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 Le Regioni esercitano la predetta funzione legislativa  ad emanazione avvenuta dei corrispondenti decreti previsti dal primo comma dell'articolo  17 della legge concernente provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni  a statuto ordinario, o comunque dopo un biennio dall'entrata in vigore della predetta  legge. Entro lo stesso biennio, in attuazione della IX disposizione transitoria  della Costituzione, la Repubblica adegua la propria legislazione alle competenze  legislative attribuite alle Regioni.
    Quindi  lo Stato avrebbe dovuto emanare una legge quadro o cornice, come si chiamano in gergo,  che stabilisse i principi fondamentali a cui le regioni dovevano attenersi. Ciò  avvenne ben sette anni dopo con la Legge  27 dicembre 1977, n.968. Principi generali e disposizioni  per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia. Le regioni  dovevano emanare le proprie norme entro un anno e fino alla emanazione di esse restavano  in vigore (in linea di massima) le norme del 1939.
    Infine nel  1992, sotto la spinta di movimenti ambientalisti, viene emanata la legge 11 febbraio  1992, n. 157. Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo  venatorio, abroga la legge 27 dicembre 1977, n. 968,  ed ogni altra disposizione in contrasto con la presente legge. È facile comprendere che si trattava  di una specie di gioco delle tre carte del legislatore il quale, essendo vincolato  dalla Costituzione e dagli Statuti a garantire certi spazi di autonomia alla Regioni  a Statuto speciale, ha pensato bene di far sparire le caccia e di sostituirla con  una legge più ampia di tutela ambientale, materia non regolata dagli Statuti.
    Con legge costituzionale 18 ottobre  2001 n. 3 venivano modificati gli art. 116 e 177 della Costituzione e si stabiliva,  per quanto ci riguarda:
    - che restavano fermi i poteri contenuti  negli Statuti speciali regionali;
    - che le regioni devono rispettare  i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;
    - la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente  e dell’ecosistema.
    - la competenza legislativa concorrente  delle Regioni in altre materie, salvo che  per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello  Stato. 
    Quindi attualmente le Regioni a statuto  ordinario hanno competenza concorrente e devono attenersi ai principi fondamentali  contenuti in una legge quadro; quelle a statuto speciale hanno le competenze riconosciute  dai rispettivi statuti.
    Il punto critico della vicenda sta  proprio nel determinare il contenuto dell’obbligo delle regioni a statuto ordinario  e di quelle a statuto speciale in relazione la fatto che la legge quadro sulla caccia  non esiste più, ma vi è solo una legge sulla tutela della fauna che non si presenta  come legge quadro e che non dice quali siano i principi in essa contenuti da considerare  come fondamentali.
    Si noti che il nuovo art. 117 ha eliminato l’obbligo originario che la normativa non fosse in contrasto con  l’interesse nazionale e l’interesse delle altre regioni.
   I limiti posti alle Regioni a Statuto speciale  non sono del tutto uniformi e, per la materia caccia sono i seguenti.
  Sicilia
    R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, convertito  in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, modificato dalle leggi costituzionali  23 febbraio 1972, n. 1, 12 aprile 1989, n. 3 e 31 gennaio 2001, n. 2). 
    Art. 14: L'Assemblea, nell'ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali  della Repubblica, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate  dalla Costituente del popolo italiano, ha la legislazione esclusiva sulle seguenti  materie: (caccia)
  Sardegna
    LC 26  febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), così come da ultimo modificate  dalla LC 31 gennaio 2001, n. 2. 
    Art.  3: In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento  giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli  interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali  della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: (caccia). 
  Valle D’Aosta
    Legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n. 4 così come da ultimo modificate dalla LC 31 gennaio  2001, n. 2:
  In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico  della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi  nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della  Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materi: (caccia),
  Provincia Bolzano e provincia di Trento
    Legge costituzionale 10 novembre 1971  n. 1:
    Le Provincie hanno competenza a legiferare  in materia di caccia rispettati i limiti di cui all’art. 4 e cioè In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento  giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli  interessi nazionali - tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze  linguistiche locali - nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali  della Repubblica.
