Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Giustizia bizzarra

Abbiamo un modo ben strano di applicare il diritto.
Dice la legge che dopo esser stati giudicati in due gradi di giudizio si può ricorrere in Cassazione per questioni di diritto. La Cassazione quindi deve solo stabilire quale è la regola di diritto da applicare al caso sottopostole.
Dice la legge che un imputato può essere condannato solo se risulta colpevole al di là  ogni ragionevole dubbio.
 Dice la Corte Costituzionale che non si è condannabili se, senza colpa, si ignorava il divieto contenuto in una legge sconosciuta ai più o incomprensibile o controversa. 
Principi molto chiari, ma applicati in modo bizzarro. Vediamo alcuni esempi attribuiti al noto signor Caio.
Caio legge sul giornale che la Cassazione ha dichiarato che non costituisce ingiuria dire “vaffa… “ a chi ti sta scocciando. La Cassazione non avrebbe dovuto esprimersi sul punto  perché lo stabilire se una espressione sia o meno offensiva, se in un dato contesto di fatto, di persone, di discussione, di offese reciproche, sia o meno lecito mandare l’interlocutore a fare certe cose, è un giudizio di fatto che non ha nulla a che vedere con l’interpretazione della legge. Inoltre pare proprio che la Cassazione, lontana dalla vita reale, abbia ignorato tante cose che doveva lascia valutare al giudice di merito. Le graduazioni di espressioni usabili sono decine, con tantissime sfumature, dall’invito perentorio e con precisa indicazione anatomica, all’invito mascherato ed euclideo in cui si esorta l’interlocutore a fare cubi, alla frase monca in cui si dice di andare a fare qualche cosa lasciata alla fantasia degli ascoltatori, al gesto accompagnato da un suono  impercettibile che può essere riferito a diverse funzioni fisiologiche. Ha poi ignorato che nella società moderna l’invito può essere gradito a molti e che pertanto, per questi, ha  perso il significato ingiurioso, è diventato un modo moderno di mandare al diavolo  o a quel paese.  Chi mai si sentirebbe offeso se lo mandassero “a far sesso con la moglie” ? Ha ignorato che in molti film di successo la frase è molto usata come del tutto normale: sarà volgare, ma solo in casi particolari ha scopo ingiurioso.
Ma Caio non è tenuto a conoscere i problemi della Cassazione e quindi il giorno dopo, quando incontra un condomino che da un anno lo assilla con lamentele, gli dice quello che a suo parere sarebbe bene che facesse. Reazione legittima, poiché tutti abbiamo il diritto di difenderci dalle petulanze verbali altrui.
Il condomino non va dove dovrebbe, ma presenta una querela; Caio, assolto due volte dai giudici di merito, si ritrova condannato dalla Cassazione che, con sublime noncuranza, ha cambiato idea e non si preoccupa delle circostanze di fatto.
Caio è veramente sfortunato perché in quei giorni va a comperare una piccola  arma per divertirsi a fare tiro a segno in cantina; si studia le leggi e trova che, per decisione della Cassazione, non è necessario denunziare le cartucce in dotazione all’arma; è una sciocchezza giuridica, ma Caio non può saperlo e quindi non denunzia le cartucce. Si ritrova denunziato lui da un PM che non ammette l’idea che un cittadino possa essere in buona fede; processato, spende cinquemila euro di avvocato, ma la Cassazione, dopo 4 anni, cambia idea anche questa volta e lo condanna.
Orbene, chi salvo la Cassazione, si sente di affermare che è stato Caio a non conoscere bene la legge, che egli era tenuto a saperne più di giudici con oltre 40 anni di esperienza, che doveva essere tanto furbo da non fidarsi di loro? Eppure la Corte Costituzionale è stata chiara: se i giudici o i burocrati non si mettono d’accordo su di una interpretazione, non sanno neppure loro che cosa ha voluto dire la legge, non ne può soffrire il cittadino. Ma è una delle regole del nostro diritto meno applicata dai giudici.
Purtroppo neppure la regola del ragionevole dubbio viene applicata come si deve. Il nostro sfortunato Caio un bel giorno viene accusato di essere un pedofilo. Fa un mutuo sulla casa e assume un noto avvocato il quale  riesce a convincere i tre giudici del tribunale che le prove non ci sono e viene assolto.  Il pubblico ministero impugna e chiede che il caso, senza che sia stata cambiata una virgola nelle prove, venga riesaminato in appello. Caio giustamente si chiede: ma se tre giudici si sono convinti che sono innocente, non basta ciò a dimostrare che vi è un ragionevolissimo dubbio sulla mia colpa? Anche se altri tre giudici dicessero che sono colpevole, si rimarrebbe sempre con un convincimento al 50%. Come si può superare il dubbio ormai scritto in una sentenza? A che pro andare avanti?
Purtroppo si va avanti, perché non si ha il coraggio di fare una legge per impedire l’accanimento giudiziario (o perché si dà per scontato che i giudici sbagliano troppo),  e in appello due giudici su tre, che non debbono necessariamente essere più preparati o più intelligenti dei primi, lo ritengono colpevole e lo condannano. E così Caio si ritrova detenuto a seguito di un processo in cui quattro giudici erano convinti della sua innocenza e solo due della sua colpevolezza, vale a dire con una prova al 33% . E la Cassazione ha detto che ciò è cosa giustissima. All’anima del sacrosanto principio per cui non si può condannare di fronte ad un dubbio; un giudice serio assolve anche quando vi è l’uno per cento di dubbio.
Non sempre Caio era stato così sfortunato: una volta era stato accusato di spaccio di droga perché annusando la sua auto un noto cane "molecolare" aveva scodinzolato di fronte ad un sacchetto di plastica che aveva contenuto farina di castagne; il finanziere conduttore del cane aveva assaggiato  gli scarsi residui  di polvere accertando il tipico sapore dolciastro della cocaina e stabilendo che il sacchetto ne aveva contenuto almeno un chilo. Caio veniva denunziato a piede libero (prima sua fortuna), sbattuto sulla stampa come spacciatore, con tanto di foto e il PM lo rinviava a giudizio: il suo CTU, anch'esso finanziere aveva la bontà di riconoscere, che la droga era stata mescolata a farina di castagne al fine di turbare il cane! Caio, condannato in primo grado faceva eseguire una perizia di parte e veniva assolto in appello (seconda sua fortuna): in totale spendeva 40.000 euro fra avvocati e periti. A questo punto chiedeva che gli venissero almeno rimborsati i soldi spesi per difendersi dall'imbecillità giudiziari e scopriva che l'Italia è uno dei pochi paesi europei i cui si ha diritto ad un risarcimento solo se si è finiti in carcere: cosa che va bene alla corte costituzionale; cosa che va bene ai giudici (ovviamente) che mai si sono posti dubbi sulla correttezza costituzionale di uno stato che sbaglia, ma non paga; cosa che va bene per la comunità europea che unifica la curva delle banane e la lunghezza de preservativi, ma non si preoccupa di uniformare i diritti dei cittadini. O che forse teme che se lo stato italiano dovesse pagar per l'inefficienza giudiziaria, il default dell'Italia sarebbe immediato.
Caio il suo giudizio su queste vicende se lo è tenuto per sé per evitare nuovi contrasti di opinioni!

18-2-2017

 


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