Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
   
 

Povera Cassazione - Come ti castigo la vedova - Cass.15199/2020

È da poco uscita la sentenza riportata qui sotto, a carico di una vedova il cui defunto marito deteneva due fucili da caccia, con due scatole di cartucce a pallini e 6 cartucce a palla. La vedova, per problemi vari, accettava l'eredità con beneficio di inventario; ciò significa che non poteva toccare neppure uno spillo di ciò che vi era in casa e che un notaio doveva procedere all'inventario dei beni. Inventario che veniva fatto. Successivamente veniva denunziata per non aver fatto denunzia delle armi e delle munizioni ereditate.
La corte di appello la condannava per la detenzione delle cartucce a pallini e l'assolveva per quella delle cartucce palla. Ariosto in proposito direbbe Oh gran bontà de' magistri antiqui! Ecco il giudicio uman come spesso erra! I tapini, forse distratti dai venti anteriori e posteriori delle trame politiche dei colleghi e dalle lotte intestinali del CSM (e si sa quale è il prodotto degli scompigli intestinali), hanno condannato per le cartucce a pallini, di libera detenzione ed hanno assolto per le cartucce a palla, che vanno invece denunziate! E non si sono accorti che comunque la contravvenzione era già prescritta perché erano 5 anni che la giustizia ci ponzava sopra. Davvero con i nostri giudici si va sul sicuro: è sicuro che sbagliano! Personalmente, circa i tempi processuali, credo di essere stato l'unico giudice contro cui è stato fatto un esposto per aver fatto un processo troppo rapidamente. Mi pare entro un mese dalla denunzia!
La Cassazione, chiamata a valutare la condanna per l'illegale detenzione delle armi, si è prodigata in un'ottima esposizione di diritto civile circa l'eredità accettata con beneficio d'inventario che non va venir meno la qualità di erede e relativi diritti e obblighi.  Peccato che il buon civilista fosse un cattivo penalista e che non abbia considerato che in penale non si tiene conto di regole giuridiche astratte, ma di situazioni di fatto.
Non è un errore nuovo. Qualche decennio fa, in una sentenza che aveva incarcerato molti innocenti avevano stabilito che vi era commercio illegale di armi anche se vi era solo l'accordo per la compravendita, come dice il codice civile; ma è ovvio che se faccio un contratto per vendere armi che non esistono proprio o di cui non dispongo, commetto un illecito civile, forse una truffa, ma non divento davvero un trafficante d'armi!  I giudici di merito ignorarono poi queste stravaganze ed assolsero tutti.
La denunzia delle armi ha la funzione di rendere noto alla PS dove sono le armi, chi ne dispone e chi ha il dovere di custodirle. Non c'entra assolutamente nulla a quale titolo ha le armi: può averle rubate, trovate, ereditate, comperate, prese in prestito (e non ci vuole davvero un contratto formale di comodato, come ha fatto credere  chi ha usato questo termine nella legge 110/1975!): conta solo il dato di fatto che egli ha delle armi (le detiene per l'appunto, non è neppure necessario un possesso qualificato). E se le detiene ha l'obbligo di custodirle e di comunicare dove le custodisce.
Perciò, nel caso concreto, circa la vedova si doveva solo stabilire se essa era conoscenza dell'esistenza delle armi (dalla sentenza si potrebbe anche dedurre che esse sono emerse solo con la redazione dell'inventario); spesso gli eredi le trovano in un baule anni dopo la morte del detentore.
Solo dopo questo accertamento, non fatto perché i giudici si sono persi a correr dietro alle farfalle del beneficio d'inventario, si poteva e doveva accertare se la vedova aveva agito con dolo, cioè con la consapevolezza e volontà di violare la legge.
