Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
     
 

L'orto in Alto Adige (Edoardo Mori)

 

In Alto Adige il rapporto del contadino con la propria terra è diverso da quello del contadino del resto di Italia. In Italia il contadino abita solitamente in un paese e i campi sono all’esterno di esso, ragione per cui vengono raggiunti solo quando ve ne è necessità per la loro coltivazione; quindi l’orto è normalmente un piccolo appezzamento vicino alla abitazione in modo da poter essere raggiunto rapidamente.
 In Alto Adige la ripartizione del territorio è basata sul maso, che è una entità agricola di terreni collegati fra di loro al cui centro si trova la casa rurale con stalle e fienili: quindi i terreni coltivati confinano con gli immobili e l’orto è semplicemente un piccolo appezzamento di essi, a poca distanza dalla fattoria, recintato quel tanto che basta per tener lontano gli animali dalla verdura fresca.
Di fronte agli aspetti molteplici che può assumere il cosiddetto orto, bisogna ammettere che l’orto ha più contenuto ideale che sostanziale. L’orto è quello spazio coltivato, poco importa se di 50 o 500 metri quadri, che consente di coltivare gli aromi e le verdure di stagione necessarie per l’uso quotidiano di una famiglia. Perciò da un lato è la massima espressione della produzione di verdure in modo più o meno biologico, a seconda dei desideri del coltivatore, e a chilometro zero, dall’altro è la coltivazione che consente la piena conservazione degli aromi del prodotto raccolto e mangiato, con sapori e consistenza ormai perduti nei prodotti congelati o tenuti in frigo a lungo o invecchiati negli scafali.

Nel parlare della funzione dell’orto dell’Alto Adige bisogna considerare i cambiamenti intervenuti nel tempo per le mutazioni climatiche. Un tempo nelle enciclopedie botaniche si leggeva come una rarità che la pianta di ulivo più a nord in Italia si trovava a Merano, stante il suo clima mite. Ormai in Alto Adige si possono raccogliere le olive e i vigneti stanno arrivando sui 1000 m di altezza. Perciò i problemi connessi ad una certa brevità della stagione calda e alla difficoltà di far crescere certi ortaggi e certe piante aromatiche, ormai si possono considerare superati. Un tempo era necessario conservare molti ortaggi sottovetro, per superare il lungo inverno, ormai la stagione invernale si è ridotta quasi alla metà.
Però, se vogliamo parlare delle tipicità del territorio, non si può fare a meno di riferirsi al passato perché è esso che ha dato una certa impronta alla cucina locale, le cui radici si ritrovano nei piatti modernizzati.
L’argomento delle erbe aromatiche è già stato trattato in un apposito quaderno dell’Accademia e non è il caso di ripetersi. Ci limitiamo ad elencare quelle più tipicamente locali e cioè l’erba cipollina, il levistico o sedano di monte con il tipico sapore che ritroviamo nei dadi da brodo, il cerfoglio, l’aneto, il cumino.

Trattando ora delle verdure, tipico degli orti dell’Alto Adige è sicuramente il vasto assortimento di cavoli e rape. Ampio l’uso dello spinacio in cucina, degno di menzione l’uso del seme di papavero in panetteria o pasticceria, in recupero l’impiego della pastinaca.
Non tratteremo dei noti effetti benefici di questi ortaggi perché “il buongustaio mangia bene per vivere e si cura solo per non morire”.

Il cavolo più noto è il cavolo cappuccio (Weisskohl) prodotto nel corso di tutto l’anno. Il cavolo cappuccio si può consumare crudo in insalata, oppure cotto al vapore, bollito per la preparazione di zuppe o al forno. Tradizionale è l’uso delle foglie di cavolo per involtini e, tipici del mondo tedesco, sono quelli che noi chiamiamo crauti e i tedeschi Sauerkraut che si ottengano dalla fermentazione delle foglie.
Per la loro preparazione il cavolo cappuccio fresco, privato del torsolo, viene affettato a striscioline, messo in un recipiente e poi battuto (talvolta veniva calpestato con i piedi come l’uva!) in modo che dalle cellule esca il liquido che alla fine coprirà il cavolo; viene aggiunto sale, circa 20 grammi per chilo di cavolo, che sottrae ulteriore liquido al cavolo oltre a pepe ed aromi vari (alloro, ginepro, Kümmel, granelli di senape); poi si lascia fermentare il tutto, coperto dalla sua salamoia. per due-quattro settimane. Non deve restare aria fra le listarelle del cavolo, che potrebbe iniziare a marcire e perciò la massa viene pressata con dei pesi. In genere si usano recipienti che consentono ai gas che si formano durante la fermentazione di uscire, ma non l’entrata di aria. La massa deve restare sempre coperta di liquido, aggiungendo se necessario un po’ d’acqua. La fermentazione viene iniziata naturalmente dai lattobatteri che si trovano nell’aria e sulle foglie del cavolo; nella produzione industriale vengono anche aggiunti separatamente.

