Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Trattato del diritto della caccia - Maltrattamento di animali

Voce collegata: Trasporto di cani

La legge 20 luglio 2004, n.189 ha introdotto nuove regole sul rispetto degli animali introducendo un nuovo Titolo IX bis nel Titolo II del nostro codice penale.
Le condotte punite sono:
a) per crudeltà o senza necessità cagionare la morte di un animale;
b) per crudeltà o senza necessità cagionare una lesione ad un animale ovvero sottoporlo a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche;
c) somministrare agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero sottoporli a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi o la loro morte;
d) abbandonare animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività (art. 727 C.P.);
e) detenere animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze" (art. 727 C.P.)
Alle lettere a), b), c) si tratta di delitti che devono essere commessi con dolo, cioè con la volontà di uccidere o ledere l’animale; alle lettere d) ed e) si tratta di contravvenzioni che possono essere commesse sia per colpa (disattenzione, inesperienza, stupidità, ecc.) che con dolo, cosa che estende esageratamente la facoltà del giudice di applicare la legge a suo piacimento personale, visto che la nozione di colpa può essere molto soggettiva. È quello, tanto per fare un esempio, che avviene in materia di circolazione stradale in cui la valutazione su quale era la “velocità adeguata” e se il conducente sia stato o meno abbastanza abile, viene lasciata al giudizio non di un esperto di guida, ma di un giudice che magari non ha la patente o che riesce a parcheggiare solo nelle piazze!
La nuova leggenon si applica ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Non si applica altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente.
Vediamo di analizzare le espressioni usate dal legislatore, punto per punto; si consideri che stranamente la legge non è presentata come una legge a tutela degli animali, ma a tutela del sentimento che i cittadini hanno per gli animali, così come il codice penale tutela il sentimento verso i defunti! Scelta assurda perché mentre il sentimento verso i defunti è una cosa innata, che rientra nell’etologia umana, il sentimento verso gli animali è, nel mondo occidentale, non certo basato su radici bibliche e cristiane che hanno parlato degli animali solo per dire che l’uomo poteva farne ciò che voleva, ma è una recente costruzione di una minoranza. E sfido chiunque a dimostrare che nella popolazione esiste un sentimento che porta a rispettare insetti, rettili e ratti! Ricordiamoci però che le nuove norme per volontà del legislatore, presuppongono che si possa condannare solo se si accerta una lesione del sentimento verso gli animali; accertamento che non può prendere come parametro di valutazione il sentimento del singolo giudice che si occupa del caso.
a) Per crudeltà o senza necessità cagionare la morte di un animale;
La legge si applica a tutti gli esseri appartenenti al regno animale; vale a dire che si può uccidere una zanzara solo se è necessario e che occorre farlo senza crudeltà e senza sottoporla a sofferenze evitabili.
Sorge evidentemente il problema di stabilire quando l’uccisione sia necessaria. Essa è necessaria in caso si agisca per legittima difesa o in stato di necessità, secondo le regole poste dal Codice Penale nonché, per dirla con la Cassazione, in ogni altra situazione che induce all'uccisione o al danneggiamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o un danno giuridicamente apprezzabile. Per crudeltà si intende l'inflizione di gravi sofferenze fisiche senza giustificato motivo.
Da quale momento un formicaio in giardino diventa tanto molesto o dannoso perché si possa ritenere necessario di eliminarlo; un nido di vespe va tollerato o si può far sparire? Stante la notevole differenza di opinioni fra gli animalisti e l’uomo qualunque è prevedibile un certo contenzioso giudiziario sul tema, con imprevedibili soluzioni; è nota la vicenda di quando due giudici, a distanza di pochi giorni, hanno affrontato il problema di come conservare i gamberi vivi senza farli soffrire e un giudice ha condannato il cuoco che li faceva soffrire al caldo fuori dal frigo e l’altro ha invece condannato il cuoco che li faceva soffrire al freddo sul ghiaccio! E come va accertata la necessità? Prendiamo l’esempio di chi ha in casa un vecchio animale domestico chiaramente ammalato; in quale momento il padrone è legittimato a fare opera di eutanasia, così come in molti paesi ormai si fa anche con gli esseri umani ?
La risposta per noi è chiara: siccome la legge non prevede procedure di accertamento, siccome non vi sono organi incaricati di decidere, è il possessore dell’animale che ha il diritto di valutare la situazione. Il giudizio non può certo essere lasciato ad una guardia zoofila, che non è un esperto in materia, ma solo una persona con una particolare impostazione ideologica che non garantisce di certo valutazioni spassionate.
b) Per crudeltà o senza necessità cagionare una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche.
Questo punto è nel complesso abbastanza chiaro; la condotta vietata può essere commessa sia mediante lesioni sia mediante sevizie, che non necessariamente provocano lesioni (ad es. percosse). Qualche dubbio solleva la parola “sevizie”, che nel linguaggio comune ha assunto connotazioni una volta sconosciute; spesso viene persino usata per descrivere una violenza sessuale limitata ad un atto sessuale non voluto. Nei dizionari della lingua italiana il termine implica attualmente un concetto che va dal maltrattamento crudele, fino a confondersi con il concetto di tortura.
Del tutto fantasiosa è la nozione di fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale, che presuppone la possibilità di sondare la psiche, i gusti, gli istinti dello stesso; che cosa può mai c’entrare con l’etologia il fatto che un pappagallo venga addestrato a tirare un carretto o una foca a giocare con un pallone, se l’animale chiaramente lo fa senza alcun problema? Con nozioni così vaghe, più filosofiche che scientifiche, si può pervenire ad ogni imprevedibile ed assurda interpretazione. Già si è verificato il caso di un tizio condannato per aver fatto accoppiare cani con donne al fine di produrre filmini porno, sebbene i cani non manifestassero alcun segno di disagio o sofferenza. Quindi l’etologia trasformata in regola morale!
c) Somministrare agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero sottoporli a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi o la loro morte;
Questo punto non presenta particolari difficoltà anche perché è solo un caso particolare rispetto ai divieti generali e perciò nulla aggiunge di concreto.