Proprio il fatto che la sentenza abbia speso due pagine per spiegare perché il beneficio d'inventario non fa venir meno la qualità di erede, fornisce la prova che un non giurista poteva essere tratto in inganno e perciò si applicava pari pari la norma secondo cui non è punibile chi ha agito per errore scusabile su di una norma extra-penale (in questo caso una norma del diritto civile). Tanto più che la Corte Costituzionale ha stabilito che non si viene puniti persino se vi è un errore scusabile sulla stessa legge penale, in quanto l'errore non consente più di ravvisare una condotta riprovevole e la necessità di un recupero del soggetto. La vedova è stata condannata perché non era una buon giurista! Nessuno, su dieci giudici, si è mai preoccupato della sua cultura, età, personalità, salute. Il vero tritacarte e tritacarne della giustizia!
È un fatto drammatico della giustizia italiana, che essa segua interpretazioni sbagliate ed ondivaghe, che sia consentito ai giudici di condannare in modo ondivago chi si è attenuto alle loro stesse interpretazioni ufficiali adottate fino al giorno prima. Ribadisco: è cosa orribile il solo pensare che possa essere ravvisato il dolo in chi ha seguito le sentenze dei giudici. Concettualmente ha più senso il giudizio di Dio con il ferro rovente!
Eppure non passa giorno che i giudici non applichino meccanicamente, come robot di un altro mondo, la nozione di dolo: tu avevi l'arma, non l'hai denunziata e quindi vai condannato: ma se era rotta e la ritenevo un rottame, se era un machete ed era venduto come coltello, se la PS mi ha detto che poteva detenerla tranquillamente, se la Cassazione ha detto che un pugnale da subacqueo non è un'arma, se l'arma che ho viene venduta liberamente in centinaia di negozi con il consenso delle forze di polizia, se persino i giudici non ci capiscono nulla, dove sta la prova che io volevo fare il delinquente e violare la legge? Ed è una prova che non si presume, deve essere fornita dall'accusa. Nel dubbio si deve assolvere.
Io ci vedo solo una prava ottusità morale di chi applica la legge a persone che la legge non ha mai inteso di condannare, di chi calpesta il principio più che costituzionale, perché rientrante fra i diritti umani fondamentali, della presunzione di innocenza, di chi non capisce che il giudice ha il compito di applicare le regole astratte ad un individuo, con perfetta aderenza al caso singolo.
Non resta che sperare nella giustizia affidata all'intelligenza artificiale; forse ci sarà un tasto per impartire l'ordine "cerca di essere umano".
 

(Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 15199/20; depositata il 15 maggio 2020)

Ritenuto in fatto
1.    La Corte d'appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe, confermava la decisione emessa dal Tribunale di Siena, il 26/7/2016, nei confronti di B.L. che era stata condannata, alla pena di mesi cinque giorni 15 di reclusione ed Euro 450 di multa, per la detenzione illegale di due fucili e di 85 cartucce a pallini; unificati i fatti ex art. 81 cpv. c.p. e, concesse le circostanze attenuanti generiche, era stata inflitta la pena anzidetta con i doppi benefìci, assolvendo l'imputata dal reato relativo alla detenzione di 6 cartucce a palla calibro 12.
I giudici di merito ritenevano B.L. colpevole dei reati anzidetti, poiché ella aveva la disponibilità della casa all'interno della quale erano custodite le armi, luogo ove viveva con il marito, T.A. , prima del suo decesso. La Corte d'appello osservava che B.L. aveva omesso un atto doveroso per legge (la denuncia all'autorità di P.S. della disponibilità delle armi), atto diverso dall'Inventario dei beni a fini ereditari. La conseguenza era che non si sarebbe potuto recuperare il fatto alla disciplina dell'errore. Se vi fosse stato errore questo sarebbe caduto sulla norma di legge e, trattandosi di un errore di diritto, non avrebbe avuto efficacia scusante.
2.    Ricorre per cassazione B.L. e deduce, con il ministero del suo difensore di fiducia, i seguenti motivi.
2.1. Lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione. Afferma di aver accettato l'eredità con beneficio d'inventario e di aver appurato al momento della redazione dell'inventario anzidetto che vi erano tra i beni anche due fucili. L'accettazione con il beneficio anzidetto determinava che i due patrimoni - quello del de cuius e quello dell'erede - restassero separati.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 5, 47 e 43 c.p.; si imponeva, dunque, assoluzione per mancanza di dolo, indotta da errore di fatto che aveva determinato un errore sul fatto.
