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Relazione alla EXA 2001 a Brescia
Nel 1975 veniva emanata la legge 18 aprile 1975 nr. 110
che modernizzava la normativa concernente le armi comuni da sparo. Nel
corso di venticinque anni la legge è stato oggetto di numerose
modifiche e su di essa è stato svolto un notevole lavoro dottrinario
e giurisprudenziale che ha portato ad affinare molti dei concetti in materia
di armi e ad individuare i pregi ed i limiti della normativa vigente.
Si aggiunga che il 30 dicembre 1992 è stata data attuazione alla
direttiva europea 91/477/CEE che richiede alcuni aggiustamenti, sia pure
modesti, alla nostra legislazione in materia di armi.
I problemi principali emersi nel corso di questi anni
sono i seguenti:
- Eccessive incertezze nell'interpretazione di molte norme, per il fatto
che una materia eminentemente tecnica è stata elaborata prevalentemente
da giuristi, in difficoltà nel cogliere le esigenze e le caratteristiche
del settore. Ciò ha portato ad una notevole incertezza del diritto
e ad un eccessivo numero di cittadini incriminati ingiustamente.
- Un certo invecchiamento delle norme che non tengono conto dell'evoluzione
della società, delle nuove forme di criminalità, delle nuove
tecnologie, di nuove forme di sport.
- Una eccessiva burocratizzazione nella gestione delle pratiche amministrative
concernenti le armi, le quali, non tenendo conto nei mezzi moderni informatici,
creano inutili vortici cartacei con enorme dispendio di energie da parte
della P.A., con perdita di tempo e di danaro per il cittadino, senza che
a ciò corrisponda alcun concreto vantaggio per la sicurezza pubblica.
- Una mancanza di chiarezza nell'interpretazione delle norme e nelle procedure
burocratiche da seguire, con la conseguenza che presso i vari uffici si
instaurano prassi operative diverse che disorientano il cittadino ed i
funzionari.
- La constatazione che i giudici non sono in grado di comprendere una
legge tecnica, se essa non è redatta con estrema chiarezza.
Ciò richiederebbe una incisiva riforma legislativa,
e non sono mancate le proposte al riguardo. Personalmente però
sono dell'idea che è pressoché impossibile fare una buona
legge e che vi è il rilevante pericolo che, pur agendo con la miglior
volontà, si finisca per aprire più buchi di quanti se ne
chiudano.
L'esperienza di questi ultimi anni, anche abbastanza recente, ha dimostrato
che il legislatore non è lo strumento più adatto per creare
norme fondamentalmente tecniche, come quelle che devono regolare le armi.
E ciò per due motivi:
- mentre nessuno si sognerebbe di scrivere una norma di legge in materia
di chimica o elettricità senza aver fatto adeguati studi scentifici
universitari, invece chiunque abbia fatto il servizio militare o abbia
avuto una licenza di caccia, è convinto di essere un esperto di
armi e di diritto delle armi e di poter dettar legge in materia; eppure
anche la materia deve armi deve essere conosciuta a fondo e non bastano
vaghe nozioni;
- sul problema delle armi influiscono troppo spesso spinte emotive che
fanno passare in ultimo piano logica e ragionevolezza e inducono il legislatore
a fare "di ogni arma un fascio". Ricordo solo, a titolo di esempio, che,
per questa incapacità di percepire i problemi reali, per la nostra
legislazione una associazione mafiosa si considera armata, se qualche
membro venga trovato in possesso di una fionda!
Senza andare troppo lontano, ricordo, a titolo di esempio, la legge 526/1999
che avrebbe dovuto liberalizzare l'aria compressa e le armi ad avancarica,
la quale, partita bene, è stata talmente massacrata e stravolta
dagli uffici legislativi, che ha finito per dire il contrario di ciò
che si voleva e non ha potuto ancora essere applicata e, se applicata,
solleverà decine di insolubili problemi giuridici.
Queste considerazioni mi inducono a ritenere che, prima
di avviare una riforma legislativa di ampio respiro, sia più utile
iniziare un'opera di chiarimento normativo sul piano della concreta applicazione
quotidiana della legge, eventualmente con qualche ritocco normativo per
correggere evidenti errori od omissioni e per rimediare a disparità
di trattamento del tutto irrazionali.
