![]()  | 
      
| 
       Home > Menu 1 > Sottomenu > Documento  | 
    back | 
E' appena uscita una interessante sentenza della Cassazione in materia di porto di coltello (Cass., sez. I Penale, sentenza n. 51393 del 13 novembre 2018).
Ecco la motivazione.
1. Con sentenza del  24/10/2017 emessa dal giudice monocratico del Tribunale di Sondrio, *** è stato  condannato alla pena di Euro 2.000,00 di ammenda per il reato contravvenzionale  ex art. 4 L. n. 110 del 1975, per avere portato fuori dalla sua abitazione  senza giustificato motivo un coltello serramanico con lama lunga 10 cm e  lunghezza complessiva di 22 cm.
  Il giudice escludeva il  giustificato motivo, rimarcando la scarsa credibilità delle giustificazioni  addotte dal *** in udienza e, comunque, la natura contravvenzionale del reato.  Riteneva non ricorrere il caso di particolare tenuità, data la natura  pericolosamente offensiva del coltello, mentre riconosceva l'attenuante del  fatto di lieve entità, e - valutate tutte le circostanze del caso - le  attenuanti generiche. 
    2. Avverso tale sentenza ha  proposto ricorso per cassazione il difensore del ***, articolando tre motivi di  gravame. 
    2.1. Inosservanza ed erronea  applicazione della legge penale e carenza e manifesta illogicità della  motivazione, con riferimento all'affermazione di responsabilità dell'imputato.
    Nella prospettazione  difensiva, il giudice avrebbe male interpretato la giustificazione resa dal ***  in merito alla detenzione del coltello - cioè la sua necessità per rimuovere  dalle gomme dei veicoli dal medesimo commerciati i sassolini e la ghiaia che si  incastrano nei solchi del copertone - affermando nell'impugnata sentenza che  "è ben poco credibile che per un lavoro di officina si usi un coltello di  quelle dimensioni", in tal modo equivocando il senso della dichiarazione  del ***, senza peraltro fornire alcuna ragione a sostegno della ritenuta poca  credibilità.
    Poiché l'assenza del  giustificato motivo è prevista come elemento di tipicità del contestato reato,  anche il dubbio circa l'esistenza del giustificato motivo si risolve in un  dubbio sull'integrazione del fatto tipico, il che avrebbe dovuto condurre  all'assoluzione dell'imputato.
    2.2. Violazione dell'art. 606  lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 131 bis cod. pen.
    Il ricorrente si duole della  mancata applicazione del disposto dell'art. 131 bis cod. pen., mentre nella  fattispecie ricorrevano tutti i presupposti di legge, sia oggettivi (contenute  dimensioni del coltello, peraltro detenuto nella tasca dei pantaloni) che  soggettivi, essendo il *** incensurato.
    Nell'impugnata sentenza non  risulterebbe che il giudice abbia compiuto una valutazione di tali profili,  essendosi limitato a escludere la ricorrenza del caso di particolare tenuità,  per una ragione - l'offensività del coltello - che è requisito intrinseco della  fattispecie contestata. 
    2.3. Violazione dell'art. 606  lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 133 cod. pen.
    Ritiene il ricorrente che il  giudice abbia applicato una sanzione eccessiva, nonostante il riconoscimento  del fatto di lieve entità e delle circostanze attenuanti generiche; tale pena -  discostandosi sensibilmente dal minimo edittale - avrebbe dovuto attivare un  onere motivazionale specifico sulle ragioni che hanno condotto il giudicante a  tale determinazione, che nella specie è stato disatteso. 
    3. Il Procuratore Generale ha  concluso chiedendo che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso.
    Considerato in diritto
    1. il primo motivo di ricorso  è infondato.
    Il giudice non ha ritenuto  convincente la dichiarazione resa dall'imputato in udienza quanto all'uso del  coltello "per tagliare i tacchetti delle gomme", ritenendo poco  credibile che per un lavoro di officina (diversamente da quanto sostenuto nel  ricorso circa la finalizzazione del coltello all'asporto di sassi e ghiaia  dalle ruote dei veicoli Piaggio) debba farsi ricorso a un attrezzo di tali dimensioni,  né l'attestazione della dimenticanza dell'oggetto in tasca è rilevante in tema  di reati contravvenzionali, puniti anche a titolo di colpa.
    Tale motivazione fornisce  adeguata ragione della ritenuta assenza di giustificato motivo per il porto del  coltello nella tasca dei pantaloni del ***. Tale valutazione costituisce  giudizio di merito sottratto al sindacato di legittimità della Corte di  cassazione se sorretta da adeguata motivazione, immune da vizi  logico-giuridici. 