  Friuli Venezia Giulia
    Legge costituzionale 31 gennaio 1963,  n. 1 e successive modifiche ed integrazioni:
  In armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento  giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico sociali  e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli interessi  nazionali e di quelli delle altre Regioni, la Regione ha potestà legislativa nelle  seguenti materie:  (caccia)
Quindi le differenze fra le Regioni  in materia di caccia sono le seguenti
    - Le regioni a statuto ordinario legiferano  nel rispetto della Costituzione, dei vincoli comunitari e degli obblighi internazionali,  e dei principi fondamentali individuati dallo Stato con legge quadro.
    - La Regione Sicilia legifera solo  nel rispetto delle leggi costituzionali, dei vincoli comunitari e internazionali  e nel rispetto delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente  del popolo italiano. Vedo da atti della Regione che essa ammette di dover rispettare  i principi di grandi riforme economico sociali, anche se obbligo non esplicito nello  Statuto; si può concludere che le riforme ecomico-sociali sono state intese come  le riforme agrarie e industriali.
    - Le regioni Sardegna, Valle D’Aosta  e le Province autonome di Trento e Bolzano legiferano nel rispetto della Costituzione,  dei principi generali dell’ordinamento giuridico, dei vincoli comunitari e degli  obblighi internazionali, nonché delle norme  fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica. Si noti come  non si parli di principi specifici individuati da una legge quadro ma di norme fondamentali  relativi alle sole riforme economico sociali.
    - La Regione Friuli Venezia Giulia,  per una evidente svista di chi ha fatto lo Statuto, si becca anche il rispetto degli interessi nazionali e degli interessi delle  altre Regioni che nulla hanno a che vedere con uno Statuto speciale! Per fortuna  ora l’obbligo è venuto meno con la legge 3/2001.
    La legge del 157/1992 regola poi i  poteri amministrativi delle province e regioni nel seguente modo:
    - L’art.  9 stabilisce che le regioni esercitano le  funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione  faunistico-venatoria di cui all'articolo 10 e svolgono i compiti di orientamento,  di controllo e sostitutivi previsti dalla presente legge e dagli statuti regionali.  Alle province spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione  della fauna secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 (legge  sull’ordinamento delle autonomie locali),  che esercitano nel rispetto della presente legge. Le regioni a statuto speciale e le province autonome esercitano le funzioni  amministrative in materia di caccia in base alle competenze esclusive nei limiti  stabiliti dai rispettivi statuti.
Da esse sorgono due ordini di problemi:
    1) La Legge 27 dicembre 1977, n.968 era specificamente dichiarata essere la legge quadro (Principi generali  sulla…) in materia di caccia e tutela della fauna. La legge 157/1992 l’ha abolita,  non parla più di caccia, ma solo di protezione della fauna, in nessun punto dice  di voler formulare dei principi fondamentali, mai si autodefinisce legge quadro.  Entro quali limiti vale come legge quadro? Quali sono i principi fondamentali in  materia di caccia? È stato violato l’obbligo costituzionale di una specifica legge  quadro?
    2) Per le  Regioni a Statuto speciale quale è la differenza tra l’obbligo di rispettare una  legge quadro previsto per le regioni ordinarie è l’obbligo di rispettare solo le norme fondamentali delle riforme economico sociali, evidentemente più ristretto? E quali  sono queste norme? Può una norma sulla tutela della fauna rientrare fra riforme  economico-sociali? Parrebbe proprio di no! 
    La situazione creata è altamente anomala.  Vi sono leggi costituzionali che attribuiscono alle regioni competenza legislativa  in materia di caccia (il che significa anche che la caccia è riconosciuta come istituzione  con norma costituzionale), salvo il rispetto di alcuni limiti, più ampi per le regioni  ordinarie, molto più ristretti per le regioni speciali. La logica giuridica impone  perciò di ritenere che i limiti che lo Stato può imporre alle Regioni sono limiti  di natura eccezionale, soggetti a stretta interpretazione non estendibile per analogia  o per interpretazione estensiva, e che in mancanza di questi limiti, le Regioni  possono regolare la caccia come meglio credono. Ciò richiede che i limiti siano  chiaramente espressi in una legge.