2.3. Con il terzo motivo lamenta il mancato rilievo della prescrizione in relazione al capo B) della rubrica. La contravvenzione contestata in data (OMISSIS) si era prescritta il (OMISSIS), anteriormente all'emissione della sentenza di merito che era del 27/9/2019.
2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione del divieto di refòrmatio in peius di cui all'alt. 597 c.p.; viola il divieto anzidetto la decisione che pur dichiarando la prescrizione di un reato unificato per continuazione non diminuisce corrispondentemente la pena.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo sul mancato rilievo della prescrizione, oltre che alla quarta ragione di censura, con cui si è dedotta la violazione del principio di cui all'alt. 597 c.p.p., sul divieto di reformatio in peius.
Infondati sono, viceversa, gli altri motivi di doglianza.
1.1. Tale è, innanzitutto, quello sviluppato sull'Intervenuta accettazione dell'eredità con il beneficio di inventario, che manterrebbe separati i patrimoni dell'erede e del de cuius.
L'istituto, nel diritto civile, esclude la cd. confusione dei patrimoni, tra i titolari in successione, in funzione dei rispettivi assetti debitori.
Esso mantiene, in ragione del principio di separazione, una diversificazione persistente tra le due entità economiche. Si mira, cioè, a garantire le rispettive categorie di creditori (dell'erede e del soggetto nei cui confronti si apre la successione). La finalità è, infatti, quella di assicurare che i due patrimoni assolvano la rispettiva funzione di garanzia, ai sensi dell'art. 2740 c.c., in maniera separata. Essa accettazione, tuttavia, è limitata, per quanto qui rileva, al solo ambito civilistico (art. 490 c.c.); non trova, cioè, applicazione in un campo diverso, come quello penale e, soprattutto, nella materia della disciplina e della legislazione sul controllo delle armi.
Non si modificano, dunque, nè risultano assorbiti gli obblighi che gravano sul soggetto-erede, che nel patrimonio del suo dante causa rinvenga armi. Costui è egualmente tenuto alle relative denunce e richieste di autorizzazione e comunicazione di detenzione da inoltrare alla competente Autorità.
Non basta, allora, la sola accettazione con beneficio di inventario a sollevare l'erede dagli obblighi specifici e ulteriori che gli derivano dalle caratteristiche di quei beni, compresi nella successione, in ragione del rapporto materiale di disponibilità delle armi che, comunque, si genera.
In altri termini, l'accettazione anzidetta, non assimila il patrimonio indicato ad una res nullitatis, ma lo separa semplicemente ai fini della responsabilità debitoria di tipo civilistico, evitando l'effetto della confusione che potrebbe danneggiare, per effetto dell'unificazione, mortis causa, i creditori dell'erede 0 quelli del soggetto in capo al quale si apre la successione. Da ciò discende che l'erede, pur accettante con beneficio d'inventario, ai fini penali, avendone la disponibilità materiale, non può esimersi dagli obblighi di denuncia e di comunicazione verso le Autorità pubbliche, in relazione ad esse armi, comunque, pervenutegli in successione, oggetti che egli detiene, presso il suo domicilio o in altri luoghi nella disponibilità.
Nè può ritenersi che, con l'accettazione con beneficio d'inventario, il chiamato all'eredità non divenga erede.
Al contrario diviene tale, ma i suoi poteri sul patrimonio del defunto non sono quelli pieni che gli sarebbero derivati dall'accettazione pura e semplice. Con l'accettazione beneficiata, infatti, l'erede diviene l'amministratore del patrimonio del de cuius, patrimonio che amministra nel suo interesse e in quello dei creditori e dei legatari; proprio perché egli gestisce pur sempre cose proprie. L'art. 491 c.c. ne prevede, infatti, la responsabilità per l'amministrazione per colpa grave.
1.2. Quanto al tema dell'errore e dell'esclusione dell'elemento psicologico del reato si sviluppano in ricorso argomenti che non valgono a disarticolare il ragionamento posto a fondamento della decisione.