Del tutto misteriosa è la nozione di “sostanza vietata”, buttata lì ad orecchio senza capire che non esistono nel nostro ordinamento sostanze vietate se non per certi usi determinati. Ad esempio certe sostanze dopanti sono vietate per usi sportivi e talvolta non sono vietate perché siano dannose, ma perché alterano la genuinità delle prestazioni e violano la correttezza sportiva; il che vuol dire che la nozione di sostanza vietata per gli sport umani, non può essere esportata agli sport ippici e che un divieto sportivo, privo di motivazioni sanitarie, punito solo sul piano disciplinare, non può davvero comportare sanzioni penali se viene violato nell’ippica.
d) Abbandonare animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività;
Sul fatto che sia vietato abbandonare animali domestici non ci sono problemi; caso mai il problema sorge sulla nozione di abbandono. Il legislatore, che probabilmente gli animali li conosceva dai libri, ha ignorato, ad esempio, che greggi di pecore vengono lasciati liberi e incustoditi sugli alpeggi; andava perciò fatto un accenno ad usi e consuetudini; e non sarebbe neppure stato male considerare abbandono anche il fatto di lasciare cani liberi e randagi. La nozione di abbandono presuppone, così come formulata, che vi sia una necessità di cura e custodia. Ad esempio il gatto è un animale che se può si allontana dall’abitazione, fa le sue spedizioni di caccia ed amorose e ritorna a casa più che altro perché gli fa comodo; ma può anche non tornare e persino inselvatichirsi, come spesso avviene in campagna. Per alcuni gatti vi sarà la necessità di provvedere ad essi, ma di certo non è una regola generale. Del pari contraria ad ogni esperienza etologica è la nozione che un animale selvatico tenuto in cattività non sia più in grado di ritornare allo stato selvatico. Esperimenti compiuti su maiali nati e cresciuti da sempre in cattività, hanno mostrato che essi non hanno nessun problema a reinselvatichirsi. Anche in questi casi non potrà mai prescindersi da un accertamento diretto sull’animale per valutare quanto l’addomesticamento lo abbia privato delle sue capacità naturali, ovviamente con riferimento all’ambiente in cui si trova.
e) Detenere animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze (art. 727 C.P.).
Questo punto è troppo generico e già si è prestato ad abusi. Ad esempio il Ministero della Sanità più volte ha cercato di utilizzare questa norma per vietare i collari elettrici per l’addestramento dei cani, ignorando completamente che un collare elettrico di per sé è un normale strumento, di ineliminabile utilità e che, se usato correttamente, reca al cane solo una lieve molestia e rende inutili e superati altri sistemi di addestramento, ben più afflittivi. Anche un martello, se usato sulle dita invece che sui chiodi, fa molto male e si può usare per torturare, ma non è il caso di vietarli!
Ed infatti le ordinanze del Ministero sono sempre state prontamente annullate dal TAR per manifesta illogicità.

La norma dell’art. 727 C.P. regola situazioni meno gravi delle precedenti e perciò si applica quando l’animale non abbia subito lesioni e il maltrattamenti non giungano al grado della sevizia oppure quando l’autore del fatto abbia agito non spinto da crudeltà (cosa che spesso accade quando questi viva egli stesso una vita degradata).

Le norme sopra esposte, salvo quelle di cui agli art. 638 e 727 C.P. non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente.
Vale a dire che se vi è una legge che regola specificamente il trattamento di animali in particolari settori, si applica quella in quanto legge speciale e non le nuove norme di cui al titolo IX del libro II del codice penale. Le manifestazioni storiche si riferiscono in particolare ai vari palii con corse di cavalli o altri equini.
La norma si è dimenticata di un’altra situazione molto importante e cioè la destinazione culinaria di un animale; vi sono animali (lumache, crostacei, pesci, ecc.) che vengono raccolti e venduti vivi e che poi vengono uccisi in casa o in ristorante con metodi tradizionali. Nulla di più probabile che qualche giudice sostenga che siccome si può vivere di insalata, non è necessario uccidere questi animali e quindi si deve punire chi cuoce le cozze. Per fortuna sarà difficile dimostrare che con ciò si lede il sentimento del popolo verso le cozze.
Obbligo di soccorso stradale
Oltre alle disposizioni appena viste è utile sapere che la legge 120/2010, (Modifiche al Codice della Strada) ha introdotto una sanzione amministrativa fino a 1.560 euro per il conducente che non si ferma a soccorrere animali feriti a causa del suo comportamento o che non chiama i soccorsi necessari. Norma utopistica e non molto saggia perché le Forze dell’Ordine di notte hanno senza dubbio problemi più gravi che non soccorrere un rospo ferito e che indurrà molti automobilisti a dare il colpo di grazia all’animale ferito per evitare di doverlo soccorrere!
Attenzione: comunque non toccare mai un mammifero ferito o morto senza usare i guanti perché il pericolo di contagio da rabbia è elevato fino ad alcune ore dopo la sua morte; attenzione ai morsi dell’animale ferito perché la saliva è il miglior veicolo di contagio e attenzione che un animale ferito può scalciare e dar cornate mortali. Perciò il buon senso del cittadino, molto maggiore di quello di certi legislatori, gli consiglia, in caso di investimento notturno di un animale, di fermarsi in luogo sicuro fuori della sede stradale, di indossare il giubbotto catarifrangente, di fare la massima attenzione a non farsi travolgere, di controllare a distanza che l’animale non sia già morto e solo in tal caso di telefonare a qualche forza di polizia per “istruzioni”.
Se poi la legge preferisce che un animale ferito venga lasciato agonizzare sulla strada fino a che arriva la polizia, se arriva, piuttosto che essere finito immediatamente, è cosa che attiene al “sentimento verso gli animali” del legislatore, che se ne è assunto la responsabilità!

Vi è poi una ulteriore incongruenza che dimostra quale indegno pateracchio si sia creato facendo le leggi senza sapere di che cosa si parla.
La legge sulla caccia riguarda solo la fauna selvatica a sangue caldo, con l’unica eccezione di talpe, ratti, topi, arvicole e per la fauna selvatica si applica la normativa speciale venatoria; questa prevede come sanzione una contravvenzione con la massima pena per l’abbattimento di animali protetti, tipo l’orso marsicano, dell’arresto da 3 a 12 mesi.
Se però il cittadino si arrischia ad uccidere senza necessità un animale che non rientra fra la fauna selvatica in quanto ritenuto dal legislatore degno di una minor tutela, rischia la sanzione ben più grave per un delitto e la pena ben maggiore della reclusione da tre mesi a diciotto mesi! Forse penserete di non aver capito bene, ma è proprio così: chi uccide Bambi (massima lesione del sentimento popolare, cosa da strappare le lacrime a tutte le maestre d’Italia) è punito in modo molto meno severo di chi uccide senza necessità un topo o una vipera.
Cose da Corte Costituzionale!

Alla fine di questa analisi delle norme sul rispetto dovuto agli animali, appare evidente che ci si troverà ad affrontare una grande disparità di opinioni nella applicazione pratica della legge a seconda delle vedute personali degli interpreti, che troppo spesso crefdono cha la Natura sia quella che hanon visto da piccoli nel film di Bambi.
Si spera che essi si ricordino che tutta la catena della vita è basata sul fatto che ogni essere vivente vive mangiando altri esseri viventi e che l’uccidere, lo sbranare, l’artigliare, l’addentare sono la regola in natura. La caccia ha rappresentato nelle fasi dell’ evoluzione umana una costante per alimentarsi e per difendere il territorio, l’uomo ha dovuto difendersi da predatori e da concorrenti e fa parte delle nostre radici quanto la religione o quanto la nostra struttura sociale di branco.
