Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Le bombolette spray secondo il Vangelo ministeriale

Oggetto: Utilizzo da parte della Polizia municipale dello spray irritante.-  Modifica del decreto del Ministro dell’Interno 4 marzo 1987, n. 145.
Parere del Gabinetto del Ministro N. 17119/110 (Gennaio 2006)

Riporto un interessante parere che ci fa scoprire le idee del ministero in materia di bombolette spray. La numerazione dei paragrafi l'ho aggiunta io.
(omissis)

(1) Passando all’esame del merito, la prima questione da affrontare e risolvere attiene all’individuazione del tipo di strumento di autodifesa che deve contemplare l’emanando provvedimento, quale dotazione per l’armamento del personale della Polizia municipale e, in particolare, se a tale personale possano essere concessi in uso strumenti qualificabili come “armi”.
(2) Per la definizione di tale aspetto si ritiene di dover fare riferimento, principalmente, ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che, intervenendo più volte sull’argomento, ha statuito che le bombolette contenenti “gas paralizzante”vanno considerate a tutti gli effetti come “aggressivi chimici” (cfr. Cassazione penale Sez. 1, n. 27436 del 2005; Sez. 1, n. 3131 del 28.5.1998; Sez. 1 n. 1300 del 10.11.1993, ecc.) e quindi armi e va aggiunto che tali “armi” risultano peraltro incluse nell’elenco dei cosiddetti materiali di armamento e sono destinate solo ai corpi armati dello Stato (forze di polizia ed anche all’esercito, salvo disposizioni contrarie di natura internazionale che ne vietino l’utilizzo alle truppe in armi).
(3) Si è del parere, inoltre, che non debba trattarsi nemmeno di strumenti che posseggano requisiti di funzionamento e di destinazione di impiego idonei a recare offesa alla persona, tali quindi da essere considerati “armi” , a norma dell’art. 2 della legge 110/1975, in relazione a quanto previsto dall’art. 30 del T.U.L.P.S. e dell’art. 704 del c.p.. Di tali strumenti, infatti, ne sarebbe vietato il porto (consentito solo per le armi indicate nell’art. 42 T.U.L.P.S., meglio indicate nell’art. 2 della legge n. 110/1975, commi 1, 2 e 3), anche con riguardo  al  personale  della Polizia municipale, poiché l’articolo 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65, demanda al regolamento del Ministro dell’Interno di stabilire la tipologia, il numero delle armi in dotazione e l'accesso ai poligoni di tiro per l'addestramento al loro uso e non sembra invece ammettere deroghe alla generale disciplina del porto delle armi dettato dalla legge.
(4) Restano quindi solo da considerare, come correttamente evidenziato nello schema di decreto in esame, quegli strumenti indicati al comma 3-bis dell’articolo 4 del D.M. n. 145/1987 che si intende introdurre, cioè gli “erogatori a spruzzo contenenti oleoresin capsicum, funzionanti a getto balistico, ovvero a cono, con esclusione dei prodotti contenenti anche sostanze infiammabili, corrosive, tossiche o cancerogene…” e sembrerebbe opportuno aggiungere, “ovvero aggressivi chimici micidiali”.
(5) Si tratta in effetti di quei prodotti sui quali la Commissione consultiva centrale per il controllo delle armi già in passato si è pronunciata, esprimendo l’avviso, condiviso dall’Amministrazione, che in ragione del modesto contenuto di sostanza attiva (temporaneamente irritante o provocante incapacità fisica momentanea), tali strumenti non hanno attitudine a recare offesa alla persona e pertanto non possono considerarsi armi.
(6) Ove si condividano le considerazioni sopra espresse, consegue che il provvedimento di cui si discute non solo non può imporre al produttore di munirsi della licenza di cui all’art. 31 del T.U.L.P.S., necessaria solo per coloro che fabbricano le armi, ma non si intravedono profili di competenza della Commissione consultiva centrale a pronunciarsi ai fini dell’ “omologazione degli strumenti di difesa”, che come si è detto “armi” non sono.