La legge italiana non è una cattiva legge, nella sostanza è
sufficientemente liberale, ma soffre per la mancanza di un requisito essenziale
ad ogni legge: la certezza del diritto, l'univocità interpretativa
da parte di pubblica amministrazione e giustizia. Da un lato i giudici
che hanno sempre ritenuto di poter risolvere problemi tecnici concreti
con ragionamenti astratti (la famosa logica di Don Ferrante che ancora
impera; ricordate le infinite sentenze in cui i giudici sentenziavano
con brillante logica che il revolver militare italiano era arma di eccezionale
potenza e micidialità, come provato dal fatto che lo usava l'esercito
italiano?); dall'altro la pubblica amministrazione che non ha mai saputo
fornire ai propri uffici indicazioni interpretative valide e, quindi,
un indirizzo uniforme. Non è concepibile che in Italia vi siano
questure che richiedono il certificato di idoneità al maneggio
delle armi per rilasciare il nulla osta al loro acquisto ed altre che
(correttamente) non lo richiedono; che alcuni questori violino la legge
imponendo limiti all'acquisto di munizioni non previsti dalla legge e
che, visto che fanno opera di fantasia e non giuridica, agiscono in modo
del tutto diverso rispetto alle questure confinanti; che ogni questura
o stazione dei Carabinieri abbia le proprie personali idee in materia
di denunzia di munizioni; che dipenda dall'opinione dell'ultimo poliziotto
se essere denunziati o meno per aver detenuto la sciabola del nonno; che
si possa essere denunziati per aver acquistato un coltello che è
in libera vendita nel negozio vicino; e così via per molte pagine!
Propongo pertanto una breve rassegna dei problemi che
potrebbero essere risolti in modo agevole con piccoli ritocchi alla normativa
e, talvolta, anche solo mediante una meditata circolare. L'esperienza
insegna che mentre la pubblica amministrazione è molto restia a
prendere atto delle novità giurisprudenziali (e a dire il vero,
molto spesso ha fatto bene; ricordo le peregrine sentenze sulla balestra),
i giudici di fronte ad una circolare sono costretti ad ammettere che il
cittadino non può essere punito per essersi adeguato alla volontà
della pubblica amministrazione.
Va detto chiaramente che è privo di basi giuridiche il ritegno
che P.A. sovente dimostra nell'affrontare problemi interpretativi posti
dalle leggi; analogo ritegno non si riscontra di centro in campo fiscale
ove le circolari ministeriali finiscono per essere più importanti
della legge stessa. È vero che in passato troppe volte le circolari
delle Ministero dell'Interno non sono state affatto all'altezza della
situazione, ma a ciò si può ovviare con funzionari competenti
ed esperti nella materia e facendo sì che la Commissione per le
armi non sia formata prevalentemente da tecnici che ben poco capiscono
di tecniche legislative.
Con questi ritocchi si potrebbe fare un'opera di grande chiarezza, utile
per la pubblica amministrazione, sollevata dal dover riaffrontare ogni
giorno problemi che invece devono essere risolti una volta per tutte,
e per il cittadino, stressato dalla continua incertezza sui comportamenti
da tenere, sempre in pericolo di essere vessato e torteggiato dal primo
prepotente o ignorante che trova dietro lo sportello e, di conseguenza,
distolto dalle armi. Diciamolo chiaramente: in Italia siamo giunti ad
un tale punto di incoerenza burocratica e di imperscrutabilità
della normativa, che molti cittadini hanno paura ad acquistare giocattoli
ad aria compressa. Ed hanno ragione di aver paura perché molti
hanno avuto grane giudiziarie! Immaginiamo quale può essere la
loro situazione psicologica quando devono avere a che fare con armi vere!
