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Il problema dell'uso  della forza da parte di chi opera per conto dello Stato al fine di realizzarne  la volontà non è molto trattato e il legislatore del 1930 l'ha affrontato un  po' di sfuggita. In passato i legislatori lo aveva proprio ignorato, forse  perché era considerata cosa ovvia che lo Stato e i suoi incaricati avessero più  o meno, mano libera.
    I Romani, con il loro  diritto pragmatico e logico, avevano ben risolto il problema con poche parole.
    Essi avevano scritto  che  vim vi repellere licet (è lecito  respingere la violenza con la violenza), aggiungendo poi  che qui  in re illicita versatur, tenetur etiam pro casu  (chi si comporta in modo illecito risponde  anche per le conseguenze non volute). Come dire: tu, delinquente, stai  commettendo un reato, io poliziotto ho il dovere di impedirlo, se resisti posso  impiegare tutta la forza necessaria, se io mi faccio male, se tu ti fai male,  se un terzo si fa male, se ci sono dei danni, è sempre colpa tua che hai creato  la situazione contraria alla legge!   Soluzione drastica, ma lineare.
Il Codice penale  Zanardelli del 1889, art. 49, stabiliva circa il diritto alla difesa
      Non è punibile colui che ha commesso il fatto: 
      1) Per disposizione della legge, o per ordine, che  era obbligato ad eseguire, dell’Autorità competente; 
      2)  per  esservi stato costretto dalla necessità di respingere  da sé o  da altriuna violenza attuale e ingiusta
      3) per  esservi stato costretto dalla necessita di salvare sé se od altri da un  pericolo grave e imminente alla persona,   al quale non aveva dato volontariamente causa e che non si poteva  altrimenti evitare.
Il codice penale Rocco ha  regolato la legittima difesa scrivendo, nel testo originale del 1930, art. 52:
      Non è punibile  chi   ha  commesso  il  fatto,  per   esservi  stato
      costretto dalla necessità  di difendere un diritto proprio od   altrui
      contro il pericolo  attuale di  un'offesa  ingiusta,   sempre  che  la
      difesa sia proporzionata  all'offesa.
    Era chiaro perciò che si  potevano commettere atti che formalmente costituivano reato al fine di  difendere un diritto proprio o altrui da azioni altrui minacciate o in atto.
    La norma  proteggeva ogni tipo di  diritto, sia relativi alla persona che al  patrimonio. Quindi si poteva reagire con la forza sia per difendersi da una  aggressione fisica sia per difendersi da un furto, un danneggiamento.
    Unico limite quello della  proporzione fra offesa e difesa. La frase sarebbe stata più corretta se avesse  scritto "la pericolosità dell'offesa", ma la sostanza non cambia.
    In seguito l'articolo è  stato integrato con modifiche per tener conto anche dei diritti dei  delinquenti.
    Si vedano sull'argomento  questi miei scritti:
  https://www.earmi.it/diritto/leggi/legittima%20difesa.htm 
  https://www.earmi.it/diritto/leggi/Legittima%20difesa%202018.html 
  https://www.earmi.it/diritto/leggi/leggittima%20difesa%202018b.html
Circa il diritto di fare  uso di armi e coazione fisica contro chi si oppone all'azione di chi  rappresenta lo Stato, il codice Rocco ha scritto:
    Art. 53 -  Uso legittimo delle armi.
  Ferme le disposizioni  contenute nei due articoli precedenti [cioè, art. 51,fatti commessi  nell'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma  giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità oppure art. 52, per  legittima difesa] non è punibile il pubblico ufficiale che, al  fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far  uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto  dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza  all'autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di  strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario,  omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona [Frase  aggiunta dall'art. 14 L.22 maggio1975 n. 152].
  La stessa disposizione si  applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale  gli presti assistenza.
  La legge determina gli  altri casi, nei quali è autorizzato l'uso delle armi o di un altro mezzo di  coazione fisica.
Osserviamo subito, in  base alla lettera della legge:
    - Il titolo è sbagliato;  si doveva scrivere "Uso legittimo delle armi o di un altro mezzo di  coazione fisica", come detto chiaramente nel testo.