(7) La soluzione che di seguito si illustra ricondurrebbe invece il provvedimento nell’alveo della legittimità, canalizzandolo nei limiti delle competenze attribuite dalla legge all’Amministrazione dell’Interno ed evitando eventuali ingerenze in compiti demandati ad altre Amministrazioni, come quella delle Attività produttive o delle Regioni, e soprattutto eliminerebbe la ventilata esigenza di dover sottoporre il provvedimento anche all’esame del Consiglio Superiore di Sanità, a norma dell’art. 4, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 266 del 1993, nell’ottica che il provvedimento rimarrebbe rivolto alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, non investendo aspetti connessi con la tutela della salute pubblica.
(8) In questa ottica, quindi, il sindacato della Commissione Consultiva Centrale per il controllo delle armi potrà spingersi fino a giudicare che non si tratti di armi, ma di “strumenti per i quali deve escludersi, in relazione alle caratteristiche possedute, l’attitudine a recare offesa alla persona”, sulla base di una procedura da introdurre (più o meno simile a quella disciplinata dal  comma 1 dell’art. 19 bis, del provvedimento in esame) ed in ragione della documentazione esibita dal produttore, comprensiva delle certificazioni di  enti o laboratori autorizzati attestanti le prove eseguite.
(9) Si tratterebbe, in altri termini, di legittime prescrizioni imposte dal Ministro dell’Interno, tese a garantire per motivi di sicurezza pubblica il pericolo che possano essere immessi in circolazione “strumenti”, diversi dalle armi, ma pur sempre dotati di capacità lesiva, sui quali non si sia preventivamente espresso l’Organo competente ad escluderla, ovvero ad attestarla ai fini di consentirne la regolamentazione della detenzione, ovvero della detenzione e del porto.
(10) Come pure assurgerebbero a prescrizioni legittime i seguenti altri obblighi per il produttore, da sottoporre peraltro a procedure semplificate, valutando altresì l’opportunità di far ricorso all’istituto del “silenzio assenso”, come quello, ad esempio, di:
- esibire un prototipo al competente Ufficio del Dipartimento della pubblica sicurezza;
- destinare la produzione esclusivamente a richieste che provengano da corpi di polizia municipale o dalle forze di polizia;
- far risultare dall’etichetta il nome dell’ente o dell’istituzione che ha commissionato la fornitura, numerando ogni singolo pezzo prodotto per esigenze di monitoraggio e controllo.
(11) Non sfuggono, infatti, allo scrivente Ufficio di Gabinetto le preoccupazioni che hanno indotto codesto Dipartimento a scegliere la strada dell’omologazione dei prodotti, ma si ritiene che la soluzione suggerita raggiungerebbe lo stesso risultato, incidendo con la doverosa cautela sulle attività produttive. Si ritiene, in proposito, che lo scopo principale dei limiti imposti   deve farsi risiedere evidentemente nella necessità di mantenere fermo il principio che può ammettersi un regime di libera vendita degli strumenti di autodifesa solo con riguardo a quelli in confezione monodose, mentre si rileva opportuna, anzi indispensabile per motivi di sicurezza pubblica, la permanenza del divieto di circolazione in libero commercio di prodotti che si prestano ad essere utilizzati più di una sola volta.
(12) D’altra parte, il ricondurre l’inosservanza dell’emanando provvedimento all’ipotesi della non osservanza di un provvedimento legittimamente dato per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico, risolverebbe anche il non trascurabile problema della sanzione concreta, che mancherebbe invece nel caso in cui si optasse per “l’omologazione degli strumenti di autodifesa”. Nel caso invece si ipotizzasse una violazione delle prescrizioni poste con l’emanando decreto, potrebbe invocarsi l’operatività dell’articolo 650 c.p., circostanza questa che comporterebbe la conseguente possibilità di richiedere all’A.G. il sequestro degli strumenti di autodifesa difformemente prodotti come corpo del reato, ovvero quali cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti.