Armi da guerra
Ormai il problema si è ridotto a pochi casi limite. Vi è
la posizione dei fucili d'assalto ridotti ad uso civile con l'esclusione
della ripetizione automatica e con limitazione dei colpi del serbatoio
mobile. A questo punto sarebbe altamente opportuno che dal Ministero,
tramite la Commissione, venisse messo, nero su bianco, il criterio per
la catalogazione di queste armi, stabilendo una volta per tutte e senza
oscillazioni, il numero massimo di colpi consentito. Non è un gran
problema perché sono tipiche armi da collezionismo o da gara, attività
per cui il numero dei colpi nel serbatoio è irrilevante.
Deve poi essere definitivamente risolto il problema del calibro 9 parabellum
che ormai si trascina da anni. E la convinzione generale è che
sulla decisione influiscano piuttosto ragioni commerciali che giuridiche.
Sta di fatto che ormai in molti paesi europei il calibro 9 para è
comune, che anche in Italia sono state già catalogate come comuni
armi in questo calibro, che la legge sull'armamento militare è
chiara nel dire che le pistole non sono più armi da guerra, qualunque
sia il loro calibro, che il calibro di per sé non può rendere
una munizione da guerra. Sta di fatto inoltre che sono stati catalogati
calibri molte volte intercambiabili con il 9 para e calibri più
potenti e che perciò i motivi per cui il Ministero non prende atto
di questa situazione possono ormai ben essere definiti come "oscuri".
Armi bianche
Le leggi che hanno liberalizzato l'aria compressa di ridotta potenzialità
e le repliche di armi ad avancarica monocolpo, hanno reso del tutto anacronistica
e scoordinata la normativa relativa alle armi bianche.
Fermo restando che è ovvio che i cittadini non devono portare addosso,
a scopo di difesa o aggressione, armi bianche, è del tutto privo
di senso che vi sia l'obbligo di denunziare un manganello, un tirapugni,
un pugnale, una vecchia baionetta o una vecchia sciabolo d'ordinanza,
un coltello a scatto. E non dimentichiamoci che secondo una peregrina
sentenza della Cassazione, andrebbe denunziato anche qualche milione di
coltelli con il fermo della lama! Sono tutti oggetti che per potenzialità
offensiva e lesiva non si distinguono in alcun modo da analoghi oggetti
di libera detenzione (mazza da baseball, coltello da cucina o da caccia,
attrezzi sportivi da lancio o per arti marziali, ecc.) ed è una
inutile e sciocca complicazione burocratica, costosa per il cittadino
e la pubblica amministrazione, il pretenderne la denunzia.
Si consideri l'assurdo, ad esempio, di pretendere che un coltellinaio
che prende un coltello da caccia e crea un secondo tagliente sul dorso,
debba essere munito di licenza di fabbricazione pugnali!
Il fatto poi che siano liberalizzate armi da sparo del tutto idonee ad
uccidere a distanza, rende incostituzionale che si possa essere invece
puniti per la detenzione di armi che, come capacità offensiva risalgono
al perito anteriore alla invenzione della polvere da sparo.
È quindi urgente una piccola modifica normativa in cui si dica
puramente e semplicemente, che, fermo restando il divieto di porto in
luogo pubblico di pugnali, baionette, spade affilate, tirapugni, coltelli
a scatto e simili armi proprie, esse sono di libera fabbricazione, vendita
e detenzione. Questa è la normativa della maggior parte dei paesi
europei e non ha mai cagionato il minimo problema di ordine pubblico.
Armi antiche
Analoghe considerazioni devono essere svolte in relazione alle armi antiche
rispetto a cui il legislatore, in passato, ha voluto assurdamente accomunare
la normativa sulle armi alla normativa sulla tutela del patrimonio artistico.
Tra le armi antiche solo una minima parte interessa allo Stato come bene
artistico o museale e solo ad esse deve applicarsi la normativa del testo
unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali,
approvato con decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.490. Per tutte le
altre devono trovare applicazione solo le norme di pubblica sicurezza,
se hanno una ragion d'essere.
Ora è chiaro che se è liberalizzata un'arma ad avancarica
di recente fabbricazione, controllata dal Banco di prova, di sicura affidabilità
sia per resistenza meccanica che per precisione, è una idiozia
logica ritenere che debbano essere oggetto di controllo di PS armi ad
avancarica monocolpo vecchie di almeno un secolo od armi a retrocarica
per cui è escluso che sia possibile rinvenire munizionamento moderno
e che quindi sono, di fatto, armi con cui è impossibile sparare.
