Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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Burka sì, burka no

Le notizie sull'uso del burka (copricapo che copre l'intero viso salvo una fessura per gli occhi) in Italia propongono un'immagine surreale della realtà: sindaci che lo vietano o lo autorizzano, bagnini che invocano il regolamento del loro stabilimento balneare o della loro piscina, ministri dell'interno che fanno finta di non conoscere la legge (o non la conoscono proprio), ridicoli richiami alla liberta di pensiero e di religione e così via.
La realtà è molto più semplice: in Italia la legge vieta in modo inequivoco l'uso del burka. Lo dicono due articoli:
- L'art. 83 del TULPS: È vietato comparire mascherato in luogo pubblico. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa  da euro 10 a euro 103. È vietato l'uso della maschera nei teatri e negli altri luoghi aperti al pubblico, tranne nelle epoche e con l'osservanza delle condizioni che possono essere stabilite dall'autorità locale di pubblica sicurezza con apposito manifesto.
- L'art. 5 della L. 22 maggio 1975, n. 152: È vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo.  È in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino. Il contravventore è punito con l'arresto da uno a due anni e con l'ammenda da 1.000 a 2.000 euro. Per la contravvenzione di cui al presente articolo è facoltativo l'arresto in flagranza.
Non si tratta perciò di una norma fascista, ma di una norma del 1975 che, per ragioni di sicurezza pubblica, ribadisce e rende più severa  la precedente. Chiaramente dal 1931 in poi i pericoli per la sicurezza erano aumentati.
La giurisprudenza ha sempre confermato che il principio della libertà di pensiero e di libertà religiosa non può consentire a nessuno di violare la legge; ciò sarebbe in contrasto con il superiore principio di eguaglianza.
Questa impostazione è stata condivisa dalla Corte europea per i diritti dell'uomo nella decisione del 13 novembre 2008 (ric. Shingara Mann Singh contro la Francia) in cui si discusse se un sikh poteva pretendere di usare per la carta di identità una foto con il turbante; in essa si è stabilito che l'articolo 9 della Convenzione sui diritti umani non protegge qualsiasi atto motivato o ispirato da una religione o convinzione . Inoltre, non garantisce sempre il diritto di comportarsi nel modo dettato da una convinzione religiosa e non conferisce agli individui che agiscono in tal modo il diritto di sottrarsi a norme che si sono rivelate giustificate. Il Consiglio di Stato italiano si è sempre adeguato a questa normativa; ad es. con decisioni del 2010 e del 2012.
Quindi in Italia mascherare il volto con il burka o altri veli in luogo pubblico o aperto al pubblico è reato e ogni agente di PS o di polizia giudiziaria ha l'obbligo di intervenire per impedire e sanzionare il reato fino a che la legge non sia modificata o abolita. Allo stato della normativa il burka può essere portato solo in luoghi privati; se chi lo porta vuole fare il bagno deve crearsi adeguati spazi, come i nudisti.
Il problema a è del tutto diverso per l'uso del burkina (costume da bagno che ricopre tutto il corpo, salvo il viso, come una tuta da sommozzatore). Se è consentito alle suore o ai sommozzatori girare con solo il viso scoperto, è ovvio che lo può fare chiunque; basta che la persona sia riconoscibile. Proprio non si spiega, salvo che con la rudimentalità del pensiero di troppi politici e giornalisti, perché se la siano presa con un iman che ha osato dire una cosa così ovvia.
La discussione perciò non potrà mai vertere sul fatto se si possa o meno girare in pubblico con il burka, ma solo se sia o meno il caso di modificare la legge. L'orientamento internazionale è di non consentire riti religiosi in contrasto con i principi generali dei singoli sistemi giuridici. I riti religiosi primitivi (e sono primitivi tutti i riti antichi) possono essere cruenti, degradanti, o imposti a bambini e giovani incapaci di opporsi.  Forte, ad esempio, è l'opposizione ai metodi di uccisione tradizionale degli animali. In Polonia non è più legale la macellazione rituale, caratteristica dell’ebraismo e dell’islam. La Corte Costituzionale polacca ha stabilito di recente che le pratiche kosher e halal rappresentano una violazione dei diritti non in linea con gli standard, anche europei, sull’abbattimento degli animali (in realtà non è vero, si è solo dato spazio alle esagerazioni animaliste). Negli Stati Uniti si cerca di vietare  la circoncisione praticata ancora da sette ortodosse le quali prevedono che il celebrante succhi il sangue dal pene del  bambino, spesso provocandogli infezioni. L'ONU stessa ha dovuto intervenire contro la pratica dell'infibulazione.
È quindi chiaro che ogni paese ha dei canoni morali, etici, giuridici che sono ben più importanti, nella scala dei diritti, del diritto alla libertà di religione il quale è nato per impedire conversioni forzate o discriminazioni degli "infedeli" e non certo per consentire ad ognuno di affermare che in nome della religione può mettersi contro l'ordine sociale in cui vive, ad es. violando il principio di parità dei sessi o le norme di sicurezza e sanitarie. Libertà di religione vuol dire libertà di credere in qualunque cosa, ad es. essere vegani o animalisti, ma non di fare qualsiasi cosa in nome della religione;  il pensare non interferisce con i diritti altrui, l'agire interferisce sempre e incontra il limite supremo dei diritti altrui.
Capisco che talvolta potrebbe essere utile consentire certi usi, quando è certo che non creano alcun pericolo o danno (ad es. se si vogliono ricevere ricchi turisti sauditi con le loro mogli tutte imburkate), ma bisogna trovare una soluzione normativa che regoli la questione, non si può ignorare la legge o cercare di aggirare la legge sparando puttanate.
Ciò che disgusta è proprio l'incapacità di affrontare i problemi in modo serio e coerente; di fronte all'ormai certo fenomeno dello spostamento verso l'Europa  di imponenti masse di disperati, nessuno decide  se bisogna aprire le porte o chiuderle, nessuno decide chi può essere accolto e chi deve essere respinto, nessuno decide come controllare questi "ospiti", come mantenerli, come garantire la società da persone che non conoscono le nostre leggi e i principi della nostra civiltà, per noi ormai istintivi, che hanno un diverso rapporto fra i sessi, con la famiglia, con gli animali, come garantire che portino via agli italiani lavoro e assistenza sociale e sanitaria, che non importino terrorismo e delinquenza etnica, fanatismo e usi tribali, ecc. ecc.
I politici seguono l'onda e si fanno forti di un buonismo di facciata, buono per vivere alla giornata e per raccontare quattro balle agli elettori: noi salviamo vite umane, noi integriamo tutti, noi rispettiamo i principi supremi, i problemi sono allo studio, gli arabi vanno tenuti buoni perché altrimenti ci mettono le bombe, bisogna aiutali a casa loro (ma quale sarà mai il paese dove si possono dare soldi senza farli mangiare al dittatore di turno?), facciano tutto quel che vogliono perché si devono sentire come a casa loro. ecc. ecc. Ma non ce n'è uno che si chiede "ma se andiamo a casa loro come siamo accolti? Possiamo essere cristiani? Le donne possono far vedere i piedi nudi?
È chiaro che ormai, parafrasando il motto della Cavalleria, i politici nostrani, per incapacità o viltà, hanno già "gettato il culo oltre l'ostacolo" e che, come Enrico IV, hanno accettato l'idea che "Parigi val bene una messa (in c…)". Purtroppo a prenderlo è solo l'Italia!
 


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