L’atto di uccidere un selvatico, rispettando le regole poste dalla legge non potrà mai essere qualificato come un atto di crudeltà perché l’uccisione da parte dell’uomo non infligge certamente più sofferenze di quella da parte di un rapace o di un predatore o di un parassita. Né potrà mai essere qualificato come non necessario perché è la legge stessa che ne riconosce la necessità.
Inoltre da nessuna norma venatoria nazionale o internazionale è dato ricavare che le regole imposte all’esercizio della caccia siano ispirate dalla esigenza di limitare le sofferenze del selvatico, come invece talvolta si immagina la Cassazione; le norme intendono sempre e solo vietare mezzi di caccia indiscriminati che non consentono il controllo sulle specie e sul numero dei capi catturati (vedi →Mezzi di caccia).

Uccisione di animali altrui
L’art. 638 C.P. che regola l’uccisione di animali domestici altrui, pone qualche problema di interpretazione e di coordinamento con le nuove norme di legge.
Per quanto concerne i primi due commi è evidente che le norme della nuova legge che tutelano un fatto collettivo come il sentimento verso gli animali devono prevalere su figure di reato poste a tutela di interessi privati. L’articolo potrò semmai applicarsi nei rari casi in cui si sia commesso un danneggiamento che non ha provocato sofferenze all’animale (ad es. colorazione a scacchi del manto di una pecora).
La norma si presta però a meglio precisare la nozione di necessità poiché per legge stabilisce che si possono uccidere animali domestici altrui che stanno danneggiando il nostro raccolto.

Giurisprudenza
(Massime successive alla legge 189/2004)
In tema di reati contro il sentimento per gli animali, la interpretazione dell'ambito applicativo dell'art. 727 cod. pen. nel testo precedente le modifiche introdotte dalla L. 20 luglio 2004 n. 189, con particolare riferimento all'ipotesi della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, corrisponde alla nuova formulazione del citato articolo, con la conseguente esistenza di una continuità normativa fra la fattispecie contravvenzionale già prevista e quella introdotta dalla citata L. 189 del 2004. *Cass., 21 dicembre 2005, n. 2774.
Il reato di cui all'art. 727 cod. pen. detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, può essere commesso non soltanto dal proprietario degli animali, ma da chiunque li detenga anche occasionalmente. (In applicazione di tale principio la Corte ha affermato la responsabilità del soggetto che al momento dell'accertamento si occupava dell'azienda nella quale gli animali erano stati rinvenuti). *Cass., 18 gennaio 2006, n. 6415.
L'abuso nell'uso del collare coercitivo di tipo elettrico "antiabbaio" integra il reato di maltrattamento di animali, di cui all'art. 544 ter cod. pen. atteso che ogni comportamento produttivo nell'animale di sofferenze che non trovino adeguata giustificazione costituisce incrudelimento rilevante ai fini della configurabilità del citato delitto contro il sentimento per gli animali. *Cass., 24 gennaio 2007, n. 15061.
Massima aberrante; per la Cassazione è più importante che il cane sia libero di abbaiare che il sonno del padrone o dei suoi vicini. E poi chi ha detto che il collare sia un tale strumento di tortura? Viene il dubbio che molti giudici conoscano solo l’etologia del proprio gatto castrato!
In tema di delitti contro il sentimento per gli animali, nella nozione di "necessità" che esclude la configurabilità dei delitti di uc-cisione (art. 544 bis cod. pen.) e maltrattamento di animali (art. 544 ter cod. pen.) vi rientra lo stato di necessità previsto dall'art. 54 cod. pen. nonché ogni altra situazione che induca all'uccisione o al maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile. *Cass., 24 ottobre 2007, n. 44822.
In materia di delitti contro il sentimento per gli animali, la fattispecie di maltrattamento di animali (art. 544 ter cod. pen.) configura un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale è tenuta "per crudeltà", mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta è tenuta "senza necessità"... In tema di delitti contro il sentimento per gli animali, le nuove fattispecie previste dal Titolo IX bis del Libro II del cod. pen. inserito dalla L. 20 luglio 2004, n. 189, si differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui (art. 638 cod. pen.) non solo per la diversità del bene oggetto di tutela penale (bene protetto per l'art. 638 cod. pen. è la proprietà privata dell'animale, mentre per le nuove fattispecie è il sentimento per gli animali), ma anche per la diversità dell'elemento soggettivo, in quanto nelle nuove fattispecie la consapevolezza dell'appartenenza dell'animale ad un terzo - persona offesa è elemento costitutivo del reato. *Cass., 24 ottobre 2007, n. 44822.
Configurano il reato di maltrattamenti di animali, anche nella formulazione novellata di cui all'art. 727 cod. pen. non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell'animale, produ-cendo un dolore. (Nella specie il maltrattamento era consistito nella detenzione, all'interno di un canile, di animali obbligati in recinti e gabbie carenti dei requisiti previsti dalla legge ed in condizioni igieniche disastrose). *Cass., 07 novembre 2007, n. 44287.
Ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 727 cod. pen. non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull'animale né che quest'ultimo riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti. (Fattispecie nella quale il reato è stato ravvisato nel fatto di avere tenuto per circa un'ora un cane all'interno di un'autovettura parcheggiata in pieno sole e con una temperatura esterna di circa trenta gradi). *Cass., 13 novembre 2007, n. 175.
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 727 cod. pen. per contrasto con l'art. 25 della Costituzione, sollevata sotto il profilo della violazione del principio di determinatezza della norma incriminatrice, in quanto la norma incriminatrice fa riferimento a concetti ormai di percezione comune giacché entrati a far parte della sensibilità della comunità. *Cass., 13 novembre 2007, n. 175.
Sentenza doppiamente sbagliata: la Cassazione non può dare giudizi di merito, sul fatto, ma solo su questioni giuridiche; perciò doveva dire “se il giudice di merito ha stabilito che quel collare faceva male, noi non possiamo interferire”. Inoltre vi è collare e collare, vi sono varie possibilità di uso e quindi non può esistere una sua condanna generica, per principio.

(Massime anteriori alla legge 189/2004)
Non rientra nella previsione dell'art 727 cod. pen. (incrudelimento e tortura non necessitata di animali)la applicazione ad alcuni fagiani di allevamento di appositi paraocchi, istallati su di una asticciola che perfora una membrana del setto nasale dei pennuti, perche tale applicazione costituisce una pratica profilattica indispensabile diretta ad impedire il cosiddetto fenomeno della pterofagia cioè l'aggressione dei volatili più deboli da parte dei più forti con continue beccate che provocano dapprima il deplumaggio e successivamente ferite mortali con manifestazioni di cannibalismo. *Cass., del 28 ottobre 1967, n. 1614.
La ragione della incriminazione, di cui all'art. 727 cod. pen. va ricercata nella ripugnanza che gli atti di crudeltà verso gli animali destano nella comunità dei consociati. Tali atti contrastano con la gentilezza dei costumi e, se tollerati, costituirebbero una scuola di morale insensibilità alle altrui sofferenze. (nella specie trattavasi di uccisione di un cane randagio in luogo pubblico a mezzo di colpi di fucile). *Cass., 24 settembre 1982, n. 11301.
