statistica di diversi campioni o se siano ascrivibili ad un solo bossolo esploso per calibro.
Non appare alcun riscontro con dati merceologici o di Letteratura relativamente alle quantità ponderali espresse ossia ci si chiede è possibile ascrivere un particolare innesco ai valori riportati nella TABELLA 1?
Inoltre perché il dr. Capannesi non ha preso in considerazione il caso di particelle presenti sulla superficie esterna di munizioni recentemente acquistate e non ancora impiegate: infatti, è ben noto che fabbricanti di munizioni ed armi testino i loro prodotti, per cui dei GSR possono ritrovarsi nei locali pertinenti alle manifatture. Una ricerca volta a fare luce su quest’aspetto ha portato a risultati di positività che, relativamente al caso di specie, possono evidenziarsi a titolo d’esempio per munizioni mai adoperate di marca GECO: infatti, sono state ritrovate nel caso di una munizione cal. 32 S&W  numerose particelle di Pb/Sb e poche di Pb, quasi tutte sferoidali e contenenti Sn, Ti Ca, Cu, Fe, S e Si, mentre nel caso di una munizione cal. 38 S&W particelle di varia morfologia costituite essenzialmente di Pb in aggiunta Sn, Ti, S e Si. Entrambe le munizioni avevano proiettile di tipo a piombo nudo, ma questa circostanza, sempre dalla Letteratura di settore, non rappresenta un causa dell’aumento dell’antimonio nei residui, anche in munizioni a piombo nudo e con innesco privo di antimonio!!!!
Relativamente alla presenza di Sn (stagno) nei GSR essa è un’indicazione della presenza di Hg (mercurio) nell’innesco poiché tale componente residuale è originata dal sottile foglio discoidale usato per sigillare le composizioni a base di fulminato di mercurio. Inoltre inneschi che contengono mercurio qualora attivati potrebbero non produrre particelle residuali contenenti mercurio: possibili ragioni per questo, atipico, comportamento potrebbero attribuirsi, secondo quanto rappresentato nella Letteratura, o alla volatilità dello stesso e dei suoi composti o alla decomposizione del fulminato di mercurio o di una parte di esso a causa dell’amalgama che lo stesso sviluppa con lo zinco costituente il corpo dell’innesco o con lo zinco contenuto nella struttura del bossolo. Una grande parte del mercurio si ritrova presente sottoforma di particolato grossolano che è molto improbabile che si depositi sullo sparatore, figuriamoci sulla vittima. In pratica solo una piccola porzione potrebbe depositarsi sullo sparatore, il resto si disperderà in tutte le direzioni.
A titolo d’esempio si riporta quanto osservato esplodendo munizioni cal. 9 mm in una pistola CZ 85: si apprezzi l’area molto vasta e le isolinee rappresentanti la concentrazione dei residui dello sparo.

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Inoltre, data la bassa percentuale di particelle residuali dello sparo contenenti mercurio, non ci si può sorprendere che pochissime particelle siano rilevate nella realtà.
A titolo d’esempio, giusto per illustrare la disuniformità anche interna alla stessa manifattura, le munizioni in dotazione alle FF.OO e FF.AA. nazionali sono anche prodotte dalla GIULIO FIOCCHI LECCO che pochi anni fa ha assunto anche la proprietà della manifattura di munizioni NIKE (Ungheria), tant’è che la nuova denominazione della Società è NIKE FIOCCHI LTD. (Fúzfzögyártelep - Hungary). È notorio che le manifatture dell’Europa dell’Est hanno sempre prodotto gli inneschi delle munizioni a base di fulminato di mercurio, per cui non è possibile escludere che stanti le tecnologie di produzione italo - ungheresi si abbiano lotti d’inneschi provenienti dalla NIKE FIOCCHI LTD costituiti da:

  1. composti contenenti mercurio (da quanto argomentato poco o nulla rilevabile) e capsule sigillate con strati sottili di stagno;
  2. composti di Pb/Sb/Ba e capsule sigillate con strati sottili di stagno;
  3. composti misti e capsule sigillate con strati sottili di stagno.