- L'art. 51 C.P. nulla dice sulle modalità nell'azione. Gli artt. 51 e 52 C.P. sono richiamati solo per stabilire che se il soggetto ha agito per adempiere ad un dovere o per legittima difesa, non c’è bisogno di ricorrere, all’art. 53; quindi per l’uso legittimo delle armi non si richiede che vi sia proporzionalità fra la pericolosità dell'offesa e l'azione di difesa. Cosa ovvia per il legislatore del 1930 per il quale non si poteva paragonare l’esigenza pubblica con il volere di un singolo. Sul punto si è avviato un orientamento di giudici e Corte Costituzionale per sostenere che il principio di proporzionalità è generale e superiore, da applicare sempre. Una sciocchezza perché l’art. 53 pone il principio della necessità, non delle proporzionalità: se si è di fronte ad un rapinatore armato di pistola, vi è la necessità di disarmarlo e catturalo; forse che il PU deve perdere tempo a valutare se è meglio colpirlo ad una gamba o al petto e correre il rischio di essere ammazzato? Se però il rapinatore è armato solo dì un coltello si può valutare se sia necessario ucciderlo. Se però scappa armato di una pistola, vi è sempre il pericolo che spari ad altri durante la fuga e quindi la necessità c’è, eccome! Sul problema e sui contorcimenti astrusi dei giuristi si veda, ad esempio, questo studio: https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/upload/1438335652DONIZZETTI%202015.pdf
- La frase aggiunta dall'art. 14 L.22 maggio1975 n. 152 è di una stupidità assoluta: a chi mai poteva venire in mente che non si poteva usare la forza per impedire una rapina o un attentato atto a provocare un disastro, ecc.? Forse a un giudice, ma allora andava cambiata la norma sulla scelta dei giudici, non il codice penale! Ho il sospetto che sia stata aggiunta per evitare che, almeno in questi casi estremi, ci fosse un giudice che desse ragione al terrorista dicendo che non vi era stata proporzionalità!
- Sarebbe opportuno inserire la disposizione, ormai quasi generale per i dipendenti pubblici, che chi agisce nell’ambito dell’art. 53 CP, sia o meno dipendente pubblico, risponde solo per colpa grave. L’uso della forza è richiesto in situazioni al limite in cui non vi è spazio a meditazioni, e non si possono davvero giudicare con il bilancino.
- Per il Codice Rocco era  un pubblico ufficiale:
      Art. 357. (Nozione del pubblico ufficiale). 
      Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali:
      1° gli impiegati dello Stato o di un altro ente che  esercitano, permanentemente o temporaneamente, una pubblica funzione,  legislativa, amministrativa o giudiziaria;
      2° ogni altra persona che esercita, permanentemente o  temporaneamente, gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per  obbligo, una pubblica funzione, legislativa, amministrativa o giudiziaria.
    L'articolo è poi stato  sostituito dalla  L. 26 aprile 1990 nr.  86 ed ora recita:
  Art. 357. - Nozione del  pubblico ufficiale.
  Agli effetti della legge  penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione  legislativa, giudiziaria o amministrativa.
  Agli stessi effetti è  pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e  da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione  della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di  poteri autoritativi o certificativi.
Una cosa più vaga ed  indeterminata era difficile da concepire.
    Dice la Cassazione: La legge ricollega esplicitamente la  qualifica di pubblico ufficiale non tanto al rapporto di dipendenza tra il  soggetto e la p.a., ma ai caratteri propri dell’attività in concreto esercitata  dal soggetto agente ed oggettivamente considerata. Di questa devono essere  presi in esame i singoli momenti in cui essa si attua, disgiuntamente previsti  dal legislatore nel comma 2 della norma citata, con riferimento all’esistenza  di un contributo determinante dell’agente alla formazione ed alla  manifestazione della volontà del p.a., all’esistenza di poteri autoritativi o  certificativi. 
    Quindi vi sono pubblici ufficiali che non: sono dipendenti  pubblici: il coadiutore di un curatore fallimentare, un professionista  incaricato  di fare il consulente di una  direzione sanitaria pubblica, dirigenti e dipendenti di una società per azioni  che agisce come un ente privato ma è regolato da norme pubblicistiche, il  titolare di una agenzia di pratiche automobilistiche, l'amministratore di  sostegno, ecc.
