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Già nel mio scritto del novembre 2011 sulle scienze forensi  avevo annunziato quale sarebbe stato il risultato del processo di Rignano,  ovvio per chi non crede alla ciarlataneria di certa psicologia e per chi sa  quanto i PM siano incapaci di ragionare in termini scientifici e come si affidino al primo perito che trovano.
  E già nel maggio 2007, riferendomi ad altri molti casi  analoghi, avevo pubblicato il seguente articolo.
Psicologia e  giustizia (Rischi e limiti delle indagini su abusi sessuali)
    """ Vi sono dei reati che per certi pubblici ministeri e giudici  sono come il fazzoletto rosso per il toro. Bastano le parole armi o pedofilia  per scatenare comportamenti inconsulti, come avveniva alle parole eresia o  stregoneria con gli inquisitori, e per farli correre a serrare premature  manette ai polsi di innocenti. E si assiste a suggestioni collettive tipiche da  caccia alle streghe o agli ebrei; sembra che l’ultima cosa che li preoccupi sia  quella di poter rovinare psicologicamente e finanziariamente una persona  innocente e scavalcano con scioltezza ogni ostacolo processuale, primo fra  tutti quello molto categorico per cui non si può mettere in carcere (e quale  carcere, dove uno è mescolato a delinquenti patentati, soggetto a violenze di  ogni tipo!) neppure un omicida se non vi sono esigenze cautelari concrete. Ma  non è un grande ostacolo perché con le parole si può motivare tutto; basta dire  che vi sono ancora delle indagini da svolgere che potrebbero essere inquinate  (anche se le indagini potevano tranquillamente essere fatte prima), ed il gioco  è fatto. In realtà le manette sono diventate un moderno mezzo di tortura per  acquisire prove che mancano e per costringere a parlare chi, per legge, ha  diritto di tacere!
  Queste reazioni inconsulte sono quasi sempre accompagnate da  grande ignoranza. Quella in materia di armi è fisiologica perché chi le  respinge ovviamente non può intendersene; e così fa di ogni erba un fascio ed equipara  l’innocuo collezionista di vecchie armi con chi le armi le tiene per fare  rapine. 
  Molto peggiore e preoccupante è l’ignoranza in materia di  psichiatria e psicologia per cui, di fronte ad ogni accusa di abusi su minori,  per prima cosa si prende il minore e lo si affida ad uno dei tanti psicologi  che fanno i periti per i tribunali. Ricordo per chi non lo sapesse che l’essere  iscritto all’albo dei periti non garantisce assolutamente la bontà del perito  (e non lo garantisce neppure il fatto di essere comparso in televisione!).
  Vi posso assicurare che in quarant’anni di professione ne ho  viste di tutte: padri gettati in carcere e privati dei figli perché la moglie,  che voleva divorziare, lo accusava di abusi sul figlio, dichiarazioni di  isteriche con manie sessuali prese per buone sebbene intrinsecamente  inattendibili, bambini presi e manipolati fino a far dir loro ciò che sosteneva  l’accusa, ecc. ecc.
  Il fatto è che gli psicologi non hanno alcun diritto ad  entrare in un processo penale.
  I giudici quando devono ricorrere ad un consulente tecnico  hanno bisogno di ottenere risposte in termini di certezza e non opinioni. Anche  in quelle materie, come la medicina, in cui non sempre si può dare una risposta  dimostrabile con criteri scientifici, occorre che il CTU possa affermare che la  sua risposta corrisponde a ciò che al momento si ritiene corretto a livello  universitario e "allo stato dell'arte". Al giudice non interessano  pareri basati sull’esperienza e sull’intuito del perito, perché sono fattori  incontrollabili. In psicologia manca una dottrina generale universalmente  accettata e quindi la psicologia non arriva ancora al necessario livello di  risposta utile ed è ben difficile poter effettuare un controllo logico su come  il perito è giunto al suo convincimento: il giudice finisce per giudicare in  base alla parola del perito; se poi lo ha nominato perché è un suo amico, se ne  fida ciecamente. La psicologia nel suo corso di studi richiede più che altro  un apprendimento mnemonico e quindi non è una  facoltà universitaria che sviluppi molto lo spirito speculativo e la  metodologia scientifico-sperimentale;  perciò è facile incappare in periti, forse  buoni psicologi e pieni di buona volontà, ma del tutto incapaci di adeguarsi al  metodo della prova giudiziaria e di distinguere fra le loro fantasie e le prove.
