Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Sentenze di patteggiamento e licenze di Pubblica Sicurezza

Ministero dell'Interno - Circolare nr. 6454 del 17 marzo 2003 - Sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (c. d. patteggiamento). Riflessi sulle autorizzazioni di polizia.
Accade sovente che i provvedimenti, di diniego di autorizzazioni di polizia vengano motivati facendo esclusivo riferimento alla sussistenza, nei confronti del richiedente, di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, istituto disciplinato dagli articoli 444 seg. C.p.p. (c. d. "patteggiamento").
Poiché si è avuto modo di rilevare che L'orientamento giurisprudenziale ormai prevalente depone per la non esaustività del mero rinvio a tale decisione quale circostanza sufficiente a denegare o revocare provvedimenti autorizzatori, si ravvisa l'opportunità di richiamare l'attenzione delle SS.LL. sulla necessità di soddisfare più compiutamente le esigenze motivazionali. Ciò al fine di prevenire contenziosi e conseguenti pronunce sfavorevoli che, oltre a vanificare l'operato dell'amministrazione, condannino la stessa al risarcimento del danno.
In particolare, le più recenti decisioni della Corte Costituzionale e della Corte di cassazione non riconoscono alla sentenza di patteggiamento natura di vera e propria pronunzia di condanna, per l'assenza di una esplicita affermazione di colpevolezza dello imputato, anche se non ne negano il tratto comune costituito dal momento afflittivo della pena (Corte Cost., 06.06.1991, n.251; Cass.,Sez. Un., 08.05.1996, n. 11 e 18.04.1997, n.1). Anche presso la giurisprudenza amministrativa l'indirizzo favorevole alla equiparazione del patteggiamento a condanna ha subito una progressiva erosione a favore dell'orientamento in base al quale la non equivalenza della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna deriva dalla funzione stessa dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, che non è quella di accertare, con gli effetti propri del giudicato, l'esistenza del reato, e, quindi, della colpevolezza, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento, con l'irrogazione della sanzione derivante dall'accordo tra le parti in giudizio, approvato dall'autorità giudicante (Cons. Stato, IV sez., 23.02.1999, n.188 e 20.09.2000, n. 4937).
A ciò va soggiunto che l' Avvocatura generale dello Stato ha recentemente osservato che, in base alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, deve ritenersi illegittima la revoca di una autorizzazione di pubblica sicurezza quando l'atto di ritiro sia basato in via esclusiva ed automatica su una sentenza di patteggiamento, senza alcuna valutazione autonoma di altro genere.
Dalle considerazioni esposte emerge la necessità che la motivazione dei provvedimenti di diniego e di revoca delle autorizzazioni di polizia non faccia esclusivo riferimento alla sentenza patteggiata e, soprattutto, che non faccia ad esso rinvio "tout court" quale elemento cardine di tipo ostativo che giustifichi in via esclusiva l'emanazione di atti inibitori, ma riponga il proprio fondamento in ulteriori elementi o circostanze che possano considerarsi, nella fattispecie, idonei a motivare il provvedimento negativo.
A tale proposito, si ritiene utile citare una recente pronunzia del TAR dell'Umbria con la quale il prefato organo giurisdizionale, nell'accogliere, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, un ricorso proposto avverso il rifiuto dell'istanza di porto di fucile per uso caccia, in quanto il richiedente era stato condannato con sentenza patteggiata per detenzione e porto abusivo d'arma, ha ritenuto carente di motivazione il provvedimento impugnato giacché la questura si era limitata a presupporre l'esistenza di una condanna che, invece, non è tale in senso tecnico e stretto. Nella circostanza il Tar, ha peraltro, osservato che "..il fatto che il procedimento penale si sia concluso con una sentenza di "patteggiamento" anziché "di condanna" non fa stato neppure in senso favorevole all'imputato... Rimane, cioè impregiudicato il potere-dovere della pubblica autorità di valutare autonomamente il fatto, avvalendosi anche delle risultanze del procedimento penale nella misura in cui si tratti di dati di fatto incontroversi. Tali valutazioni discrezionali dovranno essere adeguatamente motivate. (Tar Umbria , sez.I, 29.01.2002, n.52).
Tale orientamento risulta confermato anche dal Consiglio di Stato che ha da ultimo ribadito l'obbligo per l'amministrazione di motivare il provvedimento di diniego di un'autorizzazione, "da rapportare alla concreta situazione di fatto su cui il provvedimento stesso è destinato ad agire, anche con effetti duraturi nel tempo, ed all'autonoma valutazione dei fatti oggetto della sentenza emessa sul patteggiamento"(Cons. Stato, Sez. I, par. n. 2841 del 6 novembre 2002).
Alla stregua di tali argomentazioni, non potendosi ritenere sufficiente nei casi in questione la semplice menzione della sussistenza della sentenza patteggiata, occorrerà confortare gli eventuali provvedimenti di diniego o di revoca con i risultati di un' autonoma, ponderata valutazione di qualunque elemento che possa evidenziare, attraverso argomentazioni validamente sostenute, la legittimità del provvedimento adottato.
In particolare, potranno risultare utili tutte quelle circostanze idonee a determinare un "giudizio di affidabilità" , rimesso al prudente apprezzamento delle SS. LL., anche nella considerazione che il requisito della buona condotta può mantenere la propria rilevanza nei confronti dei soggetti interessati allo svolgimento di quelle attività (si pensi al settore delle armi, delle scommesse, delle attività concernenti i preziosi) che, in relazione alla necessità di salvaguardare le preminenti esigenze di ordine e sicurezza pubblica, vengono circondate da particolari cautele e, pertanto, sottoposte, ai fini autorizzatori, al vaglio dell' autorità di pubblica sicurezza.
Si rammenta al riguardo, che la Corte Costituzionale ha affermato che la latitudine di apprezzamento connessa al requisito della buona condotta esige "per non configgere con inderogabili esigenze di determinatezza e perché sia evitato il pericolo di sconfinare nell'arbitrio, una specificazione finalistica, riferita cioè a particolari esigenze che l'accertamento deve soddisfare per le finalità correlate con il tipo di abilitazione o di autorizzazione richiesta " (Corte Cost. 16 dicembre 1993, n. 440). In materia di armi risulterà, infine, utile quella giurisprudenza che dà particolare risalto ai fatti comunque accertati, che nel prudente apprezzamento dell'autorità di pubblica sicurezza siano sintomatici di una possibilità di d i abuso.
Tanto si rappresenta come contributo per le determinazioni della SS. LL.