  La Cassazione pare  proprio essersi dimenticata che vi sono anche gli incaricati di pubblico  servizio, funzione che meglio si attaglia ai casi in cui il privato compie  da privato solo attività di rilevanza pubblicistica! Ad esempio la Cass. è arrivata a dire, a  sezioni unite che era un P.U. e che andava condannato,  un avvocato che nello svolgere attività  investigativa (sentire un teste) a favore di un cliente aveva omesso di porre  domande che potessero danneggiare il suo cliente e aveva posto quelle che  aiutavano a scagionarlo!  Ma quando mai  un avvocato può essere obbligato a riferire fatti dannosi per il proprio  cliente? E come è possibile che il trascrivere delle dichiarazioni di un privato  lo trasaformi in un cancelliere P.U.? 
Puri deliri giuridici,  rivolti a criminalizzare oltre ogni limite la condotta dei cittadini. Questo è  il motivo per cui l'intelligenza artificiale non potrà mai aiutare la giustizia  italiana: essa non può certo arrivare a capire il caos, più sentenze legge e  meno vi può trovare una logica!  I  giudici hanno già messo le mani avanti affermando che l'AI mai potrà  sostituirli. E fanno bene a temere perché mai una intelligenza superiore potrà  accettare che venga ignorato il principio che il giudice deve fare Giustizia e  non affermare vuote regole e idee personali che portano all'ingiustizia. 
    Però, per quanto ci  riguarda, è chiaro che i PU non mancano davvero;  ad   esempio per l'art. 383 CPP ogni persona è autorizzata a procedere  all'arresto in flagranza di fronte a reati per cui è obbligatorio l'arresto  (art. 380 CPP); se  la persona si sbaglia  in merito alla obbligatorietà, poco male, non è punibile.
    Ciò comporta che  il cittadino può usare la forza come e quanto  un poliziotto, se è armato può usare la sua arma, può legare l'arrestato, ecc..  Se questi resiste commette il reato di resistenza a PU e se scappa dopo la  dichiarazione di arresto, commette il reato di evasione. L'interesse dello Stato alla repressione del crimine è senz'altro più fortedell'interesse  del delinquente all'impunità e bene ha fatto il legislatore ha stabilito che ogni cittadino può arrestare un delinquente che ha commesso un reatro grave e che ogni PU può far valere la sua capacità qualificata per interropere attività illecite. 
    Attenzione però: questo è  ciò che c'è scritto nella legge e che sembra chiaro a tutti. A tutti meno che  ai giudici! Quando  parla di pubblici ufficiali, la dottrina più autorevole e la giurisprudenza  riferiscono l’articolo 53 solo a quei pubblici ufficiali che istituzionalmente  e per legge hanno in dotazione armi o altri mezzi di coazione fisica, cioè,  essenzialmente, per quello che qui interessa, agli appartenenti alle forze  dell’ordine e alle polizie locali (ma anche alle FF.AA., agli appartenenti ai  servizi di intelligence, ecc.). Però la norma non parla solo di armi, ma anche  di forza e perciò questi ragionamenti cadono miseramente. Inoltre se il  legislatore, ben attento alla precisione linguistica, avesse voluto riferirsi  solo ai PU armati, avrebbe scritto “agenti di P.S.”, che sono le persone che hanno  armi di servizio e sono pubblici ufficiali. C'è un motivo se ha usato un'espressione più generale. 
    Qualche altro pensatore è  arrivato a dire che l'esimente vale per il pubblico ufficiale che interviene in  quando obbligato per dovere d'ufficio; se interviene volontariamente, solo per  salvare una vita o evitare un attentato e se non vi è legittima difesa, sarà  punibile per aver preso a calci un delinquente; e se si arrischia a sparare,  lui va in carcere e il delinquente a casa! 