I crauti da usare come contorno vengono cotti a fuoco molto lento, per non distruggere sostanze e vitamine preziose, per circa 20 minuti insaporendo nuovamente, se necessario, con aromi vari (alloro, ginepro, Kümmel, chiodi di garofano, maggiorana). Chi vuole una preparazione un po’ più raffinata li cuoce con un bel bicchiere di vino bianco e una mela acidula grattugiata.

Il cavolo cappuccio, oltre agli svariati usi culinari, ben noti, in Alto Adige, viene offerto in una speciale insalata condita con Speck rosolato, assolutamente da non perdere. È considerato accompagnamento ideale per la rosticciata di patate (Gröstel)

Ricetta: mezzo cavolo cappuccio, privato del torsolo, viene affettato a striscioline strette, circa 2-3 mm. In una padella si rosolano due fette di speck tagliate a dadini in tre cucchiai di olio di oliva, fino a renderle croccanti; si sfumano con mezzo bicchiere di vino bianco e si versa il contenuto bollente della padella sul cavolo cappuccio; si cosparge con mezzo cucchiaino di semi di carvi, sale e pepe; si rimescola il tutto.
Attenzione a non confondere il cumino romano (Cuminum cyminum, ted. Kumin, Kreuzkümmel) usato in ricette orientali o mediterranee, componente del curry, con il cumino dei prati vero e proprio o carvi (Carum carvi, ted. Kümmel) come avviene purtroppo in molte pseudo ricette scritte da pseudo esperti, in pseudo siti di cucina, in cui non si precisa quale tipo di cumino usare! Persino il Vocabolario Treccani si sbaglia e scrive che il liquore tedesco Kümmel si fa con cumino romano; sempre per pura confusione terminologia il carvi lo si trova in miscele di curry al posto del cumino romano!

Altro tipo di cavolo usato fin dal 1700 è il cavolo verza (Wirsing), disponibile lungo tutto il corso dell’anno. Le sue foglie sono anch’esse molto usate per fare involtini, ma si prestano molto per insalate, essendo tenere e croccanti

Il cavolfiore (Blumenkohl) sopporta praticamente ogni metodo di cottura e quindi è di impiego universale in cucina.
Il cavolo broccolo (Broccoli) in Germania viene chiamato anche cavolo-asparago (Spargelkohl) perché in effetti ha un sapore di cavolo molto attenuato ed assomiglia un po’ agli asparagi verdi.

Alla famiglia dei cavoli appartiene pure il cavolo rapa (Kohlrabi) anche se di esso non si utilizzano le foglie, ma principalmente la radice, e se il sapore ricorda solo lontanamente quello del cavolo. Anche le foglie fresche hanno un ottimo sapore. Già noto ai romani, nel mondo germanico è arrivato solo all’inizio del seicento ed ora se ne producono oltre 40.000 tonnellate all’anno e cresce nell’orto da aprile a settembre.
Il cavolo rapa si mangia sia cotto che crudo.

Patate, cavoli e rape sono stati alla base della alimentazione nel 1800 e sono state impiegate in infiniti modi, sia crude che cotte. Come il cavolo, le rape possono essere fatte fermentare per ottenere le rape acide e si riusciti persino a ricavarne un liquore (Krautinger), consigliato solo a persone temerarie per risolvere digestioni difficili! È facile da coltivare, dalla primavera all’autunno, ed sono pronte per la raccolta in 50-100 giorni.
Ricordiamo le varietà più comuni. La Rapa comune (Speiserübe, Brassica rapa subsp. rapa) e la Rapa o barbabietola rossa (Rote Bete, Rote Rube) da non confondere con la barbabietola da zucchero, con cui è comunque imparentata, e che ha il pregio di crescere fino ai primi geli. Esse possono essere utilizzate in cucina in tutti i modi.