Nota: Con stile ampolloso ed ottocentesco, del tutto incomprensibile a chi non si sia masturbato per anni con il linguaggio legalese, la circolare comunica questo banale concetto: "Prefetti e questori, state attenti che qui ci condannano al pagamento di danni e che voi non potete motivare provvedimenti di rifiuto di licenze in base al fatto che il richiedente ha chiuso una vicenda processuale con un patteggiamento. Al massimo potete prendere in esame i fatti accertati e provati e valutare se essi incidano sul requisito della buona condotta".
Chissà perché al ministero non sanno scrivere come mangiano e mandano in giro circolari che il 99% dei funzionari non sono in grado né di leggere né di comprendere. E perché poi perdono tanto tempo a spiegare che cosa i prefetti devono fare; perché non glielo ordinano punto e basta?
Vi è un punto su cui occorre porre particolare attenzione ed è quello relativo ai fatti che emergono dal processo e che sono utilizzabili per valutare la buona condotta; la circolare al riguardo è equivoca, ma deve essere chiaro che non basta che un fatto sia esposto in una querela o denunzia per poter essere considerato come accertato. Gli atti del processo devono essere valutati nel loro insieme e la motivazione del provvedimento dovrà fornire la motivazione argomentata e logica del perché si ritengono provati certi fatti (accertamenti di più pubblici ufficiali, ammissioni dello interessato, pluralità di testimonianze a carico, mancanza di argomentazioni difensive, ecc.). Si consideri ad esempio il caso dello accertamento di una infrazione venatoria accertata da un solo guardacaccia. È possibile che il cittadino scelga il patteggiamento per evitare spese legali e perché non sa come contrastare le dichiarazioni del guardacaccia, ma non si può certamente sostenere che il fatto sia provato.


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