    Ricordo che fin dagli  anni Cinquanta il prof. Antolisei, nel suo famoso manuale di diritto penale su  cui si sono formati decine di migliaia di giuristi, dava come cosa pacifica il  fatto che nell’art. 53 il termine pubblico ufficiale  fosse usato in senso ampio e senza  limitazioni. E ciò si ricava dallo stesso art. 53 CP nel comma in cui dice che  chi sta agendo come pubblico ufficiale può richiedere l’assistenza di qualunque  cittadino il quale diventa anch’esso PU che gode dell’esimente dell’uso  legittimo della forza.  Quindi ogni  diversa interpretazione non può che essere vergognosa, rivolta solo ad impedire  l’applicazione di una norma di legge.
Sul punto legislatore e  giurisprudenza hanno errato non accorgendosi che da un lato le norme sui P.U.  vogliono tutelare da aggressioni i “servitori dello Stato”; dall’altro vogliono  punire chi svolge in modo disonesto compiti volti  a realizzare il funzionamento della cosa  pubblica Ma non sono le due facce della stessa medaglia! Il Notaio, ad esempio,  ha il compito di accertare ufficialmente l’autenticità di una firma, ed è  giusto punirlo se certifica il falso, ma non vi è nessuno motivo per  proteggerlo in modo speciale da resistenze ed oltraggi. E’ ovvio che il Notaio  non può fare uso legittimo delle armi neppure nel suo ufficio, ma l’errore, che  andrebbe  corretto, non  è nell’art. 53 CP, ma nelle norme sui pubblici ufficiali.
    Altri pensatori hanno  sostenuto che quando la legge parla di resistenza, si riferisce solo a quella  attiva e non a quella passiva. Una pura scemenza! Secondo loro se uno si stende  sui binari e blocca un treno, si deve attendere che se ne vada spontaneamente?  Eppure è con questa volontà politica che si sostiene che non si può cacciar via  chi ha occupato una casa, se si sdraia per terra o si lega ai caloriferi o chi  blocca un'autostrada per ricordarci che il chiurlo dal becco sottile si è estinto!
  Rimane ben provata la volontà di molti di non voler distinguere fra onesti e  delinquenti.
Credo sia chiaro, a  questo punto, la necessità di una norma della massima chiarezza se si vuole  evitare, come ora avviene, che il PU rischi peggiori conseguenze giudiziarie  rispetto al delinquente!
   Ciò che il PU può fare e non può fare deve  essere messo per iscritto con regole basate sull'esperienza della polizia e non  sull'esperienza del giudice che è eguale a zero, che spesso non ha mai sperimentato  cosa vuol dire affrontare una persona imbufalita, che in vita sua non ha mai  preso uno schiaffo, salvo forse che dalla moglie.
    Facciamo un esempio  concreto. Ai tempi del diffondersi dell'AIDS i drogati spesso si lanciavano con  la siringa infetta contro i poliziotti che potevano salvarsi solo sparando. Gli  uffici di polizia USA, epoi seguiti da altri Stati, avevano quindi emanato una  circolare in cui si stabiliva che il poliziotto, per salvarsi, doveva essere  pronto a sparare, con l'arma già estratta, quando il drogato era ancora a sette  metri.
    Ciò in base a semplici  calcoli: un tiratore allenatissimo e dotato riesce ad estrarre l'arma dalla  fondina ed a sparare in 40 centesimi di secondo; altri 40 centesimi vanno  calcolati per il tempo di reazione; quindi 80 centesimi dal momento in cui si  percepisce la necessità di agire immediatamente. Per un normale tiratore i  tempi si raddoppiano e le fondine dei poliziotti non sono studiate per il tiro  rapido. Un avversario a sette metri di distanza che parte di scatto per  aggredire la vittima (velocità di 4,5 m/s pari a circa 15 km/h, pari a 20  secondi sui 100 metri), riesce ad entrare in contatto fisico con lei in meno di  1,5 secondi e, quindi, prima che essa sia riuscita a portare a termine  l'operazione di estrarre la propria arma e di sparare.
In via generale si può  osservare invece che gli unici limiti che un legislatore  deve osservare sono quelli della Convenzione  per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali  del 1950. Essa recita:
      Articolo 2 – Diritto alla  vita. 
      1) Il diritto alla vita  di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente  privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale  pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge  con tale pena. 
      2) La morte non si  considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un  ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: a) per garantire la difesa  di ogni persona contro la violenza illegale; b) per eseguire un arresto  regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; c) per  reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.