Dal punto di vista esclusivamente merceologico, possiamo sintetizzare che:

ELEMENTO CHIMICO
PROVENIENZA
Pb
innesco e/o proiettile
Sb
innesco e/o proiettile
Ba
innesco o propellente
Hg
presente ma difficilmente rilevabile
Sn
innesco/proiettile/propellente

Infatti i residui originati non sono necessariamente prodotti dall’innesco di una munizione ma possono contenere sostanze presenti nel propellente, nella base esposta e/o nei composti speciali del fondello del proiettile, nel materiale della capsula d’innesco, nel bossolo, nei materiali impermeabilizzanti, in eventuali impurezze ecc. Si riportano a titolo d’esempio le risultanze sperimentali espresse a pag. 195 e pag. 198  del manuale Chemical Analysis of Firearms, Ammunition, and Gunshot Residue (International Forensic Science and Investigation) by James Smyth Wallace  (CRC PRESS)  degli inneschi della munizione

 

9 mm P, MEN-83-25

Pb/Ba/Sb (Al, Ca, Cu, Fe, K, Si, Sn, Zn)

La manifattura che produce la munizione di cui sopra, Metallwerk Elisenhütte GmbH Elisenhütte Nassau/Lahn (Germania), fornisce inneschi che possono essere messi in relazione con quelli oggetto d’indagine data la presenza di elementi minoritari comuni.  Vale la pena di sottolineare che la Metallwerk Elisenhütte GmbH Elisenhütte  produce munizionamento destinato alle FF.OO. (POLICE LINE) e FF.AA. (MILITARY LINE – TACTICAL LINE) come si può facilmente rilevare dal sito aziendale.
Si potrebbero portare decine e decine di questi esempi, basati solo sulla presenza  meno di elementi chimici come quelli analizzati in TABELLA 1.
Un’altra importante considerazione tiene conto di un criterio chemiometrico: se una munizione possiede una miscela innescante i cui costituenti siano composti di Pb, Ba, Sb, Sn allora le uniche particelle di cui tenere conto sono quelle costituite da Pb/Ba/Sb/Sn, Pb/Sb/Sn, Pb,/Ba/Sn, Ba/Sb/Sn. Ne consegue che particelle costitute singolarmente da Pb o Ba o Sb o Sn sono classificabili come d’origine indeterminata.
Bisogna porsi ora la domanda: in che rapporto numerico sono le particelle ternarie (che possono godere della proprietà di rappresentarsi come caratteristiche - non univoche - di un residuo dello sparo) con quelle binarie (che sono solo compatibili con un residuo dello sparo)?
Ossia quali sono i rapporti medi tra il numero di particelle caratteristiche (sottolineiamo non univoche!) dello sparo ed il numero di quelle compatibili ogni qual volta avviene uno sparo?
Naturalmente una pura analisi statistica comporta che il minimo numero di particelle che costituiscono un risultato associabile ad un residuo dello sparo sono in misura minore di quelle che vanno a formarsi come compatibili.
Se ad esempio il proiettile è del tipo jacketed hollow-point il rapporto tra le particelle caratteristiche e quelle compatibili potrebbe essere anche in ragione di 1 a 10.
Quindi si deduce che se vi sono sullo stub due particelle caratteristiche dello sparo allora ve ne dovrebbero essere compatibili quantomeno 20
Inoltre se si aggiungono gli elementi minoritari allora il rapporto, naturalmente, varia poiché vanno rappresentate quelle associazioni particellari, computate mediante calcolo combinatorio e pesate in modo statistico, costituite con l’aggiunta dei predetti elementi.
Come è possibile che questo ragionamento chemiometrico non trovi riscontro con i rapporti ponderali di Ba/Sb osservati dal dr. Capannese e definiti inutili perché troppo variabili (cfr SUPPLERMENTO Capannese et al)?
Per quanto argomentato appare evidente come non sia scientificamente possibile caratterizzare le particelle rilevate, poiché il tempo trascorso fra l’episodio delittuoso e le operazioni di prelievo promiscuo, le dimensioni, il numero delle particelle, la loro morfologia e la loro composizione, non sono inequivocabilmente ed univocamente rappresentate.
In sintesi, dagli Atti di Perizia emerge, sopratutto, una serie di circostanze che impongono la massima cautela nell’interpretazione del dato analitico:

  1. non è possibile, escludere che non vi sia stato alcun  transfert;
  2. non è possibile associare in maniera assoluta il dato chimico ritrovato;
  3. non è possibile impiantare alcun criterio chemiometrico circa le valutazioni analitiche del caso di specie;