Segnalo che persino la Commissione dell'ONU che si sta occupando del problema
del controllo sulle armi, è orientata a escludere dal novero delle
armi da controllare quelle anteriori alla seconda guerra mondiale in calibri
obsoleti.
Altrettanto ovvio è che è pura idiozia logica ritenere che
vi sia motivo per costringere il cittadino a denunziare un'alabarda, uno
spadone, una mazza ferrata e tutta quella miriade di armi da punta o da
botta, (antiche o false che essa siano, il che non può certo essere
accertato dal comune cittadino o poliziotto) che addobbano case antiche.
Così come deve essere liberalizzata la detenzione di una katana
giapponese (con cui non risulta sia mai stato commesso un reato in Italia
negli ultimi cinque secoli!) o di un pugnale moderno, è altrettanto
inevitabile che debbano essere liberalizzate tutte le armi bianche antiche,
le quali si distinguono dalle moderne, solo per la minor lesività.
Anche in questo caso un piccolo ritocco normativo consentirebbe di evitare
sicure censure di incostituzionalità alla normativa vigente.
Coltelli
In questo decennio vi è stata una esplosione nel collezionismo
di coltelli ed è necessario dare una "limata" alla normativa per
eliminare alcune incertezze insorte.
I problemi sorti sono sostanzialmente due.
In primo luogo una qualche incertezza normativa sulla nozione di coltello.
La Cassazione da sempre sostiene che i coltelli a scatto sono armi proprie
non vendibili dai coltellinai, non portabili e da denunziare. Ora, come
detto sopra, si è inventata che siano armi anche i coltelli con
il blocco di lama (che serve per non tagliarsi le dita quando si lavora
e non per aumentare la offensività del coltello!). D'altro lato
l'autorità di PS ha sempre ignorato (devo dire giustamente) queste
invenzioni giudiziarie e così può accadere (e capita spesso)
che un cittadino comperi un coltello in libera vendita in un negozio e
poi se lo veda sequestrare fuori dal negozio da un Carabiniere che invece
segue la Cassazione.
In secondo luogo, quando venne approvata la legge 110/1975, non si tenne
conto che qualche interprete avrebbe potuto ritenere implicitamente abolito
l'art. 80 del Regolamento al T.U.L.P.S. in cui si stabiliva che temperini
e coltelli da tavola non potevano essere considerati idonei all'offesa
alla persona. Purtroppo però quando in materia di armi è
possibile adottare una interpretazione erronea la Cassazione non si lascia
sfuggire l'opportunità, è così ora ci ritroviamo
con una giurisprudenza secondo cui ci vuole il giustificato motivo per
portarsi in tasca il più infimo dei temperini (come se non fosse
un sufficiente motivo quello di pulirsi le unghie!). In effetti il legislatore
non intendeva affatto abolire l'art. 80 citato, che conteneva indicazioni
di puro buon senso.
Si impone quindi una piccola norma che ripristini, con qualche modernizzazione,
l'art. 80 del reg. T.U.L.P.S. e che chiarisca che non vi sono coltelli
a serramanico di tipo vietato e che indichi chiaramente quali coltelli
od altri strumenti taglienti siano portabili anche senza giustificato
motivo specifico, in relazione alla loro ridottissima idoneità
ad offendere, sicuramente minore rispetto a quella di molti oggetti di
uso comune e di liberissimo porto (un mazzo di chiavi ben scelte e ben
impugnate, uno spezzone di plastica dura, una scheggia di legno, possono
sfregiare o bucare ben più di un temperino).
Bombolette irritanti
Il Ministero ha liberalizzato alcuni tipi di bombolette a base di olio
di peperoncino. Da parte sua la Cassazione se ne è uscita affermando
che queste bombolette contengono mortali gas bellici e quindi sono armi
da guerra. Per la Cassazione è normale che in Italia sia da guerra
ciò che negli altri paesi vendono i tabacchini.
