Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
   
 

La custodia delle armi (A. Vicari)

Nell’articolo Bossoli usati di munizioni da guerra. Si ricambia!, abbiamo osservato che, pur in presenza di sentenze favorevoli, nessuno potrà sentirsi tranquillo, finché dovrà subire un processo per conoscere la legittimità di un comportamento risalente a diversi anni prima; così come nessuno potrà sentirsi tranquillo, finché la giurisprudenza sarà in continuo, repentino divenire.
Purtroppo tali considerazioni riguardano anche il dovere di custodia delle armi.
Infatti, la prima preoccupazione di chi subisce un furto in abitazione non è tanto del danno economico, quanto della valutazione che verrà fatta dall’autorità, che riceve la dovuta denuncia, in merito all’adozione, o meno, di ogni diligenza nella custodia delle armi sottratte.
Dobbiamo riconoscere che tale preoccupazione è ampiamente giustificata per la genericità della formula usata dal legislatore nell’art. 20 della L. n. 110/75, nonché nell’art. 20 bis.
Minor preoccupazione avranno i detentori qualificati, cioè chi esercita professionalmente attività in materia di armi, o è autorizzato alle collezioni, ai quali, in caso di furto, non potrà essere attribuita alcuna colpa, sempreché abbiano adottato e mantenuto efficienti difese antifurto secondo le modalità prescritte dalla autorità di pubblica sicurezza, come previsto dallo stesso art. 20.
Analogamente, potrà sentirsi più tranquillo chi abbia avuto un controllo amministrativo dell’Autorità di pubblica sicurezza e si sia adeguato alle eventuali misure cautelari impartite (art. 38 T.U.L.P.S.).
Nemmeno le integrazioni normative che si sono succedute nel tempo in materia di custodia sembrano aver risolto la problematica dell’indeterminatezza.
Infatti, con il D.L.vo n. 204/2010, è stata aggiunta una ulteriore prescrizione nell’art.38 del T.U.L.P.S., prevedendo che il detentore delle armi deve assicurare che il luogo di custodia offra adeguate garanzie di sicurezza, formula non meno generica di quella con ogni diligenza.
La Direttiva europea n. 853/2017 (art. 1, che ha introdotto l’art. 5 bis nella Direttiva 91/477/CEE) ha previsto in via generale che gli Stati membri stabiliscono norme in materia di adeguata sorveglianza delle armi da fuoco e delle munizioni e norme in materia di custodia e sicurezza. Le armi da fuoco e relative munizioni non devono essere facilmente accessibili contemporaneamente. La stessa Direttiva ha cercato di dare una spiegazione al concetto di adeguata sorveglianza, limitatamente al trasporto e porto, specificando che si ha adeguata sorveglianza quando la persona che detiene legalmente l’arma da fuoco o la munizione ne ha il controllo durante il suo trasporto e utilizzo. Il livello di controllo in relazione a tali modalità di conservazione adeguata è commisurato al numero e alla categoria delle armi da fuoco e delle munizioni. Comunque, è da evidenziare che il legislatore comunitario si è preoccupato di raccomandare agli Stati membri di definire i criteri per la custodia appropriata, tenendo conto del numero e della categoria delle armi da fuoco e delle munizioni. Le armi da fuoco e le munizioni dovrebbero essere custodite in modo sicuro quando non sono soggette a supervisione immediata. Se non sono custodite in una cassaforte, le armi da fuoco e le munizioni dovrebbero essere custodite separatamente (n. 13 considerando Dir. n. 853). 
Il D.L.vo n. 104/2018, con il quale è stata recepita la suddetta Direttiva, ha stabilito anche la custodia delle parti essenziali delle armi  rientranti nelle categorie A6, A7, A8, nonché l’obbligo per i collezionisti di queste ultime di comunicare all’autorità le misure adottate per far fronte ad eventuali rischi per la pubblica sicurezza e l’ordine pubblico, al fine di assicurare un livello di sicurezza proporzionato ai rischi associati a un accesso non autorizzato agli stessi (art. 12), introducendo la novità della custodia di parti e dimenticandosi di quella delle munizioni, quest’ultima già contemplata solo nell’art. 20 bis della L. n. 110/75, per evitare che cadano in mano a minorenni o incapaci.
Molto probabilmente si sarebbe potuto avere qualche criterio concreto di riferimento, ove fosse stato attuato quanto previsto dall’art. 5 del D.L. vo n. 204/2010, che avrebbe dovuto integrare l’art. 20 della L. n. 110, con uno o più decreti del Ministero dell’Interno, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del D.L.vo, con i quali determinare le modalità ed i termini di custodia delle armi e delle parti in relazione al numero di armi o parti di armi detenute, prevedendo anche sistemi di sicurezza elettronici e di difesa passiva.