Pura filosofia che non ha nulla a che vedere con il diritti; anche prendere a calci un barbone contrasta con la “gentilezza dei costumi”, ma per i giudici sono solo percosse, perseguibili a querela!
L'esposizione in pubblico (nella specie in una teca all'interno di una vetrina di un esercizio commerciale) di lucertole che vengono mangiate vive da vipere integra gli estremi della contravvenzione di maltrattamenti di animali, di cui all'art. 727 cod. pen.. invero, tale fatto non può non destare ribrezzo ed è inquadrabile nella ratio dell'incriminazione, costituita dalla duplice esigenza di tutelare il sentimento comune di pietà verso gli animali e di promuovere l'educazione civile, evitando ciò che abitua l'uomo alla durezza ed all'insensibilità per il dolore altrui. *Cass., 22 aprile 1985, n. 8699.
Che la legge abbia anche compiti di educazione morale e civile e che si proponga di creare generazioni dall’animo tenero è proprio una bella novità. Non mi risulta che negli ultimi 20 anni qualcuno sia stato condannato per aver pubblicato immagini o particolari impressionanti o raccapriccianti “in modo da poter turbare il comune sentimento della morale” (art. 15 legge 47/1984) e quindi vuol dire che i magistrati non hanno mai ravvisato nulla di impressionante in tutte le torture e sgozzamenti che si vendono nei film, così come non vedono nulla di osceno nel fatti che due si cavalchino nudi a letto nel televisore. Ma per la Cassazione è raccapricciante che un animale si mangi un altro animale vivo, come avviene ogni secondo in natura da qualche milione di anni. Del tutto accettabile invece che un giudice consideri conforme alla etologia del suo gatto di farlo castrare!
L'art. 727 cod. pen. tutela l'animale, come essere vivente, da tutte quelle attività dell'uomo, che possano comportare l'inflizione di un dolore, che superi la normale soglia di tollerabilità. Rientrano nella fattispecie tutte quelle condotte, che siano manifestazione di tortura o di sottoposizione a fatica - qualora le sofferenze inflitte siano non indispensabili ovvero superiori a quelle ordinariamente praticabili - o che comunque si rivelino espressione di crudeltà, intesa nel senso di particolare compiacimento o di insensibilità. Ne deriva che, se per necessità debba essere data la morte ad un animale, il mezzo da usare deve essere scelto tra quelli più idonei ad evitare inutili patimenti e a non ingenerare ripugnanza. Non presenta tale carattere l'uccisione, realizzata con uno o più colpi di badile, sia perché siffatto metodo rivela totale carenza di comprensione verso le bestie, sia perché determina ripulsa nell'uomo, che vi assiste. *Cass., del 05 novembre 1993, n. 1208.
L’unica cosa che andava accertata era se il colpo di badile aveva o meno ucciso sul colpo l’animale; se così fosse, esso era di certo più adeguato di un colpo di fucile; la ripulsa di chi vede non c’entra nulla; molti non amano vedere cacciare, il che non significa che si debba cacciare di nascosto. Molti non amano uccidere un coniglio a poi lo mangiano!
I limiti posti alla causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto, ed in particolare di quello di proprietà, ed all'utilizzazione degli "offendicula" concernono anche gli animali. L'esigenza di un bilanciamento di interessi che deriva dall'esercizio di un diritto, essendo lo stesso limitato dalla compresenza di altri, aventi eguale o differente forza, comporta di ritenere lecito l'uso degli "offendicula" nei limiti in cui i medesimi appaiano necessari per la difesa di quel diritto e solo qualora non vi sia la possibilità di utilizzare altri mezzi meno o per nulla dannosi, intendendo la pericolosità di questi strumenti nel senso di essere capaci di attentare gli interessi protetti dalla norma incriminatrice con un differente grado, onde occorre scegliere sempre quello che è capace di produrre un danno minore. (Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di che aveva dichiarato l'imputata non punibile ex art. 51 cod. pen. dal reato di maltrattamento di animali, la S.C. ha osservato che vi erano altre azioni (uso di cordicelle idonee al soffocamento di gatti) alternative, non crudeli ed, addirittura, più adatte allo scopo (rete metallica, uso di sostanze, come la candeggina, atte ad allontanare i gatti) e che la proporzione tra bene difeso e quello aggredito deve essere valutata anche con riferimento agli strumenti utilizzabili ed alla loro pericolosità nonché agli interessi protetti, sicché anche sotto questo profilo sussisteva la violazione dell'art. 51 cod. pen. tanto più che la stessa predisposizione delle cordicelle, con le quali era stato soffocato il gatto della parte offesa, poteva essere, in astratto, pericolosa per i bambini e, quindi, per gli essere umani). *Cass., 1° dicembre 1994, n. 12576.
Meno male che la Cassazione è riuscita finalmente a trovare un sistema per tener lontani i gatti!
In tema di reato di maltrattamento di animali (art. 727 cod. pen.), il cosiddetto "dovere di informazione" cui il comune cittadino è tenuto, è esigibile anche dal cacciatore, che esercita un'attività normativamente disciplinata e condizionata dal rilascio di un'autorizzazione e non può, pertanto, invocare l'ignoranza scusabile della norma penale. (Fattispecie relativa alla detenzione di volatili, fungenti da richiamo, in minuscole gabbie, ossia in una condizione incompatibile con la loro natura). *Cass., 24 aprile 1995, n. 6897.
 In tema di maltrattamento di animali (art. 727 cod. pen.), l'art. 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (norme per la protezione della fauna selvatica omeotermica e per il prelievo venatorio) prevede espressamente l'esercizio venatorio con l'uso di richiami vivi, sempre che questo non costituisca ipotesi di crudeltà, eccessiva fatica o ingiustificata tortura. Dopo l'entrata in vigore della legge 22 novembre 1993, n. 473, che ha modificato l'art. 727 cod. pen. l'uso di richiami vivi è vietato anche quando è incompatibile con la natura dell'animale, a prescindere dalla specifica sofferenza causata. Pertanto, l'uso di gabbie per i richiami, ampiamente permesso nel vigore della pregressa disciplina, è ora consentito solo nelle ipotesi residuali, da valutare in concreto, di compatibilità con la natura dell'animale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto integrata la contravvenzione ex art. 727 cod. pen. poiché dieci volatili, quali richiami per la caccia, erano stati tenuti in minuscole gabbie, incompatibili con la loro natura). *Cass., 27 aprile 1995, n. 6903.