La decisione del Ministero è stata senz'altro giusta nella sostanza,
ma è necessario che il problema delle bombolette sia inquadrato
giuridicamente (sono di libera vendita perché non sono idonee ad
offendere oppure sono idonee ad offendere, ma possono essere portate per
giustificato motivo, ad esempio per difendersi da un cane?) e che si stabilisca
entro quali limiti esse sono libere. Sembra ovvio ritenere che non si
possa prescindere da una determinazione della concentrazione massima di
principio attivo impiegabile e del quantitativo massimo di prodotto contenuto
in una bomboletta (bombole idonee a inabilitare più persone debbono
essere riservate alle forze di polizia) .
Il problema potrebbe agevolmente essere risolto con una decisione della
Commissione e con una adeguata circolare ministeriale.
Nulla osta all'acquisto di armi
In molte questure si stanno introducendo prassi assurde in materia di
concessione del nulla osta all'acquisto di armi. Quando esso venne introdotto
(1956) fu del tutto pacifico che per acquistare armi non occorreva alcune
idoneità al maneggio delle armi e che il questore si doveva limitare
ad accertare che non sussistessero specifiche controindicazioni (malattie
mentale e precedenti o condotta tali da comportare il divieto di detenzione
di armi). Questa situazione si è lentamente alterata e ora vi sono
questure in cui si richiede la capacità al maneggio delle armi
per acquistare un'arma, cosa del tutto illegale perché la legge
ha escluso che ci voglia tale capacità persino per collezionare
armi. Ciò comporta, ad esempio, che vedove si vedono rifiutare
il diritto a continuare a detenere le armi del marito oppure che vengano
imposte loro deliranti prescrizioni quella di disattivare l'arma (ma in
tal caso perché il questore rilascia il nulla osta?) oppure di
tenere l'arma smontata oppure di non detenere munizioni! E il bello è
che normalmente il marito le deteneva anch'egli senza essere stato dichiarato
idoneo al maneggio delle armi, come la maggior parte dei detentori di
armi in Italia.
Questa situazione comporta anch'essa notevole incertezza e ansia nei cittadini
i quali si trovano regolarmente di fronte a uffici in cui sembra che sia
stata diffusa la parola d'ordine "chiunque vuole avere a che fare con
le armi è un nemico da scoraggiare e disgustare". E non capiscono
che il cittadino si disgusterà forse delle armi, ma più
di tutto prova disgusto per la burocrazia che si trova davanti e, in fin
dei conti, per il Governo e lo Stato.
Si impone quindi che agli uffici competenti vengano impartite chiare ed
uniformi disposizioni, con l'obbligo categorico di osservarle senza personali
improvvisazioni.
Uso armi sportive
Il Ministero ha emanato una meritoria circolare in materia di trasporto
di armi, chiarendo molti punti dubbi. Come normale, la maggior parte degli
operatori delle forze di polizia non la conosce e non la conoscerà
mai, ma almeno si può spiegare al giudice perché non si
è colpevoli.
Sono rimaste però delle zone d'ombra che contribuiscono ad un inutile
e ingiusto contenzioso giudiziario.
Ad esempio è rimasto nel limbo dell'incertezza il problema se le
armi corte classificate come sportive possano essere tranquillamente portate
da chi è in possesso di licenza di porto di pistola. La risposta
positiva è ovvia, ma intanto l'incertezza continua a regnare nell'animo
dei funzionari di P.S.
Altro problema notevolmente incerto è questo: la legge autorizza
chi è munito di una qualsiasi licenza di porto d'armi, di trasportare
armi fuori della propria abitazione, e la legge vieta a chi non è
munito della specifica licenza di porto di usare (= portare) dette armi
trasportate in luogo pubblico o aperto al pubblico. Ma è consentito
o no usare tale armi in un luogo privato? Faccio un esempio concreto:
con la licenza di tiro a volo trasporto la mia pistola in un'armeria che
ha un tunnel di tiro; posso sparare in quel tunnel poligono? Anche in
questo caso la risposta affermativa parrebbe ovvia, ma nessuno si arrischia
a farlo perché nessuno si è mai preso la briga di chiarire
il problema.