NOTA

Diceva un umorista che in molte attività umane essere cretini non è necessario, ma aiuta molto ed io ero convinto che essere cretini fosse un diritto umano; ora mi vado convincendo che in alcune attività essere cretino non è un diritto, ma un dovere.
Fatta questa premessa puramente filosofica ed astratta, derivante dallo studio del diritto, vi racconto che cosa ho scoperto da uno studio interno del Ministero dell’Interno (scusate il necessario calembour). Sia chiaro che non ce l'ho con l'estensore che, come spiego, ha fatto del suo meglio per districarsi da una situazione indistricabile e per soddisfare le richieste inconsulte dell'ufficio, basate su dati tecnici inconsistenti..
Voi saprete che da un po’ di tempo le guardie municipali sentono la necessità di difendersi da aggressioni, senza dover necessariamente estrarre la pistola e farsi poi magari condannare per procurato allarme o disturbo del riposo della polizia; con il piccolo escamotage di chiamare un manganello con il nome di “bastone da segnalazione”, si sono munite del manganello il quale, giuridicamente, è un’arma propria. Desideravano anche dotarsi, come avviene presso ogni polizia del mondo  non organizzata da cretini, di qualche arma di difesa non letale, quali le bombolette a base di olio di peperoncino o gli strumenti a scarica elettrica, con una preferenza per i primi.
La soluzione del problema era elementare e non richiedeva più di dieci minuti di tempo. L’armamento delle guardie municipali viene stabilito con un decreto ministeriale, come originariamente avvenuto con il DM 4 marzo 1987 n. 145, e quindi era sufficiente aggiungere al suo nr. 4 questa frase: “Arma in dotazione  è anche la bombola spray a base di soluzione di oleum capsicum da 500 Scoville Heat Unit  in percentuale non superiore al 10%  e in quantità non superiore a 200 grammi” (i dati numerici sono ovviamente indicativi e migliorabili).  Definendole come armi proprie, come in effetti sono, si chiariva in modo indubbio che ne era vietato il porto ai privati, salvo che esse fossero di modesta offensività, secondo parametri da definirsi.
Invece al ministero sono sprofondati nel più totale marasma e sono ricorsi all’aiuto dei giuristi; i quali sono magari buoni giuristi, come l’estensore del parere,  ma che non devono essere costretti ad arrampicarsi sugli specchi, specie in materie tecniche che non possono conoscere.
Già la prima frase fa comprendere la difficoltà di inquadrare il problema: ci  si chiede quali “strumenti di autodifesa” possano essere dati alle guardie municipali e se ad esse possono essere date armi. Dubbio strabiliante perché se esse hanno in dotazione la pistola, proprio non si capisce dove stia l’ostacolo a dar loro altre armi; la legge 7 marzo 1986 n. 65 non pone alcun limite al riguardo. Altrettanto strabiliante l’ipotesi di far passare le bombole come strumenti di autodifesa: un qualsiasi strumento che consente di difendersi mediante un danno fisico arrecato all’aggressore è, per definizione di legge, non superabile con le circolari, un’arma. Perciò strumenti di autodifesa che non siano armi sono solamente gli scudi, gli elmi, i giubbotti antiproietttile ed esplosione e, al massimo, strumenti che immobilizzano fisicamente l’avversario; si può pensare, senza ricorrere alla rete dei gladiatori, a spray appiccicosi o a fumogeni.
Il parere in esame ci fa capire da dove è uscita l’oscura disposizione della L. 21 febbraio 2006 n. 49 (modifiche allo art. 28 TULPS) che sottopone a controllo gli strumenti di autodifesa “specificamente destinati all'armamento dei Corpi armati o di polizia”: il piano del ministero era di far passare per strumenti le bombolette e di assegnarle alle guardie giurate, non come armi, ma come arnesi qualsiasi. Piano poi fallito per la sua illogicità e per l’incapacità di scrivere una norma coerente.
Nella terza frase si sostiene la tesi che alle guardie municipali non possono essere date in dotazione armi per cui è vietato il porto in modo assoluto e quindi pugnali, baionette, bombolette, manganelli, ecc., ma solo quelle indicate nell’art. 2 della legge 110/1975. Grave errore questo perché l’articolo regola solo le armi da sparo, mentre è pacifico  (e lo dice lo stesso DM  145/87) che le guardie municipali possono portare la sciabola che sicuramente da sparo non è!!  Non si comprende da dove derivi questa affermazione, perché non è ricavabile da alcuna norma e da sempre forze di polizia, anche non facenti parte delle forze armate, sono state dotate di manganello. L’argomento che il regolamento sulle g.m. non prevede un poligono per l’addestramento al tiro con il manganello o con le bombolette, mi pare un po’ tirato per i capelli.
