Le notizie sull'uso del burka (copricapo che copre
l'intero viso salvo una fessura per gli occhi) in Italia propongono
un'immagine surreale della realtà: sindaci che lo vietano o lo
autorizzano, bagnini che invocano il regolamento del loro stabilimento
balneare o della loro piscina, ministri dell'interno che fanno finta di
non conoscere la legge (o non la conoscono proprio), ridicoli richiami
alla liberta di pensiero e di religione e così via.
La realtà è molto più semplice: in Italia la legge vieta in modo
inequivoco l'uso del burka. Lo dicono due articoli:
- L'art. 83 del TULPS: È vietato comparire mascherato in luogo
pubblico. Il contravventore è punito con la sanzione
amministrativa da euro 10 a euro 103. È vietato l'uso della
maschera nei teatri e negli altri luoghi aperti al pubblico, tranne
nelle epoche e con l'osservanza delle condizioni che possono essere
stabilite dall'autorità locale di pubblica sicurezza con apposito
manifesto.
- L'art. 5 della L. 22 maggio 1975, n. 152: È vietato l'uso di caschi
protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il
riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico,
senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l'uso predetto
in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o
aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso
comportino. Il contravventore è punito con l'arresto da uno a due anni
e con l'ammenda da 1.000 a 2.000 euro. Per la contravvenzione di cui al
presente articolo è facoltativo l'arresto in flagranza.
Non si tratta perciò di una norma fascista, ma di una norma del 1975
che, per ragioni di sicurezza pubblica, ribadisce e rende più
severa la precedente. Chiaramente dal 1931 in poi i pericoli per
la sicurezza erano aumentati.
La giurisprudenza ha sempre confermato che il principio della libertà
di pensiero e di libertà religiosa non può consentire a nessuno di
violare la legge; ciò sarebbe in contrasto con il superiore principio
di eguaglianza.
Questa impostazione è stata condivisa dalla Corte europea per i diritti
dell'uomo nella decisione del 13 novembre 2008 (ric. Shingara Mann
Singh contro la Francia) in cui si discusse se un sikh poteva
pretendere di usare per la carta di identità una foto con il turbante;
in essa si è stabilito che l'articolo 9 della Convenzione sui diritti
umani non protegge qualsiasi atto motivato o ispirato da una religione
o convinzione . Inoltre, non garantisce sempre il diritto di
comportarsi nel modo dettato da una convinzione religiosa e non
conferisce agli individui che agiscono in tal modo il diritto di
sottrarsi a norme che si sono rivelate giustificate. Il Consiglio di
Stato italiano si è sempre adeguato a questa normativa; ad es. con
decisioni del 2010 e del 2012.
Quindi in Italia mascherare il volto con il burka o altri veli in luogo
pubblico o aperto al pubblico è reato e ogni agente di PS o di polizia
giudiziaria ha l'obbligo di intervenire per impedire e sanzionare il
reato fino a che la legge non sia modificata o abolita. Allo stato
della normativa il burka può essere portato solo in luoghi privati; se
chi lo porta vuole fare il bagno deve crearsi adeguati spazi, come i
nudisti.
Il problema a è del tutto diverso per l'uso del burkina (costume da
bagno che ricopre tutto il corpo, salvo il viso, come una tuta da
sommozzatore). Se è consentito alle suore o ai sommozzatori girare con
solo il viso scoperto, è ovvio che lo può fare chiunque; basta che la
persona sia riconoscibile. Proprio non si spiega, salvo che con la
rudimentalità del pensiero di troppi politici e giornalisti, perché se
la siano presa con un iman che ha osato dire una cosa così ovvia.