  L'esperienza insegna che quando ci si è affidati a psicologi  per accertamenti su minori supposte vittime di pedofilia, i risultati sono  stati tragici per la incapacità dei periti di operare in modo speculativo,  "con il lume della ragione"; tanto che molti giudici si sono fatta la  convinzione che troppi psicologi hanno più problemi esistenziali dei loro  pazienti (quasi tutti abbiamo di questi problemi, ma lo psicologo li  trasferisce sugli altri o li ricerca negli altri) e sono indotti a vedere  “colpevoli” in chiunque.
  Se si potesse fare una indagine sui libri letti dai  magistrati penalisti si resterebbe probabilmente molto turbati; provate a  chiedere ad un magistrato di citarvi qualche opera di medicina legale o di  psichiatria o di scienze forensi o di infortunistica stradale o di metodologia  di indagine e di interrogatorio, e vedrete che ben pochi sanno almeno citarvi  un titolo. Come è possibile allora che un giudice possa dirigere una indagine  su abusi su minori o su violenze sessuali se ignora:
  - che il fanciullo può essere facilmente influenzato da  domande suggestive a cui può rispondere affermativamente solo per compiacere  chi lo interroga (sono suggestive le domande in cui si dà per implicito che  certi fatti siano già provati; ad es. chiedere “Tizio ti ha fatto del male?”  quando ancora non si ha la certezza che proprio di Tizio si tratta); 
  - che il fanciullo può riferire come ricordi propri, storie  che ha sentito dai suo coetanei;
  - che il fanciullo può attribuire un abuso subito da una  persona ad una persona diversa;
  - che le tecniche tanto amate dagli psicologi, come il far  disegnare il bambino, richiedono poi un tale intervento interpretativo da parte  dello psicologo da essere totalmente inaffidabili. Certo, una persona molto  intelligente e preparata può ricavarne degli indizi, ma la nomina a perito non  fa diventare intelligente chi non lo è;
  - che uno psicologo può essere esperto in psicologia, ma non  in bambini;
    - che ogni intervento sul minore deve essere registrato per  controllare poi ogni possibile causa di inquinamento;
    - che i genitori sono i più pericolosi suggestionatori dei  figli e che la suggestione avviene in modo incontrollabile (ad es. quando essi  parlano fra di loro in presenza del figlio); 
    - che in materia di abusi sessuali tra adulti, la calunnia è  frequentissima;
    - che non è vero, come credono alcuni sciocchi psicologi,  che ogni disturbo del comportamento abbia origine in traumi sessuali. Vi è chi  diventa matto per una violenza sessuale e vi è chi sogna violenze sessuali  perché è matto!
    - che vi sono casi di isteria sessuale in cui la donna  riversa su di un uomo i suoi desideri sessuali e poi lo accusa di ogni tipo di  molestie e perversione; e proprio l’abbondanza di particolari erotici che la  donna riferisce è la prova tipica che si tratta solo di fantasie.
    Eppure non sono nozioni del ventesimo secolo. Ho un  manualetto per giudici del 1908 del famosissimo medico legale Borri, in cui già  li si mette sull’avviso in modo esauriente!
  Pare invece  che  nessuno abbia mai letto neppure quel bel racconto emblematico di Anatole France  su di un maestro che tutti i suoi alunni concordi accusavano di averli  maltrattati facendoli sedere sulla stufa calda della classe (all’epoca non si  poteva parlare di atti di pedofilia!). Dopo lungo processo, detenzione e rovina  del maestro, si scoprì che nella classe non vi era mai stata una stufa! """ 
La vicenda di Rignano era strampalata ed inverosimile fin dall’origine, evidente manifestazione di isteria collettiva di genitori autosuggestionatisi a vicenda e che avevano suggestionato i loro figli. Eppure si è verificato che chi doveva bloccare questi isterismi vi si è fatto coinvolgere e gli ha dato corda.
L’unico motivo per cui non sostengo la necessità di  sottoporre a perizia psicologia i magistrati è che la psicologia non serve a  nulla: le persone si giudicano dai fatti e non in base alle idee personali di  altri. 