Una pratica venatoria che è consentita dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157 non può essere punita a norma dell'art. 727 cod. pen. (maltrattamento di animali), poiché il fatto è scriminato a norma dell'art. 51 cod. pen. in quanto costituisce l'esercizio di un diritto. Non ricorre una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita a norma della citata legge n. 157 del 1992, per le sue concrete modalità di attua-zione sottopone l'animale ad un aggravamento di sofferenze non giustificate dalle esigenze della caccia. (Nella specie la S.C. considerato che la legge n. 157 del 1992 all'art. 21 vieta l'uso di uccelli come richiamo nel caso in cui l'animale è legato per le ali, mentre nella specie l'allodola venne legata con una imbracatura attorno al corpo, ha ritenuto che gli imputati adattarono una pratica venatoria consentita dalla predetta legge, sia perché non espressamente vietata e sia perché certamente meno dolorosa per l'animale rispetto a quella per la quale è stato fissato il divieto). *Cass., 7 novembre 1995, n. 11962.
Non diversamente da quanto accadeva alla stregua del precedente testo dell'art. 727 cod. pen. anche secondo la nuova formulazione dell'articolo, ai fini della sussistenza dell'elemento materiale dell'ipotesi di incrudelimento verso animali, sono necessari atti concreti di crudeltà, ossia l'inflizione di gravi sofferenze fisiche ad essi senza giustificato motivo. Infatti, è appunto la mancanza di motivi che distingue l'incrudelimento dalla sottoposizione a strazio o sevizie; le crudeltà, inoltre, non possono essere che fisiche. Del resto, proprio per questa ragione, il precedente testo dell'art. 727 cod. pen. nell'ipotesi di crudeltà verso gli animali, a differenza della loro sottoposizione ad eccessive fatiche o torture, non poneva la riserva della necessità, perché l'incrudelimento presuppone concettualmente l'assenza di qualsiasi giustificabile motivo da parte dell'agente: la crudeltà è di per sé caratterizzata dall'assenza di un motivo adeguato e dalla spinta di un motivo abietto o futile; inoltre, è pacifico che nell'ipotesi dell'incrudelimento l'elemento soggettivo consiste nel dolo, cioè nella libera e cosciente volontarietà del fatto di incrudelire verso animali. *Cass., 1° ottobre 1996, n. 601.
Allorquando il reato di maltrattamento di animali viene in evidenza con riferimento a comportamenti che costituiscono l'esercizio di pratiche venatorie, occorre tener conto, oltre che della norma di cui all'art. 727 cod. pen. come modificato dalla legge 22 novembre 1993, n.473, anche delle disposizioni che regolano l'esercizio della caccia, di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157. E ciò non perché le norme della predetta legge si pongano in rapporto di specialità con le norme del codice penale, dato che è diversa la loro oggettività giuridica, ma perché un comportamento venatorio che è consentito dalla predetta legge n.157 del 1992, ed è quindi considerato lecito, non può integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali, anche se idoneo a cagionare sofferenze agli animali stessi. Infatti, per la scelta non manifestamente irragionevole operata dal legislatore, è stato ritenuto prevalente l'interesse a garantire l'esercizio della caccia, per cui una pratica venatoria che è consentita dalla legge 11 febbraio 1992 n.157 non può essere punita a norma dell'art. 727 cod. pen. perché il fatto è scriminato dall'art. 51 cod. pen. costituendo l'esercizio di un diritto. Ovviamente non ricorre una tale esimente nel caso in cui la pratica venatoria, pur essendo consentita a norma della citata legge n.157 del 1992, per le sue concrete modalità di attuazione sottoponga l'animale ad un aggravamento di sofferenze che non trovi giustificazione nelle esigenze della caccia. *Cass., 1° ottobre 1996, n. 601.
 Anche l'ipotesi della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura non può prescindere, al pari delle altre, per la sua configurabilità, dalla presenza dell'elemento della sofferenza, intesa come lesione dell'integrità fisica dell'animale. E tale sofferenza, che deve caratterizzare la condotta, deve risultare da una prova adeguata, non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le conseguenze negative sul benessere fisico degli animali. Invero, sotto il profilo dell'interpretazione letterale, non può trascurarsi che la rubrica dell'art. 727 cod. pen. è, pur nel nuovo testo, intitolata "maltrattamento di animali", il che se non altro dimostra la "ratio" della disposizione di perseguire condotte caratterizzate da una componente di lesività dell'integrità fisica; inoltre, una interpretazione che prescindesse dal collegamento con il concetto di sofferenza, condurrebbe a conseguenze palesemente irrazionali, e quindi contrastanti con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.: se fosse sanzionabile la semplice detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, di per sé sola e dunque in assenza di sofferenza fisica degli animali stessi, qualsivoglia detenzione, a prescindere dal luogo, dalle modalità, dalla durata e dagli scopi della stessa, si porrebbe, per ciò stesso, in contrasto col precetto penale, dal momento che si tradurrebbe, inevitabilmente, in una privazione della libertà dell'animale, e quindi contrasterebbe inevitabilmente con la natura dell'animale stesso, istintivamente propenso a vivere in libertà. Oltre che con l'art. 3 Cost. una interpretazione della disposizione in questione svincolata dalla sussistenza della sofferenza potrebbe porsi, per la latitudine indefinita della condotta contemplata, anche in contrasto con il principio di tassatività delle fattispecie penali, di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.. *Cass., 1° ottobre 1996, n. 601.
In tema di maltrattamento di animali, nel caso in cui la detenzione degli uccelli in gabbia, a fini di richiamo per uso dell'esercizio della caccia, sia lecita e le gabbie, quanto alla loro misura, siano regolari, occorre dimostrare, per affermare la penale responsabilità, che la consumazione delle penne e della coda e lo "stress" psichico che gli uccelli abbiano subito siano derivati da altri e diversi fattori che non fossero la sola detenzione in gabbie di quella misura. *Cass., 1° ottobre 1996, n. 601.
Nel caso di detenzione in gabbie di uccelli catturati e destinati alla cessione a fini di richiamo, la misura delle gabbie non può ritenersi troppo ristretta, e quindi idonea di per sé a causare inutili sofferenze agli uccelli e, di conseguenza, ad integrare il reato di maltrattamento di animali, quando le gabbie siano conformi alle misure stabilite dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) (I.N.F.S.). In ogni caso, nel comportamento di chi detenga legittimamente uccelli in gabbie conformi alle dette misure, deve escludersi l'elemento psicologico del reato, essendo ravvisabile un evidente caso di errore scusabile. *Cass., 1° ottobre 1996, n. 601.
La cattura di uccelli appena nati e la loro detenzione in regime di cattività integrano gli estremi del reato di maltrattamenti di animali, poiché ex art. 727, comma primo, cod. pen., come modificato dalla legge 22 novembre 1993, n. 473, risponde di tale reato anche chi detiene animali in condizioni non compatibili con la loro natura. *Cass., 8 ottobre 1996, n. 9574.
