Home  Diritto  Armi  Balistica  Scritti vari  Downloads  Links
  Autore Codice Email Ricerca nel sito  

TAR Piemonte: no a immotivati ritiri di armi e licenze

    Pubblico  qui sotto una buona sentenza del Tar del Piemonte che ha rimesso a posto una indegna vicenda derivata da un uso distorto della legge e dei proprie poteri, da parte di Carabinieri  e Polizia.
    I principi  in materia di custodia di armi applicati dalla sentenza sono ovvi e banali. Avrebbero potuto anche spiegare che quando le armi sono in una abitazione e sono presenti in essa il titolare delle armi o persone di sua fiducia, le armi non devono restare in cassaforte: le armi  si detengono per usarle, maneggiarle, ammirarle, essere usate per difesa da chiunque è nella casa, ecc. ecc. Quindi la presenza di una persona fidata escluse sempre l'incauta custodia. Altrimenti il legislatore avrebbe detto che le armi vanno murate nella cassaforte  e mai più viste! Soluzione che pare essere nei sogni di troppi funzionari di PS !
    Per inciso  si noti come le norme sulla privacy, frutto del fatto di aver affidato tale problema ad uno dei tanti garanti che nessun controlla e che ha creato una assurda burocrazia per tutelare, nel 99% dei casi, situazioni che gli interessati non hanno alcun interessa a tutelare (ad es. nel caso in esame sono certo che la vittima della giustizia sarebbe stata fiera di far sapere quanti e quali torti aveva subito), abbiano fatto massacrare il testo della sentenza resa pubblica! E comunque non è necessario scendere a tale livello di oscuramento dei dati; basta non indicare il none della parte.

    Nel merito della vicenda non si può non rabbrividire nel constatare come polizia e giustizia agiscano come la Gestapo verso gli ebrei : i Carabinieri vanno a fare un controllo di mera rutine a carico di un onesto coltivatore; in altri tempi si sarebbero seduti con lui, avrebbero dello "sappiamo che lei è un brav'uomo" e avrebbero bevuto assieme un bicchiere di Barbera; ed invece si vede che sono assatanati dalla voglia di fotterlo: si inventano che non ha denunziato poche cartucce che non dovevano essere denunziate, si inventano che  un arma non era ben custodita perché fuori dall'armadio corazzato (che del resto non è affatto obbligatorio avere ed è imposto in modo scriteriato da funzionari che non potendo più perseguitare gli ebrei, se la prendono con chi ha un'arma. Forse quando arrivano in Piemonte, la bagna cauda gli dà al cervello!
    Ma è doveroso chiedersi: il loro capi li controllano e sono capaci di farlo o sono tutti vittime dalla bagna cauda?
    Mi ha scritto ieri un poveretto di 80 anni a cui sono state ritirate armi e licenze perché aveva redarguito un giovanotto che non aveva rimosso la cacca del cane dal marciapiede; e il giovanotto lo aveva querelato. Se un funzionario pensa che un cittadino può essere limitato nei suoi diritti solo per una querela, è bene rimuovere anche lui!
    Per non parlare dei pubblici  ministeri che si sono ridoti ad essere i servi sciocchi che fanno da passacarte ottusi ed ignoranti alle cavolate che gli mandano polizia e carabinieri . E per non parlare di giudici che firmano, senza fare alcun controllo, pacchi di condanne mediante decreto penale, incuranti di capire se stanno condannando un colpevole o un innocente. È concepibile un sistema in cui ogni giorno decine di giudici condannano senza neppure aver mai letto le norme penali che applicano? È concepibile che tutti siano impuniti e che la loro vittima non possa neppure ottenere il rimborso delle spese di avvocato che lo Stato gli ha imposto obbligatoriamente?
    Il poveretto della sentenza, del tutto incolpevole e innocente, ci avrà rimesso un diecimila euro di avvocati. E li aveva di certo più sudati di chi lavora sonnolento in una poltrona. Io rimuoverei anche chi non fa una piega di fronte al'ingiustizia della giustizia.
23-02-23   E.M.