    (29-5-12)
La sentenza di assoluzione è stata confermata in appello il che fa sperare un pochettino nella giustizia. Ma rimane ignobile il fatto che nessun pagherà per i danni immensi cagionati e che certi giudici possano continuare a rovinare gente dal primo all'ultimo giorno della carriera, senza che nessuno abbia il coraggio di scrivere nelle loro note caratteristiche che non sono "ottimi".
(16 maggio 2014)
Riporto qui le illuminanti pagine di Anatole France (Crainquebille e altre storielle) sulla deformazione mentale dei giudici.
Anatole France
    Cranquebille
  (estratto)
    Il Signor Thomas  (trad. Edoardo Mori)
Ho conosciuto un giudice austero. Si  chiamava Thomas de Maulan e veniva dalla piccola nobiltà provinciale. Aveva  deciso di destinarsi alla magistratura durante il settennale del maresciallo  Mac-Mahon, nella speranza di poter un giorno rendere giustizia in nome del Re. Egli  aveva dei principi che poteva tranquillamente considerare irremovibili, non  avendo mai provato a smuoverli. Ogni volta che si prova a muovere un principio,  ci si trova sotto qualche cosa e ci si accorge che non era affatto un  principio. Thomas de Maulan proteggeva accuratamente dalla propria curiosità i  suoi principi religiosi i suoi principi sociali.
    Egli era giudice al tribunale di prima istanza  nella piccola città di X  dove allora  abitava. Il suo aspetto esteriore ispirava stima ed anche una certa simpatia.  Aveva un lungo corpo secco, la pelle incollata alle ossa, la faccia gialla. La  sua perfetta semplicità gli dava un’aria abbastanza importante. Egli si faceva  chiamare Signor Thomas, senza il  de  Maulan, non in spregio alla sua nobiltà, ma perché si considerava troppo povero  per poterla sostenere. Io l’ho frequentato abbastanza per constatare che la sua  apparenza non ingannava e che, con un’intelligenza limitata in carattere  debole, egli aveva un animo alto. Io scoprii in lui delle grandi qualità morali.  Però, avendo avuto l’occasione di osservare come egli adempiva alle sue  funzioni di giudice istruttore giudicante, mi accorsi che la sua stessa probità e l’idea  che gli si faceva dei suoi doveri, lo rendevano disumano e talvolta gli  toglievano ogni chiarezza di pensiero. Siccome egli era di una devozione  religiosa estrema, l’idea del peccato e dell’espiazione, del delitto della pena,  dominavano il suo spirito sebbene egli non avesse coscienza di ciò, e si vedeva  che egli puniva i colpevoli con la piacevole idea di purificarli. Egli  considerava la giustizia umana come un’immagine sbiadita, ma ancor bella, della  giustizia divina. Durante la sua infanzia gli avevano inculcato che la  sofferenza è una cosa buona, che essa, di per sé sola, a un merito, delle  virtù, che espiatrice. Egli vi credeva fermamente ed era convinto che la  sofferenza spetta a chiunque ha sbagliato.
    Egli amava castigare. Era un effetto  della sua bontà. Abituato a rendere grazie a Dio che gli mandava il male di  denti e le coliche epatiche come punizione del peccato di Adamo e per la sua  salvezza eterna, egli accordava ai vagabondi e ai girovaghi la galera e le  multe come un beneficio e come un aiuto. Egli traeva dal proprio catechismo la  filosofia della legge ed egli era implacabile per dirittura e semplicità di  spirito. Non si può dire che gli fosse crudele; ma non essendo sensuale era  ancor meno sensibile. Egli non riusciva a farsi un’idea concreta e fisica della  sofferenza umana. Egli se ne faceva un’idea puramente morale e dogmatica. Egli  aveva una predilezione un po’ mistica del sistema delle cellule del carcere e  non fu senza una qualche gioia del suo cuore dei suoi occhi che un giorno egli mi  mostrò una bella prigione che si stava costruendo nel suo distretto; una cosa  bianca, pulita, muta e terribile; delle cellule in cerchio e il guardiano al  centro in una specie di faro. Una cosa che aveva l’aria d’un laboratorio  istituito da pazzi per fabbricare dei pazzi. E sono davvero dei pazzi sinistri  questi inventori del sistema delle celle i quali, per moralizzare un malfattore,   lo sottomettono a un regime che lo rende  stupido o furioso. Il Signor Thomas la pensava in modo tutto diverso. Egli  contemplava in silenzio e soddisfazione queste atroci cellule. Egli dentro di  sé aveva un’idea: egli pensava che il prigioniero non è mai solo perché Dio è  con lui. E il suo sguardo tranquillo e soddisfatto diceva: “Io ne ho messo  messe la cinque o sei tutti soli in faccia al loro creatore e giudice supremo.  Non vi è al mondo sorte più invidiabile della loro.”