La condotta venatoria, anche quando sia consentita, non può comportare sofferenze per gli animali, ove si esplichi con modalità non compatibili con la loro natura e con le loro caratteristiche etologiche. Pertanto, l'uso di uccelli vivi privati delle penne timoniere costituisce pratica assolutamente illegittima, sia per violazione dell'art. 21 lett. r) legge 11 febbraio 1992, n. 157 (che espressamente esclude l'uso a fini di richiamo di uccelli "mutilati"), sia rispetto all'art. 727 cod. pen. perché priva l'animale di una condizione naturale di vita e di una caratteristica etologica costituita dalla possibilità reale del volo e perciò stesso comporta una grave forma di maltrattamento. Egualmente illegittimo, e anche in questo caso concorrono le due indicate ipotesi di reato, è l'uso di uccelli vivi di richiamo non "legati per le ali", ma con le zampe in modo da bloccare non solo il volo, ma addirittura tutto il corpo, con un legame rigido ad un filo di ferro e conseguente caduta a testa in giù per ogni tentativo, pur impossibile, di volo. *Cass., 11 novembre 1996, n. 10674.
Nei confronti degli animali è consentita ogni attività che non rientri in uno dei divieti specificamente dettati dalla legge 11 febbraio 1992, n.157 per la "Protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"; quest'ultima, però, da sola non esaurisce la tutela della fauna stessa, poiché, a seguito della successiva entrata in vigore della legge 22 novembre 1993, n.473, di modifica dell'art.727 cod. pen. la sfera di garanzia si è notevolmente ampliata attraverso l'introduzione dell'ulteriore divieto di tenere condotte che comunque possano determinare il maltrattamento dell'animale utilizzato come richiamo o della stessa preda catturata. Pertanto è configurabile il reato di cui all'art.727 citato quando nell'esercizio della caccia siano utilizzate allodole imbracate e legate con una cordicella, alla quale venga impresso uno strattone, che le faccia sollevare in volo e, poi, ricadere bruscamente perché trattenute dal legaccio: tale comportamento integra una sevizia, poiché la sua ripetitività ossessiva viene ad incidere sull'istinto naturale dell'animale stesso, dapprima dandogli la sensazione di poter assolvere alla primaria funzione del volo ed immediatamente dopo costringendolo a ricadere dolorosamente. *Cass., del 19 novembre 1996, n. 4703.
Tipica valutazione di merito si circostanze di fatto alquanto complesse e non di competenza della Cassazione.
Le diverse ipotesi previste dal primo comma del nuovo testo dell'art. 727 cod.pen.(maltrattamento di animali) sono fattispecie ontologicamente distinte ed autonome. La conseguenza è che gli elementi materiali essenziali ad una fattispecie non possono assumersi come necessari anche per le altre ipotesi. In particolare l'elemento della sofferenza fisica, connaturato all'ipotesi di incrudelimento e sevizie, non è necessario per integrare le altre ipotesi, ed in particolare quella di detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali. Peraltro l'elemento della incompatibilità naturalistica della detenzione conferisce al reato la necessaria determinatezza, così ottemperando al principio di legalità di cui all'art. 25, comma 2, Cost. *Cass., 19 novembre 1997, n. 1353.
Lo stato di cattività nel quale vengano tenuti i volatili per l'utilizzazione venatoria non costituisce, per se solo, un'ipotesi di maltrattamento degli stessi, a norma dell'art. 727 c.p. Tale reato è ravvisabile soltanto se la detenzione dei volatili sia connotata da modalità tali da comportare crudeltà, fatica eccessiva, o condizioni che danneggino lo stato di salute dell'animale, compromettendone la possibilità di espletare le funzioni fisiologiche essenziali, con l'eccezione del volo. (Nella specie la Corte ha ritenuto che il solo fatto che nelle gabbie si potesse determinare un'abrasione accidentale delle penne non integrasse il reato "de quo").*Cass., 6 febbraio 1998, n. 3283.
La norma di cui al nuovo testo dell'art. 727 cod. pen. e relativa alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, non ha abrogato la disciplina sui richiami vivi della legge 11 febbraio 1992 n. 157, pertanto di tali due discipline occorre rinvenire l'armonico coordinamento. *Cass., 17 marzo 1998, n. 5868.
La legge 11 febbraio 1992 n. 157 consente l'uso di richiami vivi, ma vieta che ad esseri viventi, dotati di sensibilità psico-fisica, siano arrecate ingiustificate sofferenze con offesa al comune sentimento di pietà verso gli animali, indicando dei comportamenti vietati con carattere meramente esemplificativo perché rispondenti a pratiche diffuse, ma non escludendo altri usi dei richiami vivi con modalità parimenti offensive. *Cass., 17 marzo 1998, n. 5868.
In tema di maltrattamento di animali, la sola detenzione di un uccello in gabbia, ai fini di utilizzarlo come richiamo vivo per l'esercizio della caccia, correttamente modalizzata, non costituisce di per sé solo maltrattamento, in quanto non incompatibile con la sua natura. Ciò per la naturale assuefazione allo stato di cattività di tutti gli animali, selvatici e non, sia per il fatto che tale modo di detenzione è comune a svariati tipi di animali. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto non integrare il reato la detenzione di uccelli in gabbie regolari quanto alla loro misura). *Cass., 17 marzo 1998, n. 5868.
Lo stato di cattività nel quale vengono tenuti i volatili usati quali richiami vivi per la caccia non costituisce, per se solo, una ipotesi di maltrattamento degli stessi, a norma dell'art. 727 cod. pen. essendo tale reato ravvisabile soltanto se la detenzione dei volatili sia connotata da modalità tali da comportare crudeltà, fatica eccessiva, non giustificata tortura o condizioni che danneggino lo stato di salute degli animali, compromettendone la possibilità di esplicare le funzioni biologiche essenziali, con l'eccezione del volo. (Nella specie la Corte ha escluso il reato in caso di lecita detenzione di uccelli in gabbie di misura rispondente alle regole della letteratura tecnica in materia). *Cass., 7 maggio 1998, n. 7150.
Nell'ipotesi di uccelli che siano utilizzati come richiami nell'esercizio della caccia, ed a tal fine siano imbracati e legati con una cordicella alla quale venga impresso uno strattone, che li faccia sollevare in volo e poi ricadere, deve ritenersi che tale comportamento venatorio, consentito dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157, non può integrare gli estremi del reato di maltrattamento di animali. (Nella specie la Corte ha precisato che l'utilizzo dell'uccello è lecito quando questo sia regolarmente imbracato e non si sottoponga la fune a violenti strattonamenti, ma ci si limiti a tirarla quel tanto che basti a fare alzare in volo l'animale). *Cass., 2 ottobre 1998, n. 2543.
Integra il reato di cui all'art. 727 cod. pen. nella nuova formulazione introdotta con la legge 22 novembre 1993 n. 473, che tutela l'animale inteso come esser vivente, la uccisione degli animali con le tagliole ed i lacci; infatti i lacci uccidono l'animale per soffocamento e rendono estremamente difficile la liberazione, mentre le tagliole portano ad una morte per dissanguamento, sicché vengono inflitte ingiustificate sofferenze che integrano il reato in questione. *Cass., 13 ottobre 1998, n. 12910.
