Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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L’ingiustizia della giustizia - La Cassazione e le armi

La Cassazione sa essere grande e terribile … specialmente nel dare giudizi che contrastano con la legge, con la logica, con il buon senso, con quel senso per la giustizia delle cose che dovrebbe guidare ogni giudice il quale capisce che la giustizia non si esaurisce in surreali giochi verbali.
Ho dato la solita scorsa alle sue sentenze del 2011 in materia di armi e sono orripilato. Eccone alcune fra le più sconvolgenti.

Ai fini della configurabilità del reato di detenzione di munizioni da guerra non è necessario che esse siano atte all'impiego, dovendosi prescindere dalla loro efficienza e considerare sufficiente la loro originaria destinazione. (Sez. 1, Sentenza n. 35106 del 31/05/2011).
Lo so che non ci credete, ma per la cassazione (che purtroppo lo ha già detto più volte) la cartuccia non è una cosa concreta che può sparare e lanciare un proiettile, ma è una cosa ideale ed astratta: se un tempo, anche durante la prima guerra mondiale, un oggetto è stato chiamato cartuccia da un esercito, essa rimane cartuccia da guerra per sempre, anche traforata dalla ruggine, anche se un carro armato l’ha schiacciata; in certe sentenze ha persino affermato che anche il solo bossolo rimane parte di munizione da guerra anche se schiacciato. Ho visto una indagine su di un bossolo trasformato in un campanaccio per vacca.
E sapete da dove deriva questa oscenità? Dalle frettolosa lettura di una norma che hanno travisato! L’art. 1 della legge 895/1967 punisce chi detiene “armi da guerra o parti di esse, atte all’impiego, munizioni da guerra …. ecc.” e un primo sciocco ha fatto questo semplice ragionamento “la legge non dice mica che le munizioni devono essere efficienti”. Poi legioni di pecoroni lo hanno seguito senza farsi mai venire il dubbio di condannare innocenti per una scemenza, senza mai capire che il legislatore aveva introdotto il requisito dell’efficienza solo per le armi e le parti di armi, perché è cosa ovvia che per una munizione non vi sono vie di mezzo: o funziona o non funziona; mica si può riparare!

La clandestinità dell'arma non può ritenersi esclusa dal fatto che la stessa abbia il numero impresso sulla canna, in quanto, essendo questa una parte intercambiabile, tale numero non è elemento sufficiente per la sua identificazione. (Sez. 1, Sentenza n. 25247 del 26/05/2011).
Perché si comprenda meglio il caso, si sappia che era una doppietta composta da canna, calcio con bascula, astina. Il ragionamento alla base della decisione è di una raffinata stupidità: siccome la canna si può montare su di un’altra bascula (cosa falsa nel caso in esame!) la matricola deve essere sulla bascula perché altrimenti l’arma non può essere identificata. Ma scusatemi: se vi sono due pezzi e uno si considera intercambiabile è ovvio che anche l’altro pezzo è nelle stesse condizioni; una bascula può ricevere due canne e una canna può essere montata su due bascule diverse!
Purtroppo la sentenza dimostra anche ignoranza della legge perché la direttiva europea ha chiaramente stabilito che un’arma deve avere una sola matricola, che può essere su ogni parte essenziale.
Purtroppo la sentenza dimostra ignoranza sulla realtà perché i giudici non si sono preoccupati di informarsi: avrebbero saputo che vi sono centinaia di migliaia di canne senza matricola e di armi con la matricola solo sulla canna.
Il bello è che non hanno neppure creduto al Procuratore Generale che chiedeva l’assoluzione dell’innocente.

Rientrano nel novero delle armi bianche proprie, la cui importazione senza licenza integra il reato di cui all'art. 695 cod. pen., le "katane" giapponesi, le spade, i pugnali, le scimitarre e le tesserine rettangolari taglienti e appuntite destinate all'offesa. (Sez. 1, Sentenza n. 15431 del 24/02/2010).
La realtà non entra fra le mura fatiscenti della corte di cassazione. Da almeno vent’anni le katane non affilate sono importate e vendute come arnesi sportivi o da parata, esse sono esposte nelle vetrine dei negozi sportivi e di coltellerie, sono usate nelle palestre di arti marziali, vengono vendute a migliaia su internet, si trovano al mercatino delle pulci. Nessun ufficio di PS ha mai avuto a che ridire (giustamente) su questa situazione: tutti ormai hanno capito che la denunzia delle armi bianche è una stupidaggine, che nessuno usa sciabole o katane per commettere reati, che è passato il tempo dei duelli con la spada, che solo un imbecille crede che vi sia una differenza di pericolosità fra una sciabola (arma!) e un machete (strumento). Lo ha capito da tempo persino l’esercito che agli allievi ufficiali fa acquistare la spada, gliela fa portare con la divisa e poi gliela fa portare a casa quando si congedano. Tutti comportamenti che secondo la cassazione richiederebbero il nulla osta all’acquisto, il divieto di porto, la denunzia della spada, la condanna di chi non si adegua.
Ogni tanto poi capita l’appuntato Cacace che per fare statistica denunzia un poveretto che ha una katana e un kimono appesi nell’armadio, il giudice del Tribunale lo assolve, ma implacabile arriva la cassazione a sentenziare: “non ce ne frega nulla di ciò che succede nel mondo, non ce ne frega nulla del fatto che l’imputato non poteva sapere che il negozio sportivo non può vendere la katana; è un delinquente e va condannato”.

Il fatto più grave è che un tal modo di sentenziare è in perfetto contrasto con la Costituzione, la quale stabilisce che non si può condannare quando vi è un ragionevole dubbio sulla responsabilità dell’imputato, e con le decisioni della Corte Costituzionale la quale, fin dal 1988, ha stabilito che non può essere punito chi non si rende conto in buona fede di violare la legge (legittima ignoranza della legge penale). Ed io sfido a trovare fuori della cassazione chi potrebbe immaginare che un bossolo schiacciato è un oggetto di mostruosa pericolosità la cui detenzione giustifica una pena da uno ad otto anni di galera.

(Articolo già pubblicato su Armi e Tiro, marzo 2012)

 

 

 

 

 


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