In tema di errore di cui all'art. 47 c.p., il dubbio su una circostanza di fatto che costituisce elemento essenziale della fattispecie criminosa non è di per sé sufficiente ad escludere il dolo in quanto dubbio ed errore sono categorie diverse.
Mentre l'errore determina il convincimento circa l'esistenza di una situazione che non corrisponde alla realtà, chi agisce nel dubbio è, al contrario, consapevole di potersi esporre a violare la legge, cosicché il compimento dell'azione comporta l'accettazione del rischio nella causazione dell'evento, concretizzando così una forma di responsabilità a titolo di dolo eventuale (Sez. 3, 37837 del 06/05/2014, M. e altri, Rv. 260257).
Ebbene, per la specifica vicenda processuale deve annotarsi che l'art. 47 c.p. dispone che l'errore su norma extrapenale esclude la punibilità quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato (comma 3).
Deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per "legge diversa dalla legge penale", ai sensi dell'art. 47 c.p., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale o da questa non richiamata, neppure implicitamente.
L'ignoranza dovuta a errore nell'interpretazione della norma penale non può essere considerata inevitabile quando tale interpretazione sia tutt'altro che confusa e caotica, non sia oggetto di particolari difficoltà, e l'errore circa l'esistenza e la portata della disposizione incriminatrice possa essere evitato con la normale diligenza. (Applicazione in tema di inadempimento dell'obbligo di denuncia di un'arma comune da sparo) (Sez. l,n. 3601 del 28/09/1992, rv. 192538).
La reiterazione della denuncia della disponibilità delle armi è sorretta da motivi di ordine pubblico che esigono che sia garantita all'Autorità la chiara conoscenza, oltre che del luogo di detenzione, della persona del detentore dell'alma. Costui, invero, deceduto il primo e originario denunciante, ben potrebbe essere persona priva dei requisiti psico-fìsici che consentono la disponibilità di armi e munizioni.
Correttamente, pertanto, la Corte distrettuale ha ritenuto che colui che viene in possesso di armi o munizioni, pure per successione ereditaria, è tenuto agli obblighi della denuncia prevista dalla legge (anche quando tale obbligo sia stato assolto dal suo dante causa). Da ciò consegue la responsabilità dell'erede in caso di omessa denuncia della disponibilità delle armi (cfr. in termini: Cass. Sez. I", sent. n. 11595 del 23.10.1986, Squillacioti; Sez. 1", sent. n. 1210 deN'11.2.1984, Colocucci; Sez. 1", sent n. 11158 del 19.12.1981, Francesca).
Nella vicenda oggetto d'esame non v'è un errore su norma extrapenale che si riverbera sul fatto, provocando un errore sul fatto-reato.
La B. ha, infatti, agito accettando l'eredità con benefìcio d'inventario e ha sostanzialmente apposto il beneficio anzidetto all'accettazione, al fine di produrre gli effetti tipici di essa accettazione e di tenere separati civilisticamente i due patrimoni. Ciò con lo scopo di non rischiare di subire, all'evidenza, aggressioni patrimoniali, da parte dei creditori del de cuius e così dimostrando di essere a conoscenza piena della finalità dell'istituto e del perimetro della sua operatività.
Lo scopo dell'accettazione non era, pertanto, quello di legittimare la detenzione dell'alma, aspetto che connota la struttura del fatto e rispetto al quale non si è prodotto alcun errore sul fatto che costituisce reato ai sensi dell'alt. 47 c.p., comma 3. Nè risulta che, nel caso di specie, possa parlarsi di un dubbio sulla applicabilità del benefìcio di inventario.
Ciò proprio per il tipo di accettazione posta in essere che imponeva formalità costitutive (atto pubblico) e adempimenti necessari, come l'inventario, aspetti che non avrebbero potuto indurre equivoco sul contenuto dell'atto, sulla sua finalità e sui suoi effetti.