N. 00176/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00160/2020 REG.RIC.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 160 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da -ricorrente-, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Gili, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno in persona del Ministro pro-tempore,
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi a questo Tribunale amministrativo il 4 febbraio 2020 -ricorrente- impugnava, chiedendone l’annullamento, il decreto del Prefetto di Torino -***- Area 1 Ter, di divieto detenzioni armi, notificatogli il 6 dicembre successivo ed ogni altro atto connesso, ivi inclusi i verbali dei Carabinieri della Legione Piemonte e Valle d’Aosta, Stazione di Cuorgné, -***-, di sequestro delle armi e delle munizioni e di “ritiro cautelativo e presa in consegna di armi e/o munizioni ritirate in ottemperanza ex art. 39 t.u.l.p.s. e d.lgs. 121 in data 29.9.13, nonché la comunicazione di avvio del procedimento della Prefettura di Torino -***- e l’atto dei Carabinieri Legione Piemonte e Valle d’Aosta, Stazione di Cuorgné di notifica del sopra indicato decreto prefettizio di divieto di detenzione armi.
Esponeva il fatto il ricorrente, imprenditore agricolo incensurato residente in zona rurale, di essere titolare di regolare porto d’armi per uso venatorio n. -***-, rilasciato dal Commissariato di Ivrea il -***-, nonché proprietario di armi e munizioni detenute all’interno della propria abitazione e regolarmente denunciate.
Il -***-, nell’occasione di un controllo di routine dei Carabinieri di Cuorgnè sullo stato delle armi e delle munizioni detenute, veniva constatato che tutte le armi erano custodite in soffitta “all’interno di un armadio regolarmente chiuso a chiave”, ad eccezione di una carabina monocanna marca FALCO, cal. 8 Flobert, mat. n. -***-, arma a corto raggio, usata nella caccia a volatili di piccole dimensioni, che quel giorno era stata portata per pulizia e manutenzione in una stanza del piano inferiore dell’edificio, adibita ad uso esclusivo del proprietario per magazzino, chiusa con una chiave in possesso unicamente di quest’ultimo. In esito a tali risultati, i Carabinieri intervenuti avevano provveduto al ritiro della licenza di porto d’armi al -ricorrente-, al sequestro della carabina anzidetta e di dieci cartucce rinvenute nella medesima stanza, oltre che al ritiro cautelativo e alla presa di consegna delle altre nove armi e relative munizioni regolarmente detenute, come da ulteriore e separato verbale. Ricevuta dalla Prefettura di Torino la comunicazione -***-, recante avvio del procedimento preordinato all’adozione del provvedimento di divieto di detenzione armi e munizioni ex art. 39 TULPS l’interessato presentava memoria sulla temporaneità del deposito dell’arma nel magazzino travolto chiuso a chiave, memoria che non impediva l’emissione dell’anzidetto provvedimento prefettizio di divieto di detenzione armi e munizioni, motivato con la negligenza dimostrata nella custodia dell’arma in questione e la conseguente deduzione del mancato possesso dei requisiti di affidabilità richiesti per la detenzione delle armi, delle quali si disponeva altresì il deposito obbligatorio entro 150 giorni presso un’armeria autorizzata o a persona non convivente.
In diritto venivano sollevate le seguenti censure:
Violazione degli artt. 39, comma 1 e 43, comma 2 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773 nonché degli artt. 20 e 20 bis l. 110 del 1975, in combinato disposto con gli artt. 3, comma 1 e 10, comma 1, lett. b) l. 241 del 1990. Eccesso di potere per carenza di istruttoria ed illogicità.
Il Ministero dell’Interno è costituito in giudizio, sostenendo l’infondatezza del ricorso in quanto dai fatti era dimostrata l’incauta custodia delle armi e quindi l’inaffidabilità sotto questo aspetto, del titolare della licenza.
Il 22 luglio 2020 il -ricorrente- proponeva motivi aggiunti avverso il provvedimento del Questore di Torino, prot. Cat. -***-, notificatogli il seguente 24 maggio, di revoca della licenza di porto di fucile ad uso caccia, provvedimento adottato in quanto vincolato dal precedente divieto di detenzione di armi.
Venivano dedotti i seguenti motivi:
1.Violazione degli artt. 3, 7, 10 l. 241 del 1990. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, manifesta irragionevolezza ed illogicità.
2.Violazione degli artt. 10, 11 comma 3, 43 comma 2 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, oltre che dell’art. 3 l. 241 del 1990. Eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità.
Con ordinanza cautelare 10 settembre 2020 n. 402 questo Tribunale respingeva la domanda cautelare di sospensione annessa a tali motivi aggiunti.
All’udienza del 15 febbraio la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Con provvedimento del -***- il Prefetto di Torino aveva vietato al ricorrente la detenzione di qualsiasi arma o munizioni in seguito ad un controllo effettuato dai carabinieri della Stazione di Cuorgnè il precedente 2 ottobre presso l’abitazione del -ricorrente-, controllo che aveva portato ad un rapporto stilato il giorno successivo, secondo cui l’interessato autorizzato a detenere dieci armi in custodia, ne avrebbe mantenuto una di queste, precisamente una carabina per la caccia ai volatili minuti con il relativo munizionamento, nel proprio salotto dietro un divano nella pratica disponibilità di conviventi e di qualsiasi persona che avesse fatto accesso in casa.