 Inoltre, non appare alcun accenno alla valutazione analitica del bianco di processo ossia del batuffolo di cotone e non si evidenziano le attività messe in campo per evitare l’inquinamento innocente dell’ambiente di sparo e quelle della raccolta dei campioni, stante il delicato scopo di evidenziare elementi in traccia.
A pag. 9 non trova alcun conforto nella Letteratura di settore la tesi della sostituzione dell’antimonio con il rame valutato addirittura in 700 microgrammi ossia 0,7 mg.
A pag. 11 se si confrontano i valori con quanto rappresentato in TABELLA 3 si nota che il valore i 0,02 microgrammi appare un refuso poiché esso dovrebbe essere 0,009 microgrammi ossia 9 nanogrammi di 122Sb, inoltre manca anche il conforto della copresenza del radionuclide 124Sb sempre associato nelle precedenti tre determinazioni.
A pag. 12 si riportano le sommarie descrizioni delle prove effettuate sui tessuti animali (blocchi di carne bovina). La carne bovina in che modo era stata condizionata per essere al massimo grado rappresentativa del corpo umano? È stata riscaldata? E stata reidratata con soluzione fisiologica? E per quanto tempo? È stata usata a temperatura ambiente? Era in equilibrio termico con l’ambiente l’intero blocco o solo la superficie?
A pag. 12 si rappresentano i lusinghieri dati ottenuti con la prova 7, correlabili a dire del dr. Capannesi con i dati analitici sulla cute della vittima: intanto va detto che dalla TABELLA 4 (prova 7) manca, nuovamente, il conforto della copresenza del radionuclide 124Sb sempre associato nelle tre determinazioni riportate in TABELLA 3 (cute vittima), inoltre, nel grafico 6 il coefficiente di correlazione R2 associato ai punti relativi alla prova 7 appare essere computato in 0,8841 ossia i dati rispetto all’andamento regressivo impostato indicano una differente bontà di correlazione, valore, invece, sempre maggiore di 0,98 sia sui dati della cute che su quelli della stoffa della vittima che sui dati degli spari di prova sulla stoffa.
Inoltre, prove di sparo effettuate secondo lo schema seguente su arti amputati


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hanno fatto ricostruire, mediante la Computed Tomography le seguenti lesioni nei fori d’ingresso, caratterizzate per ogni distanza dai residui dello sparo evidenziati in bianco:

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Fig 2 - 3D reconstruction of the gunshot wounds at different firing distances. Only particles of density higher than 1.000 HU are shown. FOR the 5 cm (a),15cm (b) and 23cm (c) distances the GRS was concentrated on the skin around the hole in the epidermis and dermis layers, and inside the cavity. For the 30 cm (d) and 40 cm (e) the GSR was deposited only on the skin surface. No GSR particles were detected in control specimen (f)