L'azione posta in essere era caratterizzata, pertanto, da rappresentazione e volizione del fatto tipico e, pertanto, da dolo, essendosi l'imputata rappresentata e avendo voluto, nella sostanza, una condotta pienamente conforme alla detenzione dell'arma stessa senza aver richiesto e ottenuto autorizzazione dalla pubblica Autorità. Nessun dubbio sussiste, pertanto, sulla tipicità e sulla relativa volizione.
Nè occorre per la sussistenza della colpevolezza la coscienza anche del cd. profilo di antigiuridicità della fattispecie o di antisocialità dell'azione.
Là dove la ricorrente avesse ignorato l'obbligo di denuncia o non avesse conosciuto i doveri che gravano sul soggetto (anche iure ereditario) che entra nella disponibilità delle armi, si sarebbe comunque generato un errore su norma penale o su disposizione "strutturalmente" implicata da essa, che ne Connota la tipicità, e che risulta ininfluente, ai sensi dell'alt. 5 c.p..
Persiste, dunque, l'aspetto doloso e ogni affermato errore o situazione di dubbio non risultano ricorrenti e, in diritto, non generano esclusione della punibilità (ai sensi dell'alt. 47 c.p.) non incidendo sul dolo nel senso anzidetto.
Si tratta, del resto, di un dolo generico, e cioè della coscienza e della volontà della condotta ovvero dell'avere l'arma a disposizione per un tempo apprezzabile, mentre a nulla rilevano i motivi dell'azione (v. Cass., Sez. 1, sent. n. 12911 del 19.12.2000, Bortoluzzi; Sez. 1, sent. n. 13662 del 28.10.1998, Borsellino).
Da quanto premesso discende che l'erede che entra nella disponibilità di armi (Sez. 1, Sentenza n. 15880 del 16/01/2007 Rv. 236207, Massime precedenti Conformi: N. 5292 del 1998 Rv. 210569 Massime precedenti Vedi: N. 13062 del 1987 Rv. 177296, N. 13662 del 1998 Rv. 212354, N. 18013 del 2004 Rv. 227978) è tenuto a rinnovare la denuncia di esse e che gravano su di lui gli stessi obblighi che gravavano sul suo dante causa. Ciò, per quanto detto, vale anche nel caso di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario.
1.3. È fondata, viceversa, la questione relativa alla mancata dichiarazione di prescrizione della contravvenzione ascritta.
Nonostante se ne faccia cenno in motivazione, infatti, non si è indicata la relativa statuizione di estinzione in dispositivo. La Corte territoriale, in ogni caso, nell'esaminare la questione e nel dichiarare la prescrizione ha, comunque, ritenuto di ridurre l'entità della pena inflitta in primo grado (mesi cinque giorni 15 di reclusione ed Euro 450 di multa), pena stimata adeguata e proporzionata ai fatti.
È pacifica l'estinzione della contravvenzione per prescrizione, essendo decorso alla data di emissione della decisione di secondo grado il termine massimo di anni cinque.
È, poi, corretto il rilievo in ricorso secondo cui, escluso un fatto-reato, che era stato originariamente unificato per continuazione, va rideterminata la pena inflitta poiché, in difetto, si realizza un indebito aumento della pena inizialmente inflitta, ciò pur in difetto dell'impugnazione del Pubblico Ministero.
Ritenuta, dunque, l'estinzione per prescrizione della contravvenzione richiamata si sarebbe dovuta eliminare la pena relativa pari a giorni 5 di reclusione ed Euro 50 di multa, inflitta in aumento per il delitto in relazione al quale è stata fissata la pena base, con conseguente rideterminazione di essa sanzione, pari a mesi cinque giorni dieci di reclusione ed Euro 400 di multa.
Alla luce di quanto premesso la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo B), perché estinto per prescrizione e, per l'effetto, va ridetermina la pena per il reato di cui al capo A, nella misura testé indicata di mesi cinque giorni dieci di reclusione ed Euro quattrocento di multa. Nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B) perché estinto per prescrizione e, per l'effetto, ridetermina la pena per il reato di cui al capo A, in mesi cinque giorni dieci di reclusione ed Euro quattrocento di multa. Rigetta nel resto il ricorso.

5 giugno 2020


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