Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Piovono bastonate sul Ministero - Non può negare licenze per reati che non indichino carattere violento

N. 05129/2013REG.PROV.COLL.
N. 06775/2013 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6775 del 2013, proposto da: 
***, rappresentato e difeso dagli avv. Federico Casa e Federica Scafarelli, con domicilio eletto presso Federica Scafarelli in Roma, via G.Borsi n.4; 
contro
Questura di Vicenza, Ministero dell'Interno; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. VENETO - VENEZIA SEZIONE III° n. 00671/2013
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Scafarelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. L’appellante aveva impugnato davanti al Tar Veneto il diniego di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia, motivato con il fatto che il medesimo era stato denunciato all’autorità giudiziaria in epoca risalente nonché, nel 2009, per essere stato arrestato in flagranza per concussione, con procedimento penale ancora pendente.
Il Tar respingeva il ricorso compensando le spese del giudizio rilevando che seppur alcuni dei reati risultavano risalenti (anche al 1967), quando il ricorrente era minorenne e non erano stati precedentemente considerati ostativi al rilascio del titolo richiesto, l’arresto in flagranza per il reato di concussione doveva considerarsi particolarmente significativo sotto il profilo dell’affidamento del pubblico funzionario e che si configurava, legittimamente, come causa impeditiva al rinnovo richiesto, tanto più nella comparazione di interessi, essendo recessivo quello del privato volto all’utilizzo dell’arma, rispetto a quello pubblico, mirante alla tutela della sicurezza pubblica.
Nell’atto di appello il ricorrente sottolinea e deduce che il Tar ha definitivamente statuito che la causa impeditiva al rilascio del porto d’armi risiedeva esclusivamente nell’arresto per concussione non ostando al rilascio altri reati commessi in epoca risalente, ritenuti non ostativi dalla stessa autorità di pubblica sicurezza.
Così limitato l’oggetto del giudizio, secondo l’appellante la sentenza sarebbe erronea, dovendosi richiamare il pacifico orientamento giurisprudenziale in materia secondo il quale impedisce il rilascio delle licenze di caccia il fatto che manifesti la pericolosità del soggetto o il pericolo di abuso, non costituendo il diniego una punizione accessoria per chi è accusato di qualsiasi reato.
L’amministrazione intimata non si è costituita.
Alla camera di consiglio fissata per la discussione della istanza cautelare, previo avviso, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione in forma semplificata.
2. L’appello merita accoglimento.
Come rilevato da costante giurisprudenza amministrativa sia di primo che di secondo grado, la ratio alla base della normativa che disciplina delle autorizzazioni di polizia, per come risulta dal combinato disposto degli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S., eccettuate le ipotesi in cui il rilascio è tassativamente escluso, risiede nella opportunità di evitare che le autorizzazioni al porto di armi vengano rilasciate a soggetti che, per i loro comportamenti pregressi, denotino scarsa affidabilità sul loro corretto uso, potendo in astratto costituire un pericolo per la incolumità e per l’ordine pubblico.
E’ tuttavia necessario che i precedenti comportamenti del richiedente siano sintomatici, idonei quindi ad evidenziare una personalità violenta, incline a risolvere situazioni di conflittualità anche con ricorso alle armi, o, in ipotesi, in grado di attentare all’altrui patrimonio con uso di armi ed in sintesi che, nell’ottica di una prognosi ex ante, non diano garanzia di un corretto uso delle armi senza creare turbativa all’ordine sociale.
Come rilevato anche dalla Corte Costituzionale "..alcun carattere immediatamente ostativo, ai fini del rilascio o del rinnovo delle licenze di p.s.," può riconoscersi "al fatto di aver riportato una condanna in sede penale" attesa la necessità "di procedere ad una concreta prognosi" che tenga conto di una serie di circostanze, quali l'epoca a cui risale la condotta contestata, i reiterati rinnovi del titolo di polizia nel frattempo intervenuti, la condotta tenuta successivamente al fatto di reato e fatti eventualmente sintomatici di attualità della pericolosità sociale (Corte Cost. n. 331 del 1996,  cfr.anche, ex multis, Cons. Stato, n. 5095 del 2012 e n. 4630 del 2011).
Nella specie, la causa impeditiva al rilascio del porto d’armi per attività venatoria per l’autorità di pubblica sicurezza risiedeva esclusivamente nell’arresto in flagranza per concussione, essendo stati valutati come irrilevanti, per la loro risalenza nel tempo, altri comportamenti del ricorrente che non avevano impedito alla amministrazione di rilasciare la autorizzazione in anni pregressi.
Il Collegio osserva, a tal riguardo, che detto reato non è significativo perché da esso non si manifesta alcuna personalità violenta dell’interessato, né il provvedimento dà conto di ulteriori fattori che possano aver compromesso l'affidabilità del richiedente in ordine al possibile abuso, tali da indurre l’autorità a negare, nella attualità, il titolo di polizia.
3. In conclusione l’appello merita accoglimento e per l’effetto in riforma della sentenza appellata, il ricorso in primo grado deve essere accolto e, l’atto impugnato annullato.
4. Spese ed onorari dei due gradi vengono liquidati a favore dell’appellante come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando accoglie l’appello in epigrafe indicato e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e, annulla l’atto impugnato.
Condanna il Ministero dell’Interno alle spese ed onorari dei due gradi di giudizio nella misura di euro 3.000,00 (tremila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Salvatore Cacace, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

NOTA: Al Ministero proprio non vogliono capire quali sono i diritti dei cittadini e che i funzionari sono servi delle Stato e del Cittadino e che il loro compito non è di perserguitare i cittadini, di creare loro danni e spese, di creare lavoro inutile a TAR e Consiglio di Stato, di sprecare i soldi dello Stato per sostenere ingiustizie. Se il Ministro desse una ripassata ai caproni che gestiscono così i propri uffici, farebbe cosa santa!

10-XI-2014


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