Vediamo ora cosa avviene in altri paesi
In Austria vi è  una legge apposita:  Legge federale del  27 marzo 1969 sull'uso delle armi da parte della polizia federale e delle forze  di sicurezza comunali e s.m.
    SEZIONE I - Disposizioni  generali
  § 1. La presente legge  federale regola l'uso delle armi nell'ambito dei poteri coercitivi della  polizia.
  § 2. I membri della  Polizia federale e delle forze di polizia municipale, nonché i membri del  servizio legale e gli altri membri delle direzioni della polizia statale e del  Ministero federale dell'interno autorizzati all'esercizio del comando diretto e  del potere coercitivo, possono usare le armi di servizio nell'esercizio delle  loro funzioni in conformità con le disposizioni della presente legge federale:
    1.          nel caso di legittima difesa;
    2.          per superare la resistenza volta a  ostacolare un atto ufficiale legittimo;
    3.          per eseguire un arresto legale;
    4.          per impedire la fuga di una persona  legalmente detenuta;
    5.          per evitare un pericolo rappresentato  da un oggetto.
§ 3. Le armi di servizio  ai sensi della presente legge federale sono:
    1.          Manganelli di gomma e altri bastoni da  intervento,
    2.          Gas lacrimogeni e altre sostanze  irritanti che causano solo un danno alla salute a breve termine,
    3.          Cannone ad acqua,
    4.          Armi da fuoco, ad eccezione del tipo  elencato nella categoria I, Z 3 dell'allegato I dell'atto statale concernente  la restaurazione di un'Austria indipendente e democratica, Gazzetta ufficiale  federale n. 152/1955 ,
    che sono assegnati agli  organismi di cui paragrafo 2 dalla loro autorità o dipartimento superiore per  l'espletamento dei loro compiti.
  § 4. L'uso delle armi è  consentito solo se misure non pericolose o meno pericolose, come in particolare  la richiesta di ripristino della situazione legale, la minaccia dell'uso delle  armi, l'inseguimento di un fuggitivo, l'uso della forza fisica o di mezzi  disponibili meno gravi, come in particolare le manette o le barriere tecniche,  appaiono inadatte o si sono rivelate inefficaci.
  § 5. Se sono disponibili  più armi, può essere utilizzata solo l'arma meno pericolosa che appare  appropriata nella situazione data.
  § 6. (1) L'uso delle armi  contro le persone può avere come unico scopo quello di renderle incapaci di  attaccare, resistere o fuggire. Nei casi di cui ai paragrafi da 2 a 5  dell'articolo 2, il danno che ci si può aspettare dall'uso dell'arma non deve  essere manifestamente sproporzionato rispetto al risultato perseguito.
    (2) Ogni arma deve essere  usata con il minimo danno possibile per le   persone e le cose. Le armi possono essere utilizzate contro le persone  solo se il risultato voluto con il loro utilizzo non può essere raggiunto  utilizzando le armi contro cose.
    SEZIONE II - Uso di armi  potenzialmente letali
  § 7. L'uso di un'arma  contro persone che metta in pericolo la vita è consentito solo:
    1.          in caso di legittima difesa a difesa di  una persona;
    2.          per reprimere un'insurrezione o una  rivolta;
    3. per costringere  all'arresto o impedire l'evasione di una persona condannata per un reato penale  punibile dalla legge, che deve essere commesso con dolol ed è punibile con la  reclusione per più di un anno, o che è fortemente sospettata di tale reato, che  da solo o in combinazione con la sua condotta durante l'arresto o l'evasione la  caratterizza come persona pericolosa per la sicurezza pubblica, per la persona  o per la proprietà;
    4.          per pervenire all'arresto o impedire la  fuga di una persona malata di mente che è pericolosa per la sicurezza della  persona o dei beni altrui.
  § 8. (1) L'uso di armi  contro persone che metta in pericolo la loro vita deve essere minacciato in modo  esplicito, immediatamente precedente e chiaramente percepibile. Se  rivolta alla folla la minaccia deve essere  ripetuta più volte. Anche lo sparare un colpo di avvertimento è considerato una  adeguata minaccia all'uso delle armi da fuoco.