    Ed invece che cosa è successo? Sotto  la spinta della mentalità antiregionalista vigente fino al 2000, si sono confuse  le carte, sia da parte dello Stato che della Corte Costituzionale, usando dei trucchi  per limitare al massimo i poteri delle regioni. Si cerca di far sparire la nozione  ed il nome stesso di caccia, si pongo dei limiti che non riguardano la caccia direttamente,  ma la tutela della fauna, si fa sparire la legge quadro sulla caccia, così che non  si riesce più a capire quali sono i principi fondamentali che è obbligatorio rispettare,  si nega che le Regioni speciali abbiano minori limiti di quelle ordinarie. Per contro  si presentano come principi ineludibili regole che sono altamente opinabili nella  loro mancanza di elasticità e di adattabilità alle esigenze locali (cosa necessaria  se si vuol parlare di regionalismo e federalismo).
    Si veda l’esempio dei mezzi di caccia.  Ma a chi si vuol far credere che vietare l’uso del furetto per cacciare i conigli  sia un principio fondamentale? O che il cal. 22 debba essere necessariamente vietato  ovunque? O che la scelta fra caccia vagante o caccia da postazione fissa abbia un  senso salvo che in due o tre regioni italiane? O che qualche giorno in più o in  meno del calendario venatorio violi norme fondamentali di riforme sociali ed economiche?  Eccetera, eccetera. 
Sono problemi delicati di diritto  costituzionale che volentieri lasciamo agli specialisti della materia, ma che è  giusto porsi e chiarire. Chiaro però che per l’interprete diviene veramente difficile  individuare i principi fondamentali a cui deve attenersi la legiferazione regionale.
    Questi problemi sono stati più volte  sollevati di fronte alle Corte Costituzionale in relazione ai poteri delle Regioni  speciali; già nel 2002 essa aveva espresso la sia opinione con la sentenza 0536/ 2002 (norme venatorie della Sardegna), scrivendo:
  L'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione esprime una  esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema,  ponendo un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli  equilibri ambientali. Come già affermato da questa Corte, la tutela dell'ambiente  non può ritenersi propriamente una "materia", essendo invece l'ambiente  da considerarsi come un "valore" costituzionalmente protetto che non esclude  la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su materie (governo  del territorio, tutela della salute, ecc.) per le quali quel valore costituzionale  assume rilievo (sentenza n. 407 del 2002). E, in funzione di quel valore, lo Stato  può dettare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale anche  incidenti sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione.  Già prima della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, la  protezione dell'ambiente aveva assunto una propria autonoma consistenza che, in  ragione degli specifici ed unitari obiettivi perseguiti, non si esauriva né rimaneva  assorbita nelle competenze di settore (sentenza n. 356 del 1994), configurandosi  l'ambiente come bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi  minori e che va pertanto salvaguardato nella sua interezza (sentenza n. 67 del 1992).  La natura di valore trasversale, idoneo ad incidere anche su materie di competenza  di altri enti nella forma degli standards minimi di tutela, già ricavabile dagli  artt. 9 e 32 della Costituzione, trova ora conferma nella previsione contenuta nella  lettera s) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, che affida allo Stato  il compito di garantire la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
  5. - Entro questa cornice, occorre verificare anzitutto se l'art. 117,  secondo comma, della Costituzione, sia applicabile o meno alla Regione Sardegna,  in quanto regione a statuto speciale, tenuto anche conto della clausola della immediata  applicazione alle regioni speciali delle parti della legge costituzionale n. 3 del  2001 che prevedano forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite.