    Questo magistrato fu incaricato di  istruire molti casi e fra questi quello di un
    insegnante. L’insegnamento laico e quelle delle congregazioni religiose erano  allora in stato di guerra dichiarato. I repubblicani avevano  denunciato l’ignoranza e la brutalità dei  frati, il giornale clericale della regione rispose accusando un insegnante  laico d’aver fatto sedere un bambino su di una stufa rovente. Quest’accusa  trovò credito presso l’aristocrazia rurale. I fatti vennero riferiti con dei  particolari rivoltanti e la voce pubblica attirò l’attenzione della giustizia.  Il Signor Thomas, che era un uomo onesto non avrebbe mai obbedito alle sue  passioni se egli avesse saputo che cosa erano le passioni.
    Ma egli le scambiava per dei doveri  perché esse erano religiose. Egli ritenne essere suo dovere d’accogliere le  lamentele portate contro la scuola senza Dio ed egli non s’accorse della sua  estrema disponibilità ad accoglierle. Devo dire che egli istituì il caso con  una cura minuziosa e pena infinita. Egli lo istruì secondo i metodi ordinari  della giustizia e ne ottenne quindi dei risultati meravigliosi. Trenta scolari  della scuola, curiosamente interrogati, dapprima risposero male, ma in seguito  meglio e alla fine molto meglio. Dopo un mese di interrogatori essi  rispondevano così bene che davano tutti la stessa identica risposta. Le trenta  deposizioni concordavano, esse erano identiche, interscambiabili, e quei  bambini che il primo giorno dicevano di non visto nulla, ora dichiaravano a  voce chiara, usando tutti esattamente le stesse parole, che il loro compagno  era stato fatto sedere, con il sedere nudo, sopra una stufa rovente. Il signor  Thomas si rallegrò di un così bel successo fino a quando l’insegnante dimostrò  con prove irrefutabile che nella scuola non vi era mai stata una stufa. Il  signor Thomas ebbe un qualche dubbio che i bambini mentissero. Ma ciò di cui  egli non si accorse affatto fu di essere stato lui stesso, senza volerlo, ad  insegnare ed a far loro imparare a memoria la testimonianza.
    Il caso si chiuse con una ordinanza di  non luogo a procedere. L’insegnante fu mandato a casa con una severa paternale  del giudice il quale gli consiglio vivamente di frenare per il futuro i suoi  istinti brutali. I piccoli ragazzi dei frati andarono a fare delle chiassate  davanti alla sua scuola deserta. Quando egli usciva da casa gli gridavano “Ehi!  Griglia-culi” e gli tiravano le pietre. È il solo termine francese che faccia  al caso.
    Frequentando il signor Thomas ho capito  come accade che tutte le testimonianze raccolte da un giudice istruttore  abbiano tutte lo stesso stile. Egli mi ricevette nel suo studio mentre,  assistito dal suo cancelliere, interrogava un testimonio. Volevo ritirarmi, ma  egli mi pregò di restare in quanto la mia presenza non poteva nuocere per nulla  alla buona amministrazione della giustizia.
    Io mi sedetti in un angolo e ascoltai le  domande e le risposte:
  “Duval, ha visto il sospettato alle sei  di sera?”
  “È andata così signor giudice, mia  moglie era alla finestra e allora mi ha detto “guarda c’è Socquardot che passa”.
  “La sua presenza sotto le vostre  finestre le deve essere sembrata tale da essere ricordata perché essa si è  preoccupata di segnalarvelo espressamente. E l’aggirarsi del sospettato vi sono  parse sospette?”
  “ Che volete signor giudice, mia moglie  va detto “ecco Socquardot che passa! Allora io ho guardato e ho detto “davvero,  è Socquardot che passa!”.