Purtroppo, tale decreto, come tanti altri, è stato dimenticato in un cassetto del Ministero, di cui si è persa la chiave. Qualcuno potrebbe osservare che è stato meglio così, siccome, a volte, la cura ha effetti peggiori della malattia. Non possiamo dargli torto, constatando che, se per la custodia degli strumenti marcatori, che tutto sono meno che armi, è stato stabilito che devono essere detenuti con la dovuta diligenza, custoditi scarichi, inseriti nella propria custodia in un luogo diverso da quello ove è custodito il relativo munizionamento (Art. 4, D.M. n. 20/2020), chissà quali fantasiose prescrizioni sarebbero state previste per la custodia delle vere e proprie armi !....
Con un quadro normativo così indeterminato, ci siamo dovuti affidare alla giurisprudenza, alla stregua degli ordinamenti anglosassoni, il cui diritto si basa sulle sentenze e non su quello scritto.
Ma con quale risultato? Anche in merito a quest’ultima spiaggia, assoluta incertezza del diritto.
Infatti, la giurisprudenza della Cassazione non è stata di valido aiuto per l’individuazione pratica di criteri minimi ai quali far riferimento per l’attuazione pratica del generico concetto di ogni diligenza nella custodia. La giurisprudenza non è stata mai univoca in materia, oscillando, come un pendolo, tra interpretazioni estensive e restrittive.
La Suprema Corte ha ritenuto adempiuto l’obbligo di diligenza nella custodia delle armi quando tali oggetti siano riposti in luogo chiuso all’interno dell’abitazione (nel caso di specie l’arma era custodita in un armadio) o di sue pertinenze, cui non è consentito l’accesso indiscriminato a chiunque, non sussistendo per il privato cittadino alcun obbligo di adottare particolari sistemi ed efficienti misure di difesa antifurto (Cass. n. 20474/2013). Analoga decisione in merito alla assicurata custodia di armi all’interno di un ripostiglio dell’abitazione, anche se non chiuso a chiave, siccome l’obbligo di diligenza deve ritenersi adempiuto alla sola condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio di ciò che accade più spesso (Cass. N. 32592/2018).
Di contrario avviso la stessa Cassazione che ha ritenuto legittima la condanna per omessa custodia per la detenzione di una pistola all’interno di un cassetto della scrivania, non chiuso a chiave, sebbene l’abitazione fosse dotata di sistema di allarme (Cass. n. 28826/2019).
Aderendo a tale orientamento interpretativo, è stata riconosciuta la corretta applicazione dell’art. 20 della L. n. 110/75 da parte del giudice di merito, per la custodia di una pistola in un cassetto, privo di serratura, sebbene l’abitazione fosse munita di sistemi di allarme, grate e porte blindate. Infatti, il dovere generico di massima diligenza non va confuso con quello specifico di adottare efficienti misure antifurto, prescritto dalla seconda parte del comma 1 dell’art. 20 L. 110/75, a carico di particolari categorie di soggetti (rivenditori e collezionisti di armi), per cui il contenuto del predetto dovere generico, in assenza dell’indicazione delle specifiche modalità con le quali le armi debbono essere custodite, va, di volta in volta, individuato dal giudice di merito in rapporto alle singole situazioni contingenti. Pertanto, l’obbligo di diligenza richiesto dall’art. 20 non può considerarsi adempiuto dalla mera adozione delle difese antifurto, in quanto le cautele che la norma prevede hanno riferimento specifico alla custodia delle armi e non, di regola, ai sistemi di sicurezza e agli strumenti di allarme posti a presidio di una casa di civile abitazione (Cass. n. 13007/2020).
Indipendentemente dalla corretta applicazione dell’art. 20 nel caso di specie, riteniamo opportuno evidenziare la precisazione della Cassazione in merito all’accertamento del dovere generico di diligente custodia che va, di volta in volta, individuato da giudice di merito in rapporto alle singole situazioni contingenti.
Che il giudice di merito, in caso di furto, smarrimento di armi o pericolo di impossessamento da parte di persone non legittimate, sia il soggetto istituzionale deputato a valutare se le misure adottate per la custodia siano state adeguate, cioè corrispondenti ad ogni diligenza, nessuno può metterlo in dubbio.
Però riteniamo che debba essere messo in discussione il fatto di dover subire un processo penale per conoscere se abbiamo adottato ogni diligenza nella custodia, considerando la genericità della norma.
Infatti, la formula indeterminata, usata dal legislatore per ottemperare al dovere di custodia delle armi, non può che ledere il principio di certezza del diritto e, nel contempo, sollevare dubbi di costituzionalità per mancanza di determinatezza della norma penale (art. 25 C.).
Quindi, è auspicabile un intervento legislativo, perché, quando si deve ricorrere alle sentenze dei giudici per conoscere il senso di una norma, si deve registrare la sconfitta del legislatore che non ha saputo fare leggi comprensibili per chi deve osservarle, cioè l’uomo della strada.

Firenze 20 maggio 2020                                                 ANGELO VICARI


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