Se ne ricava che oltre i 40 cm, con una pistola 7,65 ACP in ambiente controllato e senza tessuti interposti, è difficile reperire residui dello sparo.
A pag. 14 sono spiegati gli accertamenti eseguiti sugli strati di tessuti asportati dal corpo della vittima. Non si comprende perché il reperto sia stato suddiviso in 5 strisce (alterandolo in maniera irreversibile: si era stati autorizzati a procedere in maniera irripetibile sul reperto?): infatti, appare strana anche l’ulteriore suddivisione che ha portato ad analizzare le metà dei fori (esterno, interno) in quanto i fotoni gamma hanno un’energia sufficiente per non essere assorbiti dal campione e quindi veicolare verso il rivelatore. Infine, non si comprende la discrasia tra i valori relativi ai campioni, topograficamente omologhi, sui fogli elettronici 2 e 3 della TABELLA 4.
A pag.16 si rappresenta il modus operandi sui frammenti di stoffa in repere e della stoffa della tuta usata per gli esperimenti. Ma non sarebbe stato il caso di caratterizzare i targets di prova rivestendo i blocchi di carne bovina con la tuta? Si è tenuto conto che la tuta della vittima poteva non essere a stretto contatto con la tuta sulla coscia? La maglietta intima della vittima si interponeva tra la tuta ed il foro d’ingresso sul torace e quello d’uscita sulla spalla? Si è tenuto conto della possibile ritenzione dei volumi pieni e di quelli vuoti?
Dal punto di vista forense quale grado di validità si deduce dal protocollo analitico se l’affermazione secondo cui le concentrazioni molto elevate di Sb in prossimità dell’angolo inferiore sinistro della tasca della tuta possono essere attribuite a due fattori (contaminazione interna della tasca versus distanza della bocca dell’arma molto più vicina rispetto al foro d’entrata al momento dello sparo) tra loro diversissimi? Ossia le due differenti ipotesi quale contributo positivo offrono alla ricostruzione della dinamica? Infatti, alla luce di ciò, attribuire a bossoli di cartucce esplose questa disuniformità non rende ragione, stante l’andamento del Sb lungo il perimetro esterno della tasca, dell’ipotesi (diventata tesi nel giro di una frase) della maggiore vicinanza alla bocca dell’arma al momento dello sparo.
Provoca, altresì, stupore la netta affermazione che il Kalashnikov ha una propagazione nettamente verso il settore destro alto (bocca dell’arma o vano d’espulsione dei bossoli?) dove proietta circa il 60% (da quale esperimento o dato di Letteratura si arguisce questo valore netto?) dei gas e del particolare dello sparo.
Stessa mancanza di riferimenti empirici o di Letteratura relativamente ai 360° di propagazione dei gas di sparo relativamente alla Beretta 9 parabellum.
In relazione alla distanza di sparo (addirittura fornita con la relativa indeterminazione ossia 50 cm ± 10 cm) si è preferito considerare gli esperimenti che garantivano un andamento esponenziale del dato il che vuole anche dire che si sono scartati quegli esperimenti che non fornivano dati in accordo all’ipotesi dei Periti.
Ovviamente le CONCLUSIONI, intrise di una propria specifica logica, non vengono commentate poiché in esse si argomenta solo traendo dagli esperimenti quanto utile per rendere autoconsistente lo scenario ipotizzato. 

A pagg. 4-5 del SUPPLEMENTO l’esclusione del Ba (costituente dei residui dello sparo) dalla valutazione dei risultati degli esperimenti (oltre che per i richiamati limiti intrinseci dell’INAA) a causa della variabilità del rapporto Ba/Sb, avrebbe dovuto essere meglio sottolineato nella rappresentazione che il Perito avrebbe dovuto sottoporre alla Corte, in relazione al grado di affidabilità del protocollo messo in opera.
A pagg. 5-6 del SUPPLEMENTO non si evince neanche l’apparato sperimentale messo in opera per misurare il decremento velocitario dell’aerosol di sparo alle varie distanze rappresentato in TAVOLA 1 mediante scala semilogaritmica. Restano, a fortiori, senza fondamento le argomentazioni relative all’influenza del vento.
A pag. 7 del SUPPLEMENTO quale magica proprietà adesiva giustifica l’intrappolamento e l’inglobamento delle nanoparticelle (rectius microparticelle stante l’ordine di grandezza dei residui dello sparo che difficilmente scende sotto il micrometro) nelle micro cavità dell’ogiva? Infatti, su quest’ultima si sviluppano tutti quegli effetti di frizione dell’aria in moto relativo ampiamente documentati nella Letteratura internazionale. Ovviamente una fotografia della superficie rugosa dei proiettili oltre i 100X non può essere posta a dimostrazione dell’assunto.
A pag. 9 del SUPPLEMENTO si evidenziano le composizioni elementali degli inneschi e appare compito arduo mettere in relazione questi risultati con composizioni merceologiche, soprattutto in relazione al valore di 700 microgrammi di rame: infatti, negli inneschi moderni il rame non è presente se non in tracce, ma la quantità ritrovata non rappresenta una traccia ma un elemento maggioritario della composizione dell’innesco. Analoghe perplessità per il valore di 12500 microgrammi, ossia 12,5 milligrammi di bario.
A pag. 13 del SUPPLEMENTO si rappresenta un valore di bianco relativo all’antimonio del giubbetto tattico, che ha scarsissima capacità di trattenere microparticelle di eventuale interesse per le ricerche (affermazione indimostrata) ma, altresì, non viene valutata la capacità del manufatto di cedere all’ambiente microparticelle di composti antimoniali.
A pagg. 16-17 del SUPPLEMENTO si rappresenta la prova sperimentale consistente nella rimozione di particelle dal tessuto della tuta attinto da un proiettile di Kalashnikov: i valori percentuali dovuti all’asportazione di tre distinte strisce di nastro adesivo perché non sono stati messi in relazione ad una spettrometria gamma e quindi ad una determinazione ponderale dell’antimonio residuale nel tessuto attinto dal proiettile? ossia se vale la congettura del dr. Capannese circa la ritenzione di particelle residuali dello sparo presenti sull’ogiva dei proiettili, quali sono i meccanismi di arricchimento o depauperamento dovuti all’interazione tra il proiettile sporco di antimonio (proveniente dai residui dello sparo) ed il tessuto contenente antimonio?
Per concludere, alla luce di quanto argomentato, ci si esime dal valutare l’applicazione della formula di Bayes poiché i dati ponderali ricavati dai reperti e quelli ricavati dalle prove sperimentali risultano frutto di differenti condizioni sperimentali ed al contorno non sufficientemente esplicitate nel corso della relazione: un algoritmo produce sempre un risultato che però è in ordine ai dati di partenza ed alla oggettività degli stessi.