  Sul punto, il ragionamento della resistente non può essere condiviso.  Lo statuto speciale della Regione Sardegna attribuisce la materia caccia alla competenza  primaria della regione, prevedendo limiti specifici, quali il rispetto dei "principi  dell'ordinamento giuridico della Repubblica", delle "norme fondamentali  delle riforme economico-sociali della Repubblica", nonché degli "obblighi  internazionali" (art. 3, primo comma, dello statuto speciale per la Sardegna).  La previsione per cui il nuovo regime stabilito dalla riforma si applica anche alle  Regioni a statuto speciale ove sia più favorevole all'autonomia regionale (art.  10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) non implica che, ove una materia attribuita  dallo statuto speciale alla potestà regionale interferisca in tutto o in parte con  un ambito ora spettante in forza del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione  alla potestà esclusiva statale, la regione speciale possa disciplinare la materia  (o la parte di materia) riservata allo Stato senza dovere osservare i limiti statutari  imposti alla competenza primaria delle Regioni, tra cui quelli derivanti dall'osservanza  degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali.
  In questo quadro, la disciplina statale rivolta alla tutela dell'ambiente  e dell'ecosistema può incidere sulla materia caccia, pur riservata alla potestà  legislativa regionale, ove l'intervento statale sia rivolto a garantire standard  minimi e uniformi di tutela della fauna, trattandosi di limiti unificanti che rispondono  a esigenze riconducibili ad ambiti riservati alla competenza esclusiva dello Stato.  Entro questi limiti, la disciplina statale deve essere applicata anche nella Regione  Sardegna, fermo restando che altri aspetti connessi alla regolamentazione dell'esercizio  venatorio rientrano nella competenza di quest'ultima.
  6. - Con specifico riferimento alla questione sottoposta all'esame  di questa Corte, occorre precisare che la delimitazione temporale del prelievo venatorio  disposta dall'art. 18 della legge n. 157 del 1992 è rivolta ad assicurare la sopravvivenza  e la riproduzione delle specie cacciabili e risponde all'esigenza di tutela dell'ambiente  e dell'ecosistema per il cui soddisfacimento l'art. 117, secondo comma, lettera  s) ritiene necessario l'intervento in via esclusiva della potestà legislativa statale.  Come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 323 del 1998, vi è un "nucleo  minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi - accanto  all'elencazione delle specie cacciabili - la disciplina delle modalità di caccia,  nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza  e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta  la disciplina che, anche in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita  il periodo venatorio".
  La legge regionale impugnata ha inciso proprio su questo nucleo minimo  di salvaguardia della fauna selvatica, procrastinando la chiusura della stagione  venatoria oltre il termine previsto dalla legge statale. In base alla legge impugnata,  la stagione di caccia è stata così prolungata per diverse specie di fauna selvatica  (alzavola, cesena, colombaccio, beccaccia, beccaccino, marzaiola, pavoncella, tordo  bottaccio e tordo sassello) oltre il termine del 31 gennaio, secondo quanto risulta  dal calendario venatorio 2002/2003 contenuto nel decreto dell'Assessore della difesa  dell'ambiente della Regione Sardegna del 3 luglio 2002, n. 19/V. L'estensione del  periodo venatorio operata in tal modo dalla regione costituisce una deroga rispetto  alla previsione legislativa statale, non giustificata da alcun elemento peculiare  del territorio sardo, anche in considerazione del fatto che l'Istituto superiore  per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), organismo tecnico scientifico  cui lo Stato italiano ha affidato compiti di ricerca e consulenza sulla materia,  ha espresso in proposito un valutazione negativa. Nè essa può farsi rientrare tra  le deroghe al regime di protezione della fauna selvatica che la direttiva 79/409/CEE,  concernente la conservazione degli uccelli selvatici, consente all'art. 9 solo per  le finalità ivi indicate, rivolte alla salvaguardia di interessi generali (sentenza  n. 168 del 1999), fra le quali non possono essere comprese quelle perseguite dalla  legge regionale impugnata.
  La deroga stabilita dalla Regione Sardegna non trova alcuna giustificazione  nemmeno nella normativa comunitaria e internazionale in materia di protezione della  fauna selvatica che richiede, rispettivamente, che gli Stati membri provvedano,  in relazione alle specie migratrici, "a che le specie soggette alla legislazione  della caccia non vengano cacciate durante il periodo della riproduzione e durante  il ritorno al luogo di nidificazione" (art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE),  e che debbano essere protetti, "almeno durante il periodo della riproduzione,  tutti gli uccelli, e, inoltre, i migratori durante il loro percorso di ritorno verso  il luogo di nidificazione e in particolare in marzo, aprile, maggio, giugno e luglio  " [art. 2, lettera a) della Convenzione di Parigi per la protezione degli uccelli  del 18 ottobre 1950, resa esecutiva in Italia con la legge n. 812 del 1978].