E il problema, come ben si comprende, non è di poco conto. Si pensi
a quanti possono avere la necessità di assicurare la propria difesa
personale non solo nell'abitazione, ma anche nel luogo privato di lavoro
(ad es. proprio laboratorio di oreficeria, ufficio di un distributore
di carburanti) e si sentono dire che anche se trasportano la propria arma
in tali luoghi, commettono reato se la montano e la caricano.
Munizioni
Come noto il regolamento al TULPS consente di detenere fino a 200 cartucce
per arma corta e fino a 1500 cartucce per arma lunga. Questa distinzione
e questi limiti non corrispondono più, attualmente, ad alcuna logica.
Fermo restando che le cartucce non presentano alcun pericolo di esplosione
e che, anche se così non fosse, una cartuccia per arma lunga contiene
più polvere di una per arma corta, la diversa misura è stata
prevista nel presupposto che l'arma corta venisse usata solo in rare occasioni
per difesa personale e che invece le cartucce per fucile fossero di uso
frequentissimo in caccia. Ora la realtà è del tutto diversa:
i cacciatori a palla sparano pochi colpi per ogni stagione venatoria,
mentre sono aumentati enormemente coloro che si dedicano al tiro sportivo
con la pistola.
La situazione, invece di essere corretta in meglio, è stata peggiorata
dalla legge 306/1992 in cui si stabiliva che nella licenza di porto d'armi
andasse stabilito, secondo le esigenze personali, il numero massimo di
munizioni acquistabile dal titolare. La legge non ha mai potuto diventare
operativa perché la sua totale mancanza di logicità e l'ignoranza
delle concreta esigenze del settore, ha impedito di emanare il prescritto
regolamento di attuazione (il che, purtroppo, non ha impedito che molti
questori, più ricchi di fantasia che di senso della legalità,
abbiano provveduto ad imporre illegittime limitazioni).
È però urgente provvedere ad eliminare le incertezze e illogicità
che orano esistono, tenendo conto in particolare delle esigenze dei tiratori
sportivi. Sarà necessario stabilire normativamente nuovi quantitativi
massimi detenibili, o distinguendo cartucce a munizione spezzata per fucile,
cartucce a palla per fucile, cartucce per arma corta, cartucce a percussione
anulare, oppure stabilendo un unico quantitativo massimo (ad esempio 2000
cartucce a percussione centrale + 5000 cartucce a percussione anulare).
Con circolare dovranno poi essere chiarite esattamente le modalità
di denunzia della detenzione di munizioni e della polvere da sparo, tenendo
in debito conto l'orientamento della Cassazione, secondo cui non vanno
denunziati gli acquisti che costituiscano reintegro della dotazione. Non
può essere dimenticato, che il controllo sul consumo delle munizioni
è, nella pratica, impossibile ed inutile e che non ha senso caricare
la P.A. di incombenze del tutto inutili; il controllo sulle munizioni,
se proprio si vuole, è già adeguatamente assicurato dall'obbligo
di registrazione da parte delle armerie (vale qui il paragone con i veleni:
è giusto registrare chi li acquista e controllare che sia in regola,
ma poi non si può davvero accertare se egli il veleno lo dà
davvero ai topi!).
Collezioni di armi comuni da sparo
La normativa della legge 110/1975 in materia di licenze di collezione
di armi, ha subito una involuzione burocratica che ha reso l'istituto
largamente inadeguato alla sua funzione culturale. Le questure hanno sempre
inteso la licenza di collezione come una licenza avente l'unico scopo
di consentire di detenere un determinato numero di armi (anche una sola!)
oltre quelle consentite. Ciò non può essere, salvo che in
casi limiti, perché di regola il collezionismo è una situazione
dinamica che deve consentire una certa "libertà controllata" al
collezionista. È necessario tornare allo spirito della legge 110
e interpretare la norma nel senso che la licenza di collezione accerta
i requisiti soggettivi ed oggettivi del richiedente e l'adozione di adeguate
misure di custodia in relazione al tipo e al numero massimo di armi che
il richiedente intende mettere assieme. Poi però la licenza, una
volta rilasciata, deve essere aperta e deve consentire al titolare di
inserire nuove armi mediante semplice denunzia. Ovviamente la licenza
deve tornare ad essere permanente e non annuale, come stabilito qualche
anno fa da una sciocca circolare che ha creato inutilissimo lavoro agli
uffici e una inutile spesa ai cittadini.