La discussione perciò non potrà mai vertere sul fatto se si possa o
meno girare in pubblico con il burka, ma solo se sia o meno il caso di
modificare la legge. L'orientamento internazionale è di non consentire
riti religiosi in contrasto con i principi generali dei singoli sistemi
giuridici. I riti religiosi primitivi (e sono primitivi tutti i riti
antichi) possono essere cruenti, degradanti, o imposti a bambini e
giovani incapaci di opporsi. Forte, ad esempio, è l'opposizione
ai metodi di uccisione tradizionale degli animali. In Polonia non è più
legale la macellazione rituale, caratteristica dell’ebraismo e
dell’islam. La Corte Costituzionale polacca ha stabilito di recente che
le pratiche kosher e halal rappresentano una violazione dei diritti non
in linea con gli standard, anche europei, sull’abbattimento degli
animali (in realtà non è vero, si è solo dato spazio alle esagerazioni
animaliste). Negli Stati Uniti si cerca di vietare la
circoncisione praticata ancora da sette ortodosse le quali prevedono
che il celebrante succhi il sangue dal pene del bambino, spesso
provocandogli infezioni. L'ONU stessa ha dovuto intervenire contro la
pratica dell'infibulazione.
È quindi chiaro che ogni paese ha dei canoni morali, etici, giuridici
che sono ben più importanti, nella scala dei diritti, del diritto alla
libertà di religione il quale è nato per impedire conversioni forzate o
discriminazioni degli "infedeli" e non certo per consentire ad ognuno
di affermare che in nome della religione può mettersi contro l'ordine
sociale in cui vive, ad es. violando il principio di parità dei sessi o
le norme di sicurezza e sanitarie. Libertà di religione vuol dire
libertà di credere in qualunque cosa, ad es. essere vegani o
animalisti, ma non di fare qualsiasi cosa in nome della
religione; il pensare non interferisce con i diritti altrui,
l'agire interferisce sempre e incontra il limite supremo dei diritti
altrui.
Capisco che talvolta potrebbe essere utile consentire certi usi, quando
è certo che non creano alcun pericolo o danno (ad es. se si vogliono
ricevere ricchi turisti sauditi con le loro mogli tutte imburkate), ma
bisogna trovare una soluzione normativa che regoli la questione, non si
può ignorare la legge o cercare di aggirare la legge sparando puttanate.
Ciò che disgusta è proprio l'incapacità di affrontare i problemi in
modo serio e coerente; di fronte all'ormai certo fenomeno dello
spostamento verso l'Europa di imponenti masse di disperati,
nessuno decide se bisogna aprire le porte o chiuderle, nessuno
decide chi può essere accolto e chi deve essere respinto, nessuno
decide come controllare questi "ospiti", come mantenerli, come
garantire la società da persone che non conoscono le nostre leggi e i
principi della nostra civiltà, per noi ormai istintivi, che hanno un
diverso rapporto fra i sessi, con la famiglia, con gli animali, come
garantire che portino via agli italiani lavoro e assistenza sociale e
sanitaria, che non importino terrorismo e delinquenza etnica, fanatismo
e usi tribali, ecc. ecc.
I politici seguono l'onda e si fanno forti di un buonismo di facciata,
buono per vivere alla giornata e per raccontare quattro balle agli
elettori: noi salviamo vite umane, noi integriamo tutti, noi
rispettiamo i principi supremi, i problemi sono allo studio, gli arabi
vanno tenuti buoni perché altrimenti ci mettono le bombe, bisogna
aiutali a casa loro (ma quale sarà mai il paese dove si possono dare
soldi senza farli mangiare al dittatore di turno?), facciano tutto quel
che vogliono perché si devono sentire come a casa loro. ecc. ecc. Ma
non ce n'è uno che si chiede "ma se andiamo a casa loro come siamo
accolti? Possiamo essere cristiani? Le donne possono far vedere i piedi
nudi?
È chiaro che ormai, parafrasando il motto della Cavalleria, i politici
nostrani, per incapacità o viltà, hanno già "gettato il culo oltre
l'ostacolo" e che, come Enrico IV, hanno accettato l'idea che "Parigi
val bene una messa (in c…)". Purtroppo a prenderlo è solo l'Italia!