  Se è vero, come sostiene la regione resistente, che le suddette normative  non prevedono termini inderogabili per l'esercizio dell'attività venatoria, occorre,  pero, precisare che esse si prefiggono primariamente l'obiettivo di garantire la  conservazione di tutte le specie di uccelli viventi allo stato selvatico che devono  essere protette dalle legislazioni nazionali.
  La impostazione seguita trova conferma nella sentenza emessa dalla  Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza del 7 dicembre 2000, causa C-38/99)  per violazione dell'art. 7.4 della direttiva 79/409/CEE, con specifico riferimento  alla disciplina francese, richiamata peraltro, quanto alla regolamentazione della  caccia in Corsica, dalla resistente per ulteriormente dimostrare la presunta irrazionalità  della previsione della data del 31 gennaio come termine assoluto e indifferenziato  per lo svolgimento dell'attività venatoria. Nella richiamata decisione, la Corte  di giustizia ha ribadito quanto già affermato nella sentenza del 19 gennaio 1994  (causa C-435/92), e cioè che, per quanto riguarda lo scaglionamento delle date di  chiusura della caccia, "le autorità nazionali non sono autorizzate dalla direttiva  sugli uccelli a fissare siffatte date scaglionate in ragione delle specie di uccelli,  a meno che lo Stato membro interessato possa fornire la prova, avallata da dati  tecnico-scientifici appropriati a ciascun caso specifico, che uno scaglionamento  delle date di chiusura della caccia non sia di ostacolo alla protezione completa  delle specie di uccelli che da tale scaglionamento possono essere interessati".
  7. - La disciplina statale che prevede come termine per l'attività  venatoria il 31 gennaio si inserisce, dunque, in un contesto normativo comunitario  e internazionale rivolto alla tutela della fauna migratoria che si propone di garantire  il sistema ecologico nel suo complesso. La suddetta disciplina risponde senz'altro  a quelle esigenze di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema demandate allo Stato  e si propone come standard di tutela uniforme che deve essere rispettato nell'intero  territorio nazionale, ivi compreso quello delle Regioni a statuto speciale. La legge  della Regione Sardegna, privilegiando un preteso "diritto di caccia" rispetto  all'interesse della conservazione del patrimonio faunistico che è stato più volte  riconosciuto come prevalente da questa Corte (sentenze n. 1002 del 1988; n. 35 del  1995; n. 169 del 1999), non rispetta il suddetto standard di tutela uniforme e lede,  pertanto, i limiti stabiliti dallo Statuto della Regione Sardegna (art. 3, primo  comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3).
Analoghi principi sono stati ribaditi  di recente in materia di caccia in provincia di Bolzano con sentenza 487/2008
       - La disciplina contenuta nella  norma censurata è riconducibile all'ambito materiale della “caccia”, che rientra  nella competenza legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano ai sensi  dell'art. 8, n. 15, dello Statuto Trentino-Alto Adige/Südtirol. Si deve tuttavia  rilevare come questa Corte abbia costantemente affermato che, anche a fronte della  competenza legislativa primaria delle Regioni a statuto speciale, spetta pur sempre  allo Stato la determinazione degli standard minimi ed uniformi di tutela della fauna,  nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente  e dell'ecosistema, secondo quanto prescrive l'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost. (ex plurimis, sentenze n. 391 del 2005, n. 311 del 2003, n. 536 del 2002).  Il fondamento di tale competenza esclusiva statale si rinviene nell'esigenza insopprimibile  di garantire su tutto il territorio nazionale soglie di protezione della fauna che  si qualificano come “minime” nel senso che costituiscono un vincolo rigido sia per  lo Stato sia per le Regioni - ordinarie e speciali - a non diminuire l'intensità  della tutela. Quest'ultima può variare, in considerazione delle specifiche condizioni  e necessità dei singoli territori, solo in direzione di un incremento, mentre resta  esclusa ogni attenuazione, comunque motivata. Si deve pure osservare che la materia  “tutela dell'ambiente” non è contemplata nello Statuto Trentino-Alto Adige/Sudtirol,  con la conseguenza che tutti gli oggetti, che non rientrano nelle specifiche e delimitate  competenze attribuite alle Province autonome, rifluiscono nella competenza generale  dello Stato nella suddetta materia, la quale implica in primo luogo la conservazione  uniforme dell'ambiente naturale, mediante precise disposizioni di salvaguardia non  derogabili in alcuna parte del territorio nazionale.