Essenziale è anche che il Ministero provveda a stabilire in modo
uniforme quali sono le misure di sicurezza da adottare da parte del collezionista
perché assurdo che ogni ufficio abbia mano libera e la eserciti
spesso in modo stravagante.
Licenza di porto d'armi a non residenti
Alla fine dell'anno 2000 era stata proposta una norma chiarificatrice
per stabilire che le licenze in materia di armi non devono essere necessariamente
richieste nel luogo di residenza ufficiale, ma anche in quello di domicilio.
Questo per venire incontro alle necessità di tutti gli italiani
che ormai, in tempo di Europa unita, hanno residenza anche all'estero.
La norma si è arenata in un ufficio legislativo perché il
ministro dell'epoca, ben imboccata da un funzionario ministeriale il quale
le ha assicurato che così facendo sarebbe crollato l'ordine costituito,
si è opposto.
La norma è di una tale logicità e necessità che pare
persino impossibile che non basti una semplice circolare ai Questori per
ricordare che è loro compito risolvere i problemi dei cittadini
e non crearli.
Parti di armi
La Cassazione è pervenuta ad affermare l'obbligo di denunzia delle
parti di arma mediante una acrobatica interpretazione della legge 895/1967
che sicuramente non si era occupata del problema! Vi è quindi ora
la strana situazione per cui si ritiene sussistere l'obbligo di denunziare
le parti di arma, senza che nessuno lo abbia mai detto in una precisa
norma di legge e senza che nessuno abbia mai stabilito quali siano le
parti di armi. Si è quindi sviluppata una stravagante giurisprudenza
che confonde gli accessori di armi con le parti di arma e afferma essere
soggetti a denunzia i cannocchiali, i visori notturni, i puntatori laser,
le "prolunghe della canna" (che poi sarebbero i variatori di strozzatura!),
i caricatori.
E quindi urgente provvedere ad una definizione ufficiale del concetto
di parte essenziale d'arma, tenendo conto anche della direttiva europea
che assoggetta a controllo solo "il meccanismo di chiusura, la camera
e la canna delle armi da fuoco", stabilendo che le norme sul controllo
delle armi non possono riguardare parti non essenziali e, tantomeno, accessori.
Commissione Consultiva e Catalogo
La Commissione ha svolto e svolge un compito importate ma, proprio per
questo motivo, deve essere scaricata da un'attività priva di ogni
senso logico, quale quella della catalogazione delle armi. Siamo arrivati
ormai a 12772 numeri, il catalogo non è mai più stato pubblicato,
e non lo sarà mai più, nessuno può essere sicuro
di conoscere i dati esatti di un'arma, visto l'inseguirsi continuo di
note di variazione. Vi sono armi che possono montare tante di quelle conversioni
che nessuno potrà mai stabilire se il modello in esame sia o meno
conforme a quello catalogato. Nell'ultima Gazzetta Ufficiale di marzo
vi si legge che una pistola è stata catalogata in calibro "38 special
wadcutter" come se a forma del proiettile influisse sul calibro, ed allora
vuol dire che la Commissione sta proprio pestando l'acqua nel mortaio,
senza più preoccuparsi di ciò che scrive.
Ormai, come detto sopra, la nozione di arma comune è così
pacifica ed assodata che è pura insensatezza mantenere una Commissione
per dire che un fucile da caccia a canna rigata o un revolver sono armi
comuni. Ed è pura insensatezza burocratica creare questo costo
aggiuntivo inutili a carico di chiunque vuol produrre o importare un'arma.
Una semplicissima norma basterebbe per stabilire che determinate categorie
di armi sono escluse dalla catalogazione perché è impossibile
che siano da guerra e limitare perciò la catalogazione alle armi
che impiegano tipici calibri militari superiori ad una certa misura (ad
es. fucili che sparano cartucce da mitragliatrice), alle armi militari
modificate per uso civile e loro cloni, e a quelle che il Ministero ritenga
di sottoporre a catalogazione in sede di rilascio di licenza di importazione.