Negli orti dei masi dell’Alto Adige si vedono di frequente numerose piante di papavero; esse vengono coltivate per raccogliere le centinaia di semini color blu (specie tedesca) o grigio-ferro (specie austriaca) contenuti nella testa dei fiore essiccato. Questi semi, oleosi e con un sapore di nocciola, si conservano molti mesi e devono essere macinati (basta un macinacaffè) il giorno dell’uso perché contengono un olio che irrancidisce rapidamente. Il suo uso principale è in torte farcite di semi di papavero e creme di vario tipo o jogurt oppure come decorazione esterna per panini e grissini, per gelati o per prodotti da forno dolci.

Strudel di papavero

Ricetta: Strudel di papavero (Mohnstrudel) (Per sei persone)
Per la pasta:500 gr farina, 1h burro, 50 gr zucchero, 0,25 l latte, 6 rossi d’uovo, 35 gr lievito di birra, mezzo cucchiaino di sale.
Per il ripieno: 400 gr. di semi di papavero macinati, 40 gr burro, 3.3 l latte, 160 gr. zucchero, la buccia di un limone grattugiato, un mezzo cucchiaino di cannella, 4 cucchiai di miele, un rosso d’uovo per lucidare.
Mescolare lievito sbriciolato, latte tiepido e zucchero e lasciar lievitare al caldo per 15 minuti. Aggiungere il burro morbidissimo, rossi e sale, impastare bene, coprire e lasciar lievitare per 30 minuti. Per il ripieno mescolare tutti gli ingredienti salvo il miele nel latte bollente, far riprendere il bollore, togliere dal fuoco, aggiungere il miele e lascar raffreddare.
Reimpastare un po’ la pasta, stenderla su carta da forno per formare un rettangolo dello spessore di circa mezzo cm, stendere il ripieno su di esso e arrotolare. Lucidare con rosso d’uovo. Attendere una decina di minuti e infornare in forno caldo a 190° per 30 minuti, finché è ben dorato. Così lo Strudel è molto grosso; conviene dividere la pasta in due rettangoli e farne due.

Un ortaggio che una tempo cresceva spontaneo dei prati ed ora viene coltivato nell’orto è la pastinaca che è una specie di carota bianca con sapore di carota e sedano. Un tempo molto usata in cucina, venne soppiantata dalla patata; attualmente è stata recuperata dai cuochi perché ha un ottimo sapore, può essere preparata al forno o fritta, proprio come la patata, può servire per creme o per fare un purea da usare come contorno.
La pastinaca è un prodotto invernale, conservabile, ma è veramente buona se cucinata entro pochi giorni dalla raccolta; si pulisce come una carota e si controlla che la parte interna non sia da togliere perché divenuta troppo fibrosa. Per cucinare la purea si usa cuocerle la pastica con una egual quantità di patate e poi si procede come per una normale purea; è un ottimo contorno della guancia di bue brasata.

Non abbiamo parlato di spinaci perché è un prodotto di uso generale, ma non si può fare a meno di citare una ricetta a base di essi e cioè la specialità locale degli Spinatspätzle (gnocchetti di spinaci), eccellenti se preparati con spianaci appena raccolti.

Ricetta (per 4 persone)
300 gr di farina, 600 gr di spinaci freschi, 5 uova, 100 ml latte, sale, olio
Lavare, le foglie, togliere gli steli fibrosi, scolar molto bene e passarli in padella con un cucchiaio d’olio per tre minuti; salare. Tritare gli spinaci finemente con un coltello. In una scodella; lavorare energicamente le uova e la farina aggiungendo il latte poco alla volta fino a che la pasta fa le bolle; aggiungere gli spinaci,salare e lavorare molto bene. Ora si tratta di ottenere i gnocchetti irregolari, cosa per cui sarebbe opportuno disporre della apposita “pialla”; con un po’ di esperienza si riesce a farli anche sul tagliere strappando dei frammenti di pasta con la lama di un coltello. Gli Spätzle si fanno bollire come i gnocchi di patate. Si scolano, si passano sotto l’acqua fredda e poi si passa a condirli con la seguente salsa fatta con 200 gr di panna liquida, 200 gr di prosciutto cotto senza grasso, 4 cucchiai di parmigiano, 25 gr. di burro. Si rosola leggermene il prosciutto nel burro, si versa la panna e si porta a bollore, si scioglie in essa il formaggio, si spolvera di pepe nero e si versano i gnocchetti nella salsa, facendoli riscaldare bene. Se si calcolano bene i tempi si può fare a meno di fermare la cottura dei gnocchetti con l’acqua fredda.

ggnocchetti di spinaci


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