A quanto detto si deve aggiungere che, ai sensi degli artt. 4 e 8 dello  stesso Statuto Trentino-Alto Adige/Südtirol, la legislazione regionale e provinciale  è assoggettata agli obblighi internazionali e quindi ai vincoli derivanti dall'appartenenza  dell'Italia all'Unione Europea.
    Si noti quanto sia in conferente il  richiamo alle norme internazionali, che comunque non venivano lese dalle norme provinciali.  Ma la corte spesso afferma che le norme internazionali corrispondono a principi  fondamentali, dimenticando che per la Costituzione sono due cose diverse che ben  possono avere diversa estensione, non foss’altro per il fatto che le norme internazionali  richiedono quasi sempre adattamenti locali.
Molto sopra le righe appare la sentenza  387/2008 in materia di piccoli parchi  zoologici in provincia di Bolzano in cui si finisce per affermare che ogni norma  statale in materia di giardini zoologici e mantenimento di animali in cattività  contiene principi fondamentali! Come dire che una regione non è libera di stabilire  come tenere due caprioli in un prato, ma deve seguire le stesse norme previste per  i circhi equestri! La stessa sentenza afferma poi che lo stabilire se vi siano da  abbattere cervi troppo cresciuti di numero e divenuti dannosi, non è questione locale,  ma nazionale. 
    In sostanza si può rilevare come la  Corte Costituzionale si sia distinta per un rigido spirito antiautonomistico, pronta  a riconoscere in ogni norma statale principi  fondamentali assolutamente opinabili, pronta ad interpretare le norme di modifica  costituzionale del 2001 come rivolte ad aumentare il potere centrale, in perfetto  contrasto con lo spirito della legge; mai si è posta il problema se per ipotesi  le norme regionali non rappresentassero un miglioramento rispetto ai cosiddetti  “principi fondamentali”; mai si è posta il problema di stabilire la differenza fra  i principi fondamentali delle leggi quadro,  valevoli per le regioni a statuto ordinario e le norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica valevoli  per le Regioni a Statuto speciale; per queste, anzi, neppure si è mai preoccupata  di darne una definizione. Eppure è cosa contraria ad ogni regola di interpretazione  giuridica l’affermare che quando i legislatore ha usato due espressioni diverse,  voleva in effetti significa la stessa cosa! Queste espressioni sono diventate una  delle tante vuote formulette giuridiche (l’ordine pubblico, i principi generali  del diritto, ecc.) troppo spesso usate per giustificare l’attaccamento inconsulto  a regole del passato
    Mai, infine, si è posta il problema  della legittimità di assorbire interamente la materia della caccia in quella più  ampia della tutela ambientale così svuotando di fatto certe competenze delle Regioni  speciali. 
Per principi generali del diritto  costituzionale le regioni non hanno mai competenza in materia di norme penali e  di diritto processuale; non possono quindi creare, modificare od eliminare delitti  e contravvenzioni, stabilire o modificare l’importo delle sanzioni penali. Le Regioni  non possono stabilire chi ha o meno compente di polizia giudiziaria o di pubblica  sicurezza.
    Le Regioni possono prevedere sanzioni  amministrative per infrazioni contenute nella legge statale o regionale; possono  aumentare (ma con qualche dubbio giuridico) l’importo delle sanzioni amministrative  previste dalla legge statale, ma non possono diminuirlo. 
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       - Edoardo Mori | 
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