Il -ricorrente- avrebbe così violato le norme in materia di detenzione di armi, da ultimo la l. 110 del 1975, che sottopone tale detenzione ad un’attenta cura e principalmente ad una custodia sicura in armadi chiusi a chiave di accessibilità limitata da ogni possibile sicurezza.
Le armi erano state quindi presi in consegna cautelativa da parte delle forze dell’ordine ed il successivo -***- il Questore di Torino aveva conseguentemente revocato la licenza di porto d’armi da caccia al tempo rilasciata all’interessato.
Assume il ricorrente che il provvedimento avrebbe frainteso la realtà, omettendo il fatto che il fucile fosse temporaneamente nella stanza del primo piano dell’edificio per manutenzione - non effettuabile in soffitta ove era l’armadio di custodia delle armi per l’umidità e la bassa altezza del locale, ed ignorando che la stanza ove era riposto il fucile fosse ad uso esclusivo del ricorrente nonché chiusa con chiave nella sola disponibilità del ricorrente, asserendo che fosse tenuta nel salotto di casa - quindi alla mercé dei conviventi -
A prescindere dal fatto che le conviventi del ricorrente erano la nonna e la zia, persone del tutto inoffensive e quindi rientranti nelle categorie di persone che danno affidamento di non abusare delle armi – art. 43 del r.d. 18 giugno 1931 n. 773 – il -ricorrente-, imprenditore agricolo del tutto incensurato e privo di precedenti di polizia, ha dato ampiamente conto anche con foto che quanto riportato nel rapporto del -***- non corrispondesse alla realtà in primo luogo perché il vano dell’abitazione in cui era stata trovata la carabina monocanna non fosse del tutto palesemente in salotto di casa, bensì altro magazzino, sia pure non usuale deposito delle armi della collezione dell’interessato e dunque il suo mantenimento in quest’altra stanza per ragioni di manutenzione appare oggettivamente credibile, trattandosi comunque di stanza adibita all’accumulo di materiale ed utensili ingombranti.
Ma al di là delle pur corrette tesi svolte nel ricorso circa la dovuta valutazione non del singolo episodio ma anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità, valutazioni del tutto assenti nel provvedimento, si deve considerare in via assorbente che il -ricorrente- raggiunto da decreto penale di condanna per tali eventi, ha a sua volta presentato opposizione innanzi al Tribunale di Biella che lo ha assolto con la sentenza -***-, assunta soprattutto in base alla testimonianza del carabiniere -Tizio- che aveva svolto il sopralluogo che aveva dato luogo ai provvedimenti impugnati in questa sede in accoglimento anche delle richieste di assoluzione del pubblico ministero.
Dalla motivazione della sentenza emerge in via del tutto palese che l’interessato fosse l’unico possessore della chiave di accesso alla stanza ove gli agenti avevano rinvenuto la carabina e le cartucce; che due carabinieri che avevano effettuato la perquisizione erano stati guidati dallo stesso -ricorrente- nella verifica delle armi custodite in cassaforte ed era stato sempre quest’ultimo a condurli nella stanza ove era stata temporaneamente riposta la carabina da pulire. Era evidente che non sussistevano i requisiti previsti dalla legge per integrare il reato di cui al capo 2) d’imputazione in quanto l’art. 20 bis della l. 110 del 1975 che punisce chiunque trascura di operare nella custodia delle armi le cautele necessarie ad impedire che determinate categorie di soggetti (minori, soggetti incapaci, tossicodipendenti) possano impossessarsene agevolmente, così limitando il legislatore la condotta penalmente rilevante alla sussistenza di presupposti ben definiti: era pacifico che nel caso nell’appartamento perquisito non dimorassero soggetti rientranti nelle predette categorie “a rischio” né erano emerse circostanze specifiche in virtù delle quali “l’agente possa e debba rappresentarsi l’esistenza di una situazione tale da richiedere l’adozione di cautele specifiche e necessarie per impedire l’impossessamento delle armi da parte di uno dei soggetti indicati” (cfr. Cass. Pen., V, 30 ottobre 2007 n. 45964), elemento questo necessario ad integrare il pericolo concreto richiesto dalla fattispecie incriminatrice. Da tutto ciò non poteva che derivare la sentenza di assoluzione, perché il fatto contestato non sussisteva ed inoltre non poteva essere dimenticato che l’art. 26 della l. 110 del 1975 obbliga alla denuncia di munizioni, nel caso di armi di questo tipo, ove le cartucce a pallini siano superiori al numero di 1000, mentre nel caso ne erano state rinvenute solamente quattordici.
Per le considerazioni finora esposte il ricorso ed i seguenti motivi aggiunti devono essere accolti.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto lo accoglie e, per l’effetto annulla il decreto del Prefetto di Torino di divieto detenzioni di armi ed il provvedimento del Questore di Torino di revoca della licenza di porto di fucile ad uso caccia impugnati.
Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di giudizio determinate in complessivi €. 1500,00 oltre i.v.a., c.p.a. ed ulteriori accessori oltre alla restituzione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2023
Raffaele Prosperi, Presidente, Estensore.

Testo

 


torna su
  http://www.earmi.it - Enciclopedia delle armi © 1997 - 2003 www.earmi.it