    (2)        L'uso di armi che mettono in pericolo la  vita è consentito solo se è improbabile che metta in pericolo persone non  coinvolte, a meno che non appaia inevitabile per dissuadere una folla dal  commettere atti di violenza che mettono direttamente o indirettamente in pericolo  la sicurezza delle persone.
    (3)        In caso di legittima difesa, le  disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano.
§ 9.Uso di armi diverse  dalle armi di servizio e di mezzi con effetti di arma
   Se non è disponibile un'arma di servizio che  appaia idonea, possono essere utilizzate altre armi o mezzi aventi effetto  equivalente a quello di un'arma, fatte salve le disposizioni della presente  legge federale applicabili in quanto compatibili.
§ 10. Cani di servizio.  L'impiego aggressivo di un cane di servizio contro le persone è consentito,  fatte salve le disposizioni del § 1 applicabili in quanto compatibili:
    1.          in caso di legittima difesa;
    2.          per superare la resistenza attiva e  violenta contro l'autorità dello Stato;
    3.          per eseguire l'arresto legale o impedire  l'evasione di una persona legalmente detenuta e condannata o fortemente  sospettata di reati punibili con una pena detentiva superiore a un anno, o di  essere malata di mente e che deve essere considerata un pericolo generale per  la sicurezza delle persone o della proprietà.
Utilizzo di armi da parte  di formazioni
  § 11. Una formazione è  un'unità che opera in ordine militare sotto un comando unificato con un  obiettivo comune.
  § 12. 1) L'uso delle armi  da parte di una formazione è consentito solo su espressa indicazione del capo  dell'autorità di sicurezza competente o di un suo rappresentante al comandante  della formazione. L'ordine può essere impartito solo dopo aver consultato il  comandante e deve  specificare anche il  tipo di armi da utilizzare . Il comandante è responsabile di impartire ordini  all'unità chiusa e di eseguire gli ordini ufficiali.
    (2) Il diritto di  autodifesa dei singoli membri dell'unità chiusa non è pregiudicato dalle  disposizioni del paragrafo 1.
  § 13. Se l'ordine  ufficiale non può essere emanato in tempo utile e sussiste un pericolo  imminente, il potere decisionale spetta al comandante.
  § 14. L'uso delle armi da  parte di una formazione può essere ordinato, eccetto i casi di pericolo  imminente, solo se tutte le possibilità   presumibilmente efficaci per evitare l'uso delle armi sono state usate(§  4); in particolare le ripetute richieste di ripristino della situazione legale  e le ripetute minacce di usare le armi, sono state infruttuose.
In Francia la  Legge 2017 nr. 258 del 28 febbraio 2017 - art. 1 stabilisce;
    Nell'esercizio delle loro  funzioni e indossando la loro uniforme o le insegne esterne e visibili della  loro funzione, gli ufficiali della polizia nazionale e il personale della  gendarmeria nazionale possono, oltre ai casi previsti dall'articolo L. 211-9,  usare le loro armi in caso di assoluta necessità e nel rispetto del principio  di stretta proporzionalità:
    1° Quando sono perpetrati  attentati alla vita o all'integrità fisica contro di loro o contro altri,  ovvero quando persone armate minacciano la loro vita o la loro integrità fisica  o quella di altri;
    2° Quando, dopo due  intimazioni fatte ad alta voce, non possono altrimenti difendere i luoghi che  occupano o le persone loro affidate;
    3° Quando, subito dopo  due forti intimazioni, non possono costringere a fermarsi, se non con le armi,  persone che cercano di sottrarsi alla loro custodia o alle loro indagini e che  sono suscettibili di commettere, nella loro fuga, attentati alla vita o  all'integrità fisica propria o di altrui;
    4° Quando non possono  immobilizzare, se non con l'uso delle armi, veicoli, imbarcazioni o altri mezzi  di trasporto, i cui conducenti non ottemperano all'ordine di fermarsi e i cui  occupanti sono suscettibili di commettere, nella fuga, attentati alla propria  vita o integrità fisica o a quella di altri;
    5° Al solo scopo di  impedire il ripetersi, in un prossimo futuro, di uno o più omicidi o tentati  omicidi appena commessi, quando abbiano reali e oggettive ragioni per ritenere  che tale ripetizione sia probabile alla luce delle informazioni di cui  dispongono al momento dell'uso delle armi.