Nella quarta frase si affronta il problema delle bombolette al peperoncino le quali dovrebbero “funzionare a getto balistico”; lascio a chi se ne intende più di me di dare un senso alla misteriosa espressione; uno bomboletta spray funziona in un solo modo, altrimenti non è una bomboletta, e può variare solo la forma del getto, più o meno nebulizzato. Perché poi il getto debba essere necessariamente a cono,  solo il ministero lo sa; la polizia americana ritiene utile avere anche un getto raccolto (tipo pistola spara-acqua) per colpire i facinorosi a quattro o cinque metri di distanza.
Nella quinta frase si fa un’altra affermazione sbagliata e si dice che le bombolette al peperoncino sono quegli strumenti che la commissione ha omologato: la commissione ha dichiarato non idonei ad offendere la persona due specifici modelli di cui neppure ha indicato le caratteristiche tecniche; perciò non ha certo esaurito il problema e vi è ancora ampio spazio per stabilire ciò che è arma e ciò che è strumento innocuo. Fermo restando che non vi è spazio giuridico per una terza categoria.
Frase sesta: l’estensore, che come ho detto è un buon giurista, ha colto il nocciolo del problema: come io da anni vado sostenendo, la Commissione non ha alcuna competenza a decidere in materia   diversa dalle armi comuni da sparo; deve esprimere pareri su ogni questione riguardante le armi in genere, ma non può procedere ad omologazioni di spray. E ciò è ovvio perché manca  totalmente di ogni conoscenza al riguardo; eventualmente sul problema deve decidere il ministero della sanità. Inoltre le armi di cui si deve occupare la commissione sono quelle tipiche per cui è già pacifico che sono armi. Nessuna norma autorizza la commissione a decidere se un oggetto è arma o non è arma, salvo che essa abbia forma e meccanica di arma da sparo (mi spiego: la Comm. può dire che una pistola a salve non è arma da sparo, ma non può decidere che un cavatappi è un’arma propria da punta).
Nelle frasi successive la circolare è costretta ad arrampicarsi sugli specchi per suggerire al ministero possibili fantastiche soluzioni quali:
- la Commissione potrebbe limitarsi ad esprimere il parere che gli oggetti sottopostile non sono armi (frase 8);
- le caratteristiche massimali accettate dalla commissione verrebbero trasformate dal ministero in prescrizioni per il produttore dello strumento (frase 9)
- il ministero imporrebbe al produttore di cedere gli strumenti solo a forze di polizia o simili; sulla bomboletta andrebbe indicato l’ente destinatario e i codice di fornitura; (frase 10)
- si deve mantenere fermo il principio che può ammettersi un regime di libera vendita degli strumenti di autodifesa solo con riguardo a quelli in confezione monodose,  con divieto libero commercio di prodotti che si prestano ad essere utilizzati più di una sola volta; (frase 11).
- chi non osserva le prescrizioni verrebbe punito per inosservanza dell’art. 650 CP (frase 12)
Sfido chiunque a trarre un senso compiuto da questa barocca costruzione! Se la mente non mi ha abbandonato disperata, vi sarebbero in futuro:
a) bombolette da guerra se contengono aggressivi chimici (affermazione troppo generica che non tiene conto dei precisi limiti della normativa sull’armamento);
b)  bombolette al peperoncino da considerare armi proprie perché atte ad offendere;
c) bombolette dichiarate non  atte ad offendere, ma che può comperare dal produttore solo la polizia;
d) bombolette dichiarate non  atte ad offendere e di libera vendita.
Tutto questo senza una norma di legge, ma come pura invenzione burocratica! Il bello è che non avendo la minima idea di ciò che vi sia sul mercato, l’unica distinzione viene ravvisata fra bombolette monodose e bombolette pluriuso; distinzione cretina perché la monodose può essere di 10 grammi di liquido (si preme il pulsante e la dose viene spruzzata tutta in 3 secondi) oppure di 100 grammi (si preme il pulsante e la dose viene spruzzata ininterrottamente per 30 secondi oppure vi è un potente e rapido getto di liquido che lava gli avversari a tre metri di distanza). Il requisito della monodose è inoltre insensato perché se un poveretto viene aggredito da due rapinatori che fa: uno lo spruzza e all’altro chiede pietà?
Ma la domanda decisiva è: come diavolo pretende il ministero di regolamentare la vendita di prodotti che esso stesso riconosce non essere armi? Se non sono armi viene meno ogni sua competenza e i prodotti sono di libera vendita, nei limiti in  cui ciò è consentito da leggi sanitarie o sulla sicurezza dei prodotti. Oppure il ministero pretende di regolamentare anche i decalcificanti spray per cessi (che purtroppo non sono monodose) e stabilire che alcuni sono per la Polizia e altri per le pulizie?

(28 luglio 2007)

 


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