***

Riassumo per chi non avesse capito bene: la perizia  Capannesi dimostra ben poco e invece di essere il punto di partenza per una nuova analisi dei fatti, finisce per essere solo il controcanto alle scoperte del perito D’Arienzo. Fatto normale quando si fa un utilizzo astratto della scienza. Un premio Nobel della chimica può fare l’analisi del formaggio e stabilire venti sostanze che  lo compongono, ma solo un esperto di formaggi gli potrà dire se un parmigiano reggiano o una sua imitazione!
La perizia D’Arienzo non dimostra assolutamente nulla e cerca di nascondere dietro a fanfaluche fatti certi e indefettibili: che solo un proiettile  per Kalashnikov poteva provocare le lesioni riscontrate, che solo un tal proiettile poteva lasciare i frammenti verdi rinvenuti sulla ferita di ingresso, che mai un proiettile cal. 9 para avrebbe potuto cagionare le lesioni riscontrate.

Se un qualche magistrato cercasse di capire le cause di errori così clamorosi, si potrebbe sperare forse in un passo avanti nelle scienze forensi.

11-11-2012

Appendice: 18 giugno 2013
Scopro solo ora un altro fatto incredibile e sconvolgente. Accanto al cadavere era stato rivenuto un proiettile di Kalashnikov di tipo tracciante, con buoni segni di rigatura e deformato dall’impatto e nel primo processo pacificamente riconosciuto come il proiettile che aveva ucciso l’Ispettore Donatoni.

donatoni

Ciò significa che nel caso in esame vi erano:
1) Tracce della vernice usata per colorare la punta delle cartucce traccianti russe rinvenute sulla ferita letale
2) Il proiettile tracciante di Kalshnikov, con le deformazioni che ci si aspettano dopo la penetrazione di un corpo umano, accanto al cadavere, come normale attendersi quando il tramite di attraversamento di corpo e tessuti è così lungo.
3) La sicurezza scientifica che un proiettile di cal. 9 para mai poteva attraversare gli spessori di tessuto e corporei come verificatosi sul corpo dell’Ispettore Donatoni.
Vale a dire che vi era la certezza probatoria che ad uccidere Donatoni era stato quel proiettile. Eppure a questi fatti certi è stato assegnato un valore nullo, si è svicolato su di essi, sono stati ignorati e si è preferito correre dietro alle farfalle  per dare consistenza ad una ipotesi assurda e sconclusionata. Oppure pensava il giudice che quella notte  gli agenti dei NOCS girassero con le tasche piene di proiettili di Kal. sparati contro corpi umani e con bustine di polvere verde grattata da cartucce russe per poterle spargere sul luogo del delitto? Ma allora perché non li ha accusati tutti di omicidio premeditato?
Mi dicono (ma spero che non sia vero) che ai due periti, per il capolavoro accusatorio a carico dei NONS siano stati liquidati 120.000 Euro. Sarebbe cosa veramente anomala; conosco famosi periti che per una perizia balistica del genere hanno dovuto lottare con le unghie ed i denti per farsi liquidare 10.000 euro.  Ma per 120.000 euro essi avrebbero anche potuto ricercare se per caso sul proiettile non ci fosse materiale organico umano o magari il DNA del Donatoni!

 

 

 

 


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