    2. Risulta invece fondato il  secondo motivo di ricorso, relativo all'esclusione del beneficio ex art. 131  bis cod. pen.
    Infatti, la motivazione sul  punto valorizza soltanto la "natura pericolosamente offensiva dello  strumento", mentre è insegnamento giurisprudenziale che ai fini della configurabilità  della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto,  prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una  valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie  concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen.,  delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e  dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, sentenza n. 13681 del 25/02/2016  Rv. 266590). Tale affermazione si pone - inoltre - in evidente contrasto con il  riconoscimento sia delle circostanze attenuanti generiche sia dell'attenuante  del fatto di lieve entità. E neppure è stato considerato a tal fine il dato  dell'incensuratezza del ***.
    La sentenza deve di  conseguenza essere annullata in relazione a tale aspetto e proprio le  evidenziate considerazioni relative al riconoscimento delle circostanze  attenuanti generiche e della lieve entità del fatto, nonché il rilievo  dell'incensuratezza dell'imputato, consentono - ai sensi dell'art. 620, comma  1, lett. c) cod. proc. pen. - di riconoscere la causa di non punibilità  invocata e di disporre, per tale ragione, l'annullamento senza rinvio.
    Resta assorbito l'ultimo  motivo.
    P.Q.M.
    Annulla senza rinvio la  sentenza impugnata perché l'imputato non è punibile per particolare tenuità del  fatto.
NOTA
    L'art. 131-bis del C.P., inserito dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 ha  introdotto nel nostro ordinamento la esclusione  della punibilità per particolare tenuità del fatto stabilendo: 
    Nei reati per i quali è prevista la pena  detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria,  sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le  modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai  sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il  comportamento risulta non abituale.
    L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma,  quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in  danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle  condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della  stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali  conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
    Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato  delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più  reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato,  sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che  abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
    Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non  si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge  stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle  ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo  comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui  all'articolo 69.
    La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la  particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.
    La Cassazione ha fatto buon uso di questa norma ed ha  "salvato il salvabile" di una posizione in cui essa non poteva più valutare  il merito, ma solo questioni di diritto.
    E nel merito il giudice monocratico  (parola inutile per dire che  giudicava il Tribunale, ma composto da una  persona sola; scemenza italiana in cui  ci  si è inventato che il tribunale -  organo,  come dice il nome, composto da tre persone - può essere composto da una sola  persona; una specie di mistero della trinità giudiziario!) non ha fatto buon  uso della logica giuridica. Egli ha scritto che l'imputato non era credibile  quando diceva di aver portato il coltello per fare dei lavori sulle gomme della  sua macchina; quindi ha giudicato secondo un suo pensiero non si sa bene basato  su che cosa: il giudice ha mai lavorato in una officina meccanica, ha mai fatto  il gommista? Chi se ne frega di che cosa egli crede! Un giudice deve giudicare  sui fatti provati, non sulle opinioni sue o di altri. E nel dubbio sui fatti ha  il dovere di assolvere, non di condannare in base alla sua opinione su ciò che  è probabile o improbabile! Le condanne non si affibbiano con valutazioni a braccio,  ma con le certezze. 
    Nel caso in esame l'imputato aveva fornito un  "giustificato motivo" che non era al di fuori di ogni logica, e direi  che il giudice avrebbe dovuto valutare se un soggetto che si inventa una scusa  va a cercare una cosa così particolare invece di dire una cosa più banale e più  comprensibile per le menti semplici.
    Inoltre avrebbe dovuto considerare che la legge non può  richiedere una prova impossibile; se esco di casa per compiere una determinata  azione con uno strumento, ad esempio per raccogliere rami per una composizione floreale,  è chiaro che fino a che non ho tagliato un ramo non potrò mai provare che  portavo il coltello proprio a tale scopo.   Perciò, in base al principio della presunzione di innocenza, il  cittadino che espone un giustificato motivo deve essere creduto fino a prova  contraria e non è vi è nessuna norma o principio in cui si dica che in mancanza  di prove in materia penale il giudice decide in base alla sua esperienza; la  nostra legge presume, ahimè, che il giudice sia esperto di legge, e non che si  esperto di coltelli ed altri strumenti.
    Cosa che del resto deve valere anche per la polizia  giudiziaria che spesso si improvvisa    consulente tecnico del giudice, fa valutazioni psicologiche, balistiche,  ricostruisce fatti più o meno con la stessa competenza di un giornalista. Sta  al giudice capace di capire che la prova penale è cosa ben diversa dalle  opinioni.
18-11-2018
| Sitemap: in Italiano | auf Deutsch | in English | | 
| http://www.earmi.it - Enciclopedia delle armi © 1997 - 2003 |