Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
   
 

Domenico Compagnini si è spento

     Il giorno 21 dicembre si è spento a Catania, all'età di 82 anni, Domenico Compagnini, il grande vecchio e colonna indiscussa della balistica forense italiana.
     Tempi duri per la balistica perché nel giro di sei mesi sono scomparsi Morin e Compagnini, fondatori e luminari della materia, i quali hanno cercato di insegnare a tutti, giudici e periti, che cosa vuol dire essere un perito balistico degno di tal nome. Paolo Romanini era morto nel 2011; il prof. Carlo Torre nel 2015.
     Oltre vent'anni orsono avevo cercato di elencare su questo sito i nomi dei periti affidabili e ne avevo trovati pochi; pochi ne ho aggiunti nel corso degli anni perché troppo pochi hanno una adeguata preparazione scientifica di base; pare che ormai la fonte principale di informazione sia Internet in cui si trova tutto e il contrario di tutto. Mi è venuto da ridere quando nei giorni scorsi ho letto di un corso per periti balistici online organizzato da una università popolare calabrese, che poi consentirebbe l'iscrizione agli albi dei periti, corso in cui "la formazione è tenuta da docenti illustri e da personale delle Forze Armate". Sarei curioso di sapere chi sono questi docenti illustri. In Calabria non mi risulta che ve ne siano e dalle Forze Armate non escono davvero esperti di fucili e pistole e di balistica forense.
     Domenico Compagnini non ha mai smesso per tutta la sua vita di approfondire tutti gli aspetti della balistica forense divenendo il massimo esperto nella comparazione dei proiettili e nella identificazione dei residui di sparo, che sono state da sempre la maggior fonte di errori giudiziari. Se si avesse modo di riesaminare le perizie che in passato sono state considerate idonee per condannare gli imputati, si scoprirebbe che nessuna sarebbe ritenuta valida in base alle attuali conoscenze scientifiche.
     Compagnini, in decine e decine di processi, da solo o in unione ad altri luminari, ha contribuito a ribaltare le conclusioni dei periti dei laboratori di polizia o carabinieri o di quei peritastri improvvisati che tanto sono amati dai pubblici ministeri, i quali, essendo tabula rasa in una materia che pur fa parte del loro lavoro quotidiano, dànno fiducia incondizionata a chi è abile ad intrufolarsi nei corridoi del loro uffici.
     Da citare, come esemplare, il caso Marta Russo in cui la polizia di stato aveva creduto di trovare residui di sparo certi, mentre invece risultò certo che erano residui di ferodo dei freni; scoperta che ha fatto scuola nel mondo ed ha portato a stabilire che i residui di sparo sono pochi e labili, facilmente trasferibili, e che occorre la massima prudenza per poter affermare che il corpuscolo in esame è proprio un residuo di sparo e che il soggetto su cui viene rinvenuto è stato proprio lo sparatore. Nello stesso processo Compagnini dimostrò che l'individuazione, ad opera della polizia, di una finestra come punto di partenza dello sparo era stravagante e che potevano individuarsi una ventina di altre traiettorie.
     Tra altri casi in cui Compagni dimostrò le sue grandi capacità, ricordo il caso Giuliani, no-global di Genova rimasto ucciso mentre nel corso di una manifestazione violenta aggrediva un Carabiniere  (il primo perito, sconosciuto, non si era accorto che il proiettile era un colpo di rimbalzo!); il caso  del tifoso laziale Gabriele Sandri, in cui un poliziotto aveva (imprudentemente!) sparato un colpo  di pistola che aveva colpito il Sandri dall'altro lato di una autostrada, trovando che il proiettile presentava tracce evidenti di un impatto contro una rete metallica, impatto che lo aveva deviato.
     Compagnini aveva tutte le doti del buon siciliano: riservato, rispettoso degli altri, amico sincero e affezionato di chi stimava, di squisita gentilezza; ma era intransigente e diretto con chi non corrispondeva alle sue aspettative; non le "mandava a dire" e affrontava i problemi senza paure e senza timori riverenziali. È chiaro che era poco amato in molti ambienti: presso i periti dei laboratori pubblici, troppo spesso non all'altezza dei loro compiti; presso i periti scelti dai PM, troppo spesso ansiosi solo di confermare le teorie del PM, ma incapaci di dimostrale scientificamente; presso gli  stessi PM, troppo spesso soggetti a smanie accusatorie ispirate dal falso concetto che la loro capacità si misura, come quella del boia, sul numero di teste tagliate e non invece sul numero di innocenti ingiustamente rinviati a giudizio per amor di tesi; presso certi media che campano e proliferano distribuendo fango e sospetti come macchine spandiconcime e per i quali ogni dato scientifico  gli distrugge volumi di chiacchiere dei solito pentiti fasulli e di ricostruzioni ispirate dalla politica e quindi totalmente in malafede.
     Compagnini però, spesso attaccato da questi figuri, ha sempre proseguito imperterrito per la sua strada, senza curarsi dei cani che abbaiavano, sicuro del risultato finale perché era convinto che la Giustizia ci fosse ancora.
     Caro prof. Compagnini, mancherai molto ai tuoi amici, ma mancherai ancor più alla giustizia sempre più vittima di vuoti formalismi e in cui pare che lo stabilire se l'uomo che è davanti al giudice sia colpevole o innocente sia cosa secondaria. Pare che il principio costituzionale per cui nel dubbio bisogna assolvere sia stato rimosso dalle coscienze dei giudici. Per molti condannare un innocente pare essere un danno collaterale ed inevitabile del sistema.

Bolzano 27 dicembre 2020

 


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