In materia di maltrattamento di animali, la condotta di incrudelimento va intesa nel senso della volontaria inflizione di sofferenze, anche per insensibilità dell'agente. Comportamento questo che non necessariamente richiede un preciso scopo di infierire sull'animale. Peraltro determinare sofferenza non comporta necessariamente che si cagioni una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti. (Nella specie la Corte ha ritenuto integrato il reato nell'aver tenuto legato un cane ad una catena corta e senza alcun riparo). *Cass., 21 dicembre 1998, n. 1215.
Massima che pecca per genericità: certi lacci possono strangolare rapidamente e senza sofferenze (vengono usati persino su essi umani!), certe tagliole uccidono sul colpo e così molte trappole; è un accertamento di merito da farsi volta per volta e che non riguarda la Cassazione.
La legge 11 febbraio 1992, n.157 (Protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) non esaurisce la tutela della fauna in quanto i limiti alle pratiche venatorie sono posti anche dall'art.727 cod. pen. che modificato dalla legge 22 novembre 1993, n.473, ha ampliato notevolmente la sfera di tutela degli animali attraverso il divieto di condotte atte a procurare a questi ultimi strazio, sevizie o comunque detenzioni incompatibili con la loro natura. Ne consegue che le pratiche venatorie consentite sulla base della legge n. 157 del 1992 devono essere verificate, nella loro legittimità, anche alla luce dell'art. 727, come modificato dalla legge n. 473 del 1993.(Fattispecie in cui la S.C. - in applicazione del principio di cui in massima - ha ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 727 cod. pen. nel caso in cui un uccello sia imbracato e trattenuto con un filo che gli consenta di levarsi in volo e di ricadere in quanto strattonato dalla fune cui è legato, pratica consentita dalla legge n. 157 del 1992). *Cass., 24 maggio 1999, n. 8890.
È la stessa legge del 1992 a dire che essa non interferisce con le norme venatorie; quindi la massima è contraria alle legge! Vedi massima 2543/98.
In tema di maltrattamento di animali, l'incrudelimento presuppone concettualmente l'assenza di giustificato motivo da parte dell'agente: la crudeltà è di per sé caratterizzata dall'assenza di un motivo adeguato e dalla spinta di un motivo abietto o futile. Rientrano, quindi, nella fattispecie le condotte che si rivelino espressione di crudeltà intesa come espressione di particolare compiacimento o di insensibilità. *Cass., 10 giugno 1999, n. 9668.
Costituisce forma di maltrattamento idoneo a configurare l'ipotesi di reato di cui all'art. 727 c.p. l'abbandono durante il periodo estivo di un animale, atteso che la norma tutela gli animali in quanto autonomi esseri viventi, dotati di propria sensibilità psico-fisica, e come tali capaci di avvertire il dolore causato dalla mancanza di attenzione ed amore legato all'abbandono. (Nella specie la Corte ha ravvisato il reato "de quo" nell'abbandono nel giardinetto di proprietà degli imputati, di due gattini in tenera età, deceduti per inedia). *Cass., 10 luglio 2000, n. 11056.
Un altro giudice che parla di gatti senza conoscerli; un gatto non sa che farsene delle attenzioni e dell’amore del proprietario; il maltrattamento c’era, ma perché mancava il cibo o un ricovero, non le carezze!
Non integra il reato di cui all'art. 727 cod. pen (maltrattamento di animali), neppure sotto la forma dell'abbandono, la consegna di un cane presso le strutture comunali di ricovero per cani sul falso presupposto che l'animale non sia il proprio, ma abbia origine randagia, atteso che gli animali ricoverati presso le strutture comunali non possono essere soppressi né destinati alla sperimentazione, e che agli stessi nell'attesa della cessione a privati vengono assicurate le necessarie prestazioni di cura e custodia. *Cass., 5 luglio 2001, n. 34396.
Vien da chiedersi chi abbia fatto perdere tempo alla giustizia con un problema così inesistente! Forse qualche giudice aveva scambiati un cane per figlio.
Costituisce incrudelimento senza necessità nei confronti di animali, suscettibile di dare luogo al reato di cui all'art. 727 cod. pen. ogni comportamento produttivo nell'animale di sofferenze che non trovino giustificazione nell'insuperabile esigenza di tutela, non altrimenti realizzabile, di valori giuridicamente apprezzabili, ancorché non limitati a quelli primari cui si riferisce l'art. 54 c.p. rimanendo quindi esclusa detta giustificazione quando si tratti soltanto della convenienza ed opportunità di reprimere comportamenti eventualmente molesti dell'animale che possano trovare adeguata correzione in trattamenti educativi etologicamente informati e quindi privi di ogni forma di violenza o accanimento. *Cass., 12 novembre 2002, n. 43230.
Con idee così nebulose e velleitarie è davvero difficile fa giustizia!
Integra il reato di cui all'art. 727 cod. pen. il comportamento di chi, vantando la proprietà di un cane, lo prelevi dal luogo ove esso si trova e, dopo averlo rinchiuso nel bagagliaio della propria auto di piccole dimensioni, lo trasporti per un apprezzabile lasso di tempo, da un luogo ad un altro, ciò in quanto la restrizione del cane in un ambiente inidoneo, benché non accompagnata dalla volontà di infierire su esso, incide sulla sen-sibilità dell'animale provocandogli un'inutile sofferenza. *Cass., 4 maggio 2004. n. 24330
Decisione che dimostra scarsa conoscenza della psicologia del cane; il cane soffre forse le prime volte (ma dipende dalla sua indole), ma quando ha capito che il fatto di stare nel bagagliaio prelude ad una spedizione di caccia è il primo a corrervi dentro. Guai a quando i giudici pretendo di sapere tutto e che il loro pensiero debba essere di modello per giudicare gli altri. Essi non sono dei filosofi, non sono esperti sociologhi, ma solo degli esperti nello interpretare le leggi.
L'utilizzo di buoi per una gara di velocità di carri trainati dagli animali stessi, che vengono lanciati in una corsa sfrenata attraverso la stimolazione con pungoli e bastoni acuminati, costituisce una condotta di incrudelimento che integra gli estremi del reato di maltrattamento di animali, né è configurabile - neppure a livello putativo - l'esimente di cui all'art. 51 cod. pen. in considerazione del fatto che tale corsa è una manifestazione folcloristica collettiva di carattere religioso, risalente a tempo immemorabile. (Nel caso di specie, la cosiddetta Carrese, che si tiene annualmente in Ururi). *Cass., 22 giugno 2004, n. 37878
La detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze, prevista come reato dal nuovo testo dell'art. 727 cod. pen. diversamente dall'ipotesi di incrudelimento, può essere integrata anche con una condotta colposa del soggetto agente (Fattispecie nella quale la Corte ha ravvisato il reato de quo nell'ipotesi di trasporto di tre cani nel bagagliaio non comunicante con l'abitacolo di un'autovettura). *Cass., 26 aprile 2005, n. 21744.
La detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, prevista come reato dall'art. 727 cod. pen. è configurabile anche in ipotesi di semplice negligenza, atteso che trattasi di contravvenzione non necessariamente dolosa. *Cass., 16 giugno 2005, n. 32837
Ai fini della configurabilità del reato di maltrattamento di animali, di cui all'art. 544 ter cod. pen. non assumono effetto esimente le disposizioni di cui alla legge 11 febbraio 1992 n. 157 di disciplina della caccia, atteso che tale legge non esaurisce la tutela della fauna nell'espletamento delle pratiche venatorie. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto integrato il reato de quo in caso di uso di richiami vivi detenuti con modalità incompatibili con la loro natura). *Cass., 5 dicembre 2005, n. 46784.

(Massime relative all’art. 638 C.P.)
In tema di uccisione, danneggiamento o maltrattamenti di animali, la 'necessita' di cui gli artt. 638 e 727 cod. pen. fanno specifica menzione, non corrisponde allo stato di necessita previsto dall'art 54 del citato codice, dovendo invece, nel particolare richiamo che il legislatore formula a proposito tanto del delitto che della contravvenzione identificarsi un concetto di necessita più ampio e diverso, inerente alla speciale natura di questi reati e al loro specifico oggetto materiale. *Cass., 5 maggio 1971, n. 1124.
 Per l'applicazione della esimente dello stato di necessita di cui all'art 638 cod pen, occorre che il danno in atto o il pericolo di esso sia imminente e non possa essere evitato con forme meno drastiche della uccisione o del danneggiamento dello animale altrui. *Cass., 26 gennaio 1977, n. 7412
Massima errata perché la necessità prevista dall’art. 638 CP è cosa diversa dalla “stato di necessita” e non si configura come esimente (vedi 2372/84).
Il delitto di uccisione di animali altrui presuppone che il colpevole abbia ucciso animali di cui non si sia impossessato. Se vi è stato impossessamento è ravvisabile solo il reato di furto ed è irrilevante la successiva uccisione degli animali. *Cass., 26 aprile 1983, n. 9983.
 Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 638 cod. pen. è necessario e sufficiente, quanto all'elemento materiale, che vi sia stata, senza necessità, l'uccisione, il deterioramento o il danneggiamento di un animale altrui e, con riguardo al dolo, che l'azione sia stata commessa con la coscienza e volontà di produrre uno degli aventi innanzi indicati. Per quanto attiene alle ipotesi del danneggiamento, è idonea a configurare tale elemento la sussistenza di un danno giuridicamente apprezzabile. *Cass., 12 luglio 1984, n. 2372.
Nel concetto di "necessità" che, ai sensi dell'art. 638 cod. pen. esclude la con-figurabilità del delitto di danneggiamento o uccisione di animali altrui, è compreso non solo lo stato di necessità quale assunto dall'art. 54 cod. pen. ma anche ogni altra situazione che induca all'uccisione o al danneggiamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai beni, quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza del reato nell'ipotesi di uccisione di un cane, pastore tedesco, che introdottosi in un pollaio aveva mangiato gli animali ivi rinchiusi e quindi aggredito il loro proprietario accorso per allontanarlo). *Cass., 28 ottobre 1997, n. 1963
Nel concetto di "necessità" che, ai sensi dell'art. 638 cod. pen. esclude la configurabilità del delitto di danneggiamento o uccisione di animali altrui, è compreso non solo lo stato di necessità quale assunto dall'art. 54 cod. pen. ma anche ogni altra situazione che induca all'uccisione o al danneggiamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai beni, quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato la di merito che aveva escluso il requisito della necessità in un caso in cui l'agente era stato chiamato a rispondere del reato per aver ucciso due cani di grossa taglia i quali avevano ripetutamente aggredito un gregge di proprietà dello stesso agente ed erano riusciti a fuggire dopo che quest'ultimo, per evitare ulteriori aggressioni, li aveva catturati). *Cass., del 15 febbraio 2006, n. 8820.
In tema di maltrattamento di animali il reato di cui all'art. 727 cod. pen. è integrato da tutte quelle condotte atte a procurare agli animali strazio, sevizie o comunque detenzioni incompatibili con la loro natura, anche se esse non siano incluse tra le pratiche venatorie vietate dalla legge n. 157 del 1992, alla cui elencazione deve riconoscersi carattere meramente esemplificativo. (Fattispecie, nella quale la Corte ha ritenuto configurabile il reato di maltrattamento di animali, escludendo efficacia scriminante all'utilizzo, consentito dalla legge n. 157 del 1992, nell'esercizio della caccia di allodola imbracata e legata con una cordicella che le consenta di levarsi in volo per poi ricadere bruscamente perché trattenuta dal legaccio). Cass. n. 950 del 07/10/2014.
• Il delitto di uccisione di animali delineato dall’art. 544 bis (che si pone in continuità normativa rispetto al reato di cui all’art. 727 cod. pen. prima della riforma attuata dall’art. 1 comma 1 della L. 20 luglio 2004, n. 189) si configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale che può consistere sia in un comportamento commissivo come omissivo, sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità.
Ritiene in proposito il Collegio che nel concetto di necessità che esclude la punibilità del delitto in parola sia compreso lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., e ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile (Sez. 3, 24.10.2007 n. 44822, Borgia, Rv. 238456).
In ripetute occasioni questa Corte ha affermato il principio secondo il quale "la situazione di necessità che esclude la configurabilità del delitto di danneggiamento o uccisione di animali altrui ex art. 638 cod. pen. comprende non soltanto la necessità di cui all’art. 54 cod. pen. ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento dell’animale per prevenire o evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai propri beni quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile" (Sez. 2, 11.11.2010 n. 47322, Calzoni, Rv. 248999, secondo cui è stata ritenuta integrante lo stato di necessità l’uccisione di un cane pastore tedesco a fronte della situazione di pericolo per altro cane di proprietà dell’imputato già aggredito poco prima e per la moglie dell’imputato; conforme Sez. 2, 15.2.2006, n. 8820 Saddi, Rv. 234743; idem 28.10.1997 n.1963, P.M. in proc. Ziccardi, Rv. 209928).
Va quindi ribadita la regola della configurabilità dello stato di necessità in riferimento al delitto di uccisione di animali, ipotesi che la Corte territoriale ha decisamente scartato sul presupposto che nemmeno l’imputato avrebbe sostenuto la tesi della necessità di difendere il proprio cane dall’aggressione del cane del M. (profilo del tutto errato in quanto nell’atto di appello - come emerge pacificamente dalla pag. 5 - era stato prospettato dal V. il fatto che egli aveva agito per difendere se stesso ed il proprio cagnolino dall’aggressione del cane del M. ).  Cass. sez. III , 29 ottobre – 28 novembre 2016, n. 50329
La sentenza ha riformato una assurda decisione del Tribunale di Portoferraio che aveva condannato un tizio per l'uccisione di un grosso alano slegato che stava mordendo il suo cagnolino al guinzaglio.


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