Questa rassegna di problemi insoluti, ma facilmente risolvibili,
potrebbe continuare a lungo, ma mi fermo formulando una proposta concreta.
Le leggi vi sono, come abbiamo visto, e l'incertezza del diritto deriva
dalla mancanza di direttive di uniforme applicazione da parte della pubblica
amministrazione, che pure avrebbe il dovere di fornirle ai propri uffici.
Ed siamo tutti convinti che il cittadino soffre estremamente per questa
situazione che lo mette alla mercé del primo funzionario impreparato
che trova dietro lo sportello o del il primo carabiniere ausiliario a
cui hanno cercato di insegnare tutto il diritto penale in tre mesi.
È necessario fare chiarezza. Ed allora perché non pensare
ad un prontuario della normativa sulle armi, redatto dal Ministero con
l'aiuto della Commissione Consultiva e di esperti del settori in cui per
ogni licenza ed attività in materia di armi sia detto chiaramente,
senza argomentazioni giuridiche e senza cavillare sul diritto, ed anzi
dando un taglio ad ogni sciocca controversia, quali sono i diritti e i
doveri del cittadino?
Siccome mi piace essere costruttivo, faccio subito un esempio di come
si potrebbe stendere la scheda relativa alle munizioni (scheda da integrare
via via che si presenteranno nuovi quesiti insoluti).
Normativa attinente alla denunzia delle munizioni e della
polvere da sparo:
La legge consente di detenere un quantitativo massimo di 1500 cartucce
per arma lunga, a canna liscia o rigata, più un quantitativo massimo
di 200 cartucce per arma corta oppure, in alternativa fino a 5 kg di polvere
da sparo. Quindi chi detiene 1500+200 cartucce non può detenere
polvere e chi detiene 5 kg di polvere non può detenere cartucce.
Cartucce per arma corta sono quelle in calibri tradizionalmente usati
per rivoltelle o per pistole semiautomatiche (6,35, 7,65, 9 corto, 9 para,
9 IMI, 45 ACP, 38 Sp., 357 Mag., 44, ecc.). Le munizioni a percussione
anulare e quelle Flobert si considerano munizioni per arma lunga.
Chi detiene sia munizioni caricate, sia polvere da sparo, non deve comunque
superare il quantitativo massimo di 5 kg di polvere, calcolando che ogni
cartuccia carica per arma lunga equivale convenzionalmente a gr. 1,785
di polvere e ogni cartuccia per arma corta a gr. 0,25.
La denunzia delle munizioni e della polvere, in carta libera, deve indicare
il quantitativo massimo di materiali esplodenti detenuti. Le munizioni
devono essere denunziate con indicazione del rispettivo calibro Non deve
essere denunziato il consumo successivo di polvere o cartucce né
il reintegro del quantitativo iniziale. Chi ricarica munizioni non deve
denunziare le munizioni ricaricate.
Non sono soggette a denunzia le cartucce da caccia a munizione spezzata
(cioè a pallini o a pallettoni) fino al numero massimo di 1000.
Queste cartucce vanno comunque conteggiate dal detentore al fine di non
superare il numero complessivo di 1500 cartucce per arma lunga.
Il trasporto delle munizioni nei quantitativi detenibili senza licenza
è libero.
Non rientrano tra le materie esplodenti i bossoli, gli inneschi, i bossoli
innescati, i proiettili, i pallini.
Quando nell'ambito di uno stesso nucleo familiare più persone detengono
materie esplodenti, ciascuno può detenere i quantitativi sopra
indicati, purché in locali diversi.
Chi ha necessità di detenere quantitativi maggiori di munizioni
o di polvere da sparo deve richiedere la licenza per deposito di materie
esplodenti.
Munizioni a salve: Le munizioni a salve che possono essere usate in armi
comuni da sparo diverse dalle lanciarazzi, in quanto dello stesso calibro
di munizioni a palla, sono equiparate alle cartucce cariche dello stesso
calibro. Le munizioni in calibro diverso da quello delle armi comuni da
sparo sono di libera vendita e detenzione.
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