In Italia non vi è nulla di pubblicato salvo il DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 28 ottobre  1985, n. 782, Approvazione del regolamento di servizio dell'Amministrazione  della pubblica sicurezza che contiene il seguente articolo che si limiti a  stabilire che il Questore decide su tutto (potrebbe anche inviare i poliziotti  disarmati a fronteggiare una dimostrazione).
    Art. 37. - Ordinanza di servizio in materia di ordine e  sicurezza pubblica.
    Per i servizi di ordine e sicurezza pubblica il  Questore emana apposita ordinanza di servizio stabilendo le modalità di  svolgimento dei servizi stessi, la forza da impiegare, l'equipaggiamento  necessario, i responsabili del servizio e le finalità da conseguire. 
Capisco bene che è una  materia difficilissima da regolare perché ogni situazione in cui si agisce è  diversa dalle altre, ma bisogna anche capire che la valutazione su  proporzionalità, necessità ed adeguatezza è cosa tecnica e di esperienza che  non può essere lasciata al giudice. Il giudice in queste materie ha il dovere  di chiedere il parere degli esperti, di chi le aggressioni, le sparatorie, le  dimostrazioni, le risse, le ha vissute. 
    E anche chi opera, il  quale non ha tempo di studiare ciò che ha detto la Cassazione mentre gli  sparano o gli tirano le bombe Molotov o mentre un’auto in fuga gli viene conto,  dovrebbe disporre di linee guida.  Il  Ministero dell’Interno ha il dovere di predisporre delle “regole di ingaggio”  su come ci si comporta con i fuggitivi, a piedi o in  auto, su come si agisce in manifestazioni di  piazza di fronte a soggetti attrezzati per la guerriglia urbana, in quai casi  si possono impiegare cecchini, ecc. ecc. Linee guida che ovviamente non devono  essere scritte da scribacchini laureati in legge, ma da chi ha fatto esperienza  sul campo e parla di pallottole e non di etica della vita umana e che devono  essere chiaramente orientative e generali! 
    E’ probabile che queste  istruzioni già esistano nei cassetto del Ministero o dei vari corpi armati, ma  esse devono essere rese note anche ai giudici, e specialmente ai pubblici  ministeri che altrimenti indagano a tentoni. Mi risulta, ad esempio che una  trentina di anni fa si verificò un incidente ad un’auto in fuga che aveva  superato una barriera stradale chiodata. Il Ministero dell’Interno, per paura  delle conseguenze vietò immediatamente queste barriere e da allora non si sono  più viste; meglio che polizia e carabinieri si allenino a saltar via come  canguri quando qualcuno forza il posto di blocco! E’ noto che il ferimento di  un agente fa molto meno notizia del ferimento di un delinquente, ma sono  convinto che è illegale che l’uso dei mezzi di lotta al crimine sia deciso  nelle segrete stanze e non dal Parlamento (mi direte: ma il Parlamento farebbe  peggio! E’ vero, ma forse il cittadino potrebbe rifletterci quando vota.) 
    Personalmente riterrei  cosa saggia se il legislatore ricordasse a sé stesso, ai giudici ed a tutti, che  oltre alle regole del diritto vi sono regole naturali, seguite in ogni gruppo  sociale; ad esempio: 
    - Fra un onesto e un  delinquente, è preferibile che soffra il delinquente 
    - La regola già vista vim  vi repellere licet. 
  - La regola già vista: chi  si comporta contro le regole deve ringraziare solo sé stesso per i danni a cui  va incontro 
    - Le botte non si dànno a  patti (proverbio italiano sul fatto che di fronte ad atti violenti non ci sono  regole che tengano perché sono sempre altamente pericolosi e si ha il diritto  di fare tutto il necessario per evitare botte, lesioni, morte). 
    - Se devo scegliere tra  la mia vita e integrità e la tua, scelgo la mia. 
    - L’azione violenta non  si sa mai dove va a finire; va prevenuta o va bloccata sul nascere. 
(24 aprile 2025)
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