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Il nr. 12 indica i due stinchii, anteriore e posteriore
Lo stinco può essere cotto munito della sua cotenna oppure ripulito da essa. Per cotture allo spiedo è bene conservare la cotenna in modo che il grasso stesso naturale conservi la morbidezza della carne. Per consentire una buona cottura e la penetrazione dei sapori all’interno si usa incidere la cotenna in quadretti di circa 3 cm di lato.
I modi di cottura, trascurando fantasie di improvvisatori, sono solamente due: o al forno o allo spiedo.
Un po’ dappertutto si legge che lo stinco viene grigliato; bisogna intendersi perché vi sono vari tipi di grigliatura ed uno solo si presta per la per la cottura di uno stinco; non si può certo pensare di collocarlo sulla carbonella, creando delle belle strisce carbonizzate. Si può usare solamente un “grill a distanza” in cui lo stinco viene infilato sullo spiedo e fatto girare lentamente con il calore che gli arriva frontalmente da qualche decina di centimetri di distanza. Non si può cucinare con il calore al di sotto perché è necessario avere al di sotto una leccarda (o ghiotta) in cui raccogliere il grasso che cola per poi riversarlo sullo stinco; qualcuno, come per la porchetta, usa come pennello un rametto di rosmarino sperando di trasmetterne il profumo alla carne.
Il secondo modo di cottura è al forno come per qualunque arrosto.
Quindi in entrambi i casi si procede così: la cotenna viene incisa o tolta, si procede alla salatura esterna e ad aromatizzare con pepe e pimento, si unge e poi si inizia la cottura attorno ai 200°. Chi vuole, può preparare lo stinco qualche ora prima mettendolo in una marinatura con erbe aromatiche, spezie e vino bianco. Durante la cottura lo stinco va rigirato ogni 10-15 minuti, bagnato prima con vino bianco e poi con poco brodo, in modo che venga regolarmente inumidito da ogni lato. Occorrono dalle 2,5-3 ore per una cottura adeguata, che si ha quando si riesce a sfilare l’osso dalla carne senza bisogno di un coltello. Nell’ultimo quarto d’ora si deve spennellare lo stinco con vino bianco o birra in cui si sia sciolto appena di miele, in modo da creare una lucida glassatura.
Personalmente preferisco la cottura al forno perché consente di accostare alla carne erbe aromatiche come l’alloro, il rosmarino, la salvia, essenziali per completare il delizioso sapore della carne.
Lo stinco è un piatto abbondante e non richiede grande contorno: una bella insalata o qualche cucchiaiata di patate arrostite o di purea, qualche cetriolo in agrodolce.
Zuppa d'orzo (Gerstensuppe), ricetta dell'Alto Adige.
Prendere uno stinco affumicato e farlo bollire in acqua abbondante, senza sale, per almeno un'ora e mezza. Estrarlo dall'acqua pulirlo da cotenne e grasso e tagliare la carne a bocconcini. Se si usa uno stinco posteriore, metà di esso è sufficiente per fare la zuppa per cinque o sei persone, secondo le dosi indicate di seguito. L'acqua di bollitura dello stinco, va buttata. Ma si può abbondare!
Occorrono due etti di orzo perlato da far bollire in 2,5 l di brodo; in mancanza di brodo si usa acqua aggiungendo un dado e mezzo. Alcuni sciacquano l'orzo in acqua fredda prima di utilizzarlo.
Far rosolare in poco olio una piccola cipolla, sedano e carota.
Versare l'acqua fredda o tiepida e l'orzo, aggiungere il dado. Insaporire con una piccola foglia di alloro, due foglie di salvia, timo, due lamelle di fungo secco, pepe. Si possono inserire, secondo l'uso italico, alcuni pezzettini di crosta di parmigiano.
Far bollire lentamente per due ore con la pentola coperta in modo da impedire una eccessiva evaporazione. Se proprio necessario aggiungere poca acqua.
Dopo un'ora e tre quarti buttare nella pentola mezzo chilo di patate tagliate a dadi piuttosto piccoli. Mettere in pentola anche i bocconcini di carne.
Continuare la cottura fino a che le patate sono cotte. A questo punto aggiustare il sale, se necessario, e lasciar riposare la zuppa.
La zuppa d'orzo si conserva due o tre giorni e si può mangiare anche tiepida.
Riposando la zuppa si addensa e può essere necessario riportarla ad una consistenza "da minestra" con un bicchiere di acqua. È questione di gusti,
Una volta nel piatto, non guasta una spolverata di parmigiano.
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