  “Ci siamo, cancelliere scriva: alle sei  del pomeriggio i coniugi Duval hanno visto il sospettato che si aggirava  attorno alla casa in modo sospetto”.
    Il signor Thomas fece ancora qualche  domanda testimonio che era un bracciante; raccolse le sue risposte e le dettò  al cancelliere traducendole in gergo giudiziario. Il testimonio ascoltò poi la  lettura della sua deposizione, firmò, salutò e se ne andò.
    Io domandai: “ma perché non raccoglie la  deposizione tale e quale con le parole usate, invece di tradurre in una lingua  che non è quella del testimonio?”
    Il signor Thomas Milly mi guardò con  sorpresa e mi rispose con tranquillità:
  “Io non so ciò che Lei vuol dire. Io  raccolgo le deposizioni nel modo più fedele possibile. Tutti i magistrati fanno  così. E negli annali della magistratura non si cita un caso o un solo esempio d’una  deposizione alterata o troncata da un giudice. Se io, in conformità all’uso costante  dei miei colleghi, modifico i termini impiegati dal testimonio, è perché i  testimoni come questo Duval che Lei ha appena sentito, si esprimono vale e  sarebbe contrario alla dignità della giustizia di ricevere i termini corretti e  spesso grossolani quando non vi è nessuna necessità di farlo. Io credo che Lei non  si renda conto esattamente, caro signore, delle condizioni in cui si fa un’istruzione  giudiziaria. Non bisogna perdere di vista lo scopo che si propone il magistrato  nel raccogliere e raggruppare le testimonianze. Egli non solo deve chiarire le  cose a se stesso ma deve anche illuminare il tribunale. Non basta che la luce  si faccia nel suo spirito; occorre che gliela faccia dello spirito dei giudici.  È importante quindi che egli metta in evidenza gli indizi che talvolta sono  dissimulati nella narrazione equivoca o  sovrabbondante di un testimonio come nelle  risposte ambigue del sospettato. Se esse venissero registrate senza ordine o  metodo, le testimonianze più probanti sembrerebbero deboli e la maggior parte  dei colpevoli sfuggirebbero al castigo”.
  “Ma questo procedimento che consiste nel  precisare il pensiero ondivago dei testimoni, non è forse pericoloso?”
  “Lo sarebbe se i magistrati non fossero  coscienziosi. Ma io non ho mai conosciuto un solo magistrato che non avesse un’altra  coscienza dei suoi doveri. Eppure io mi sono seduto assieme a protestanti, a deisti,  a  ebrei; ma erano magistrati.”
  “Però signor Thomas, il Suo modo di  procedere ha questo inconveniente che quando al testimonio viene letta la sua  deposizione egli non è più in grado di capirla perché Lei ha introdotto dei  termini che non gli appartengono e il cui senso gli sfugge. Che cosa mai può  voler dire a questo bracciante la Sua espressione “atteggiamento sospetto”?”
    Egli mi rispose vivacemente:
  “Ho pensato a ciò ed ho preso delle  precauzioni minuziose contro questo pericolo. Le faccio un esempio: poco tempo  fa un testimonio da intelligenza molto limitata e la cui moralità mi è  sconosciuta, mi sembrò disattento quando il cancelliere gli dava lettura della  sua  deposizione. Io allora feci di  leggere di nuovo il verbale dopo averlo invitato a prestare molta attenzione.  Mi parve di capire che non ne avesse fatto nulla. Allora io usai uno  stratagemma per portarlo a prendere assoluta conoscenza dei suoi doveri e della  sua responsabilità: io dettai al cancelliere un’ultima frase che contraddiceva  tutte le precedenti, e invitai il testimonio a firmare. Al momento in cui egli  stava per appoggiare la penna sulla carta gli afferrai il braccio dicendo “disgraziato  tu stai firmando una  dichiarazione  contraria a quella che haie appena fatto e così commetti un’azione criminale”
  “E lui cosa ha risposto?”
  “Egli mi rispose in modo pietoso, signor  giudice lei è istruito più di me, lei sa meglio di me ciò che si deve scrivere”.  “Lei vede, aggiunse il signor Thomas, che un giudice preoccupato di ben adempiere  alle sue funzioni sta attento ad evitare ogni causa di errore. Mi creda, caro  signore, l’errore giudiziario è un mito!”
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