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CONSIGLIO DI STATO N. 1799/2023. NON CI RIMANE CHE PIANGERE!... (A. Vicari)

In considerazione dell’aumento dei ricorsi contro i provvedimenti di divieto di detenzione di armi (art. 39 T.U.L.P.S.), si ha la sensazione che, dopo le direttive del Ministero finalizzate a ridurre  le licenze di porto d’armi per difesa, si sia passati a sollecitare l’applicazione dell’art. 39 per togliere dalla circolazione il massimo numero di armi legalmente detenute.
Infatti, in questi ultimi tempi, abbiamo letto sentenze dei giudici amministrativi con le quali è stata riconosciuta la legittimità di provvedimenti prefettizi di divieto di detenzione di armi per i più strani motivi (TAR Campania, n. 4753/2021, per la omessa custodia di un coltello; Cons. St. n. 8522/2022 per sparo a scopo intimidatorio, ma con licenza per uso sportivo, anziché per difesa).
Ma se fino ad ora abbiamo sorriso a leggere tali motivazioni, adesso ci viene da piangere. In particolare ci viene da piangere nel leggere la sentenza del Consiglio di Stato n. 1799/2023.
Un cittadino, titolare di licenza di porto di pistola sin dal 1996, si è visto rifiutare il rinnovo, sia per la mancanza del requisito del dimostrato bisogno, si per due precedenti penali a carico concernenti il mancato versamento dei contributi previdenziali e la violazione delle norme igieniche all’interno dell’esercizio commerciale. Sia il TAR Campania che il Consiglio di Stato hanno ritenuto il provvedimento di rifiuto del Prefetto legittimo. Ma, non vogliamo entrare nel merito del rifiuto del rinnovo della licenza di porto d’armi.
Invece, suscita non poco stupore l’apprendere che, sia il Tar, che il Consiglio di Stato hanno riconosciuto anche la legittimità del divieto di detenzione di armi, quale conseguenza di tale rifiuto, avendo stabilito che è legittima la determinazione dell’autorità prefettizia di disporre, in ragione del denegato rinnovo, il ritiro delle armi detenute, trattandosi della logica conseguenza di quanto previsto dall’art, 39 T.U.L.P.S., nonché dell’atto di ritiro della licenza (TAR Campania) e che il ritiro cautelare dell’arma risponde all’esigenza di impedire che chi non sia più autorizzato al possesso dell’arma continui a detenerla (Cos. St.).
Ci si stupisce ancora di più quando si riesce a capire che il giudice amministrativo ha riconosciuto legittima, non solo l’applicazione dell’art. 39 quale conseguenza esclusiva del rifiuto del porto per difesa, ma anche e soprattutto la procedura seguita per l’esecuzione di tale divieto; infatti, tale intervento non è stato effettuato previa emissione del provvedimento prefettizio, ma con la procedura d’urgenza prevista dal secondo comma dell’art. 39, introdotto dal D.L.vo n. 121 del 2013, che autorizza gli ufficiali e agenti di P.S, nei casi d’urgenza a provvedere di propria iniziativa, senza alcuna preventiva autorizzazione, all’immediato ritiro cautelare delle armi, dandone immediata comunicazione al Prefetto.
Di fronte a tali determinazioni non ci rimane che piangere, essendo costretti a constatare che, oramai, nell’italica culla del diritto, quest’ultimo si è addormentato definitivamente.
Pur riconoscendo la difficoltà di districarsi nella giungla delle norme sulle armi, è mai possibile che l’Autorita’ di pubblica sicurezza e gli stessi Giudici amministrativi non siano a conoscenza della differenza che intercorre tra la denuncia di detenzione e la licenza di porto?
 Possibile che non sappiano che la denuncia di detenzione (art. 38) è una semplice presa d’atto o, meglio, una semplice dichiarazione, con la quale si porta a conoscenza l’Autorità del possesso di armi, legittimandone automaticamente la detenzione (circolare 25 giugno 1998)?
Possibile che non sappiano che la licenza di porto, vera e propria autorizzazione di polizia (art. 42), che legittima il porto di armi fuori della propria abitazione e pertinenze, non ha nulla a che vedere con la detenzione, siccome tra le due previsioni normative non intercorre alcuna relazione?
Possibile che non sappiano che la normativa non impedisce di detenere legalmente un’arma (art. 38), anche senza licenza di porto?
Possibile che non sappiano che il provvedimento di divieto di detenzione armi (art. 39) non può basarsi sull’unica logica conseguenza del rifiuto del rinnovo della licenza di porto d’armi, ma su ben altri motivi che facciano ragionevolmente presupporre il pericolo di abuso delle armi?
Possibile che non sappiano che il legislatore, inserendo il comma 2 nell’art. 39, ha voluto solo normare la prassi per l’intervento d’urgenza per il ritiro delle armi ad iniziativa degli Ufficiali e Agenti di p.s., anche in assenza di un preventivo provvedimento prefettizio, ma non certo per togliere le armi a chi non ha avuto il rinnovo della licenza di porto, peraltro ipotesi fantascientifica per la quale non si può ravvisare nessuna urgenza di intervenire.
Purtroppo, è possibile che chi dovrebbe sapere, non sappia, con danno solo a carico del cittadino.
Quindi, si riesce a capire come, non essendo conosciute queste regole elementari della normativa sulle armi, si possa arrivare a stabilire che: se a un cittadino viene rifiutata la licenza di porto, logica conseguenza di tale mancato rinnovo è che non può piu’ detenere l’arma, per cui si provvede d’urgenza ad inviare le Forze di polizia per il ritiro cautelare.
Nello stendere un velo pietoso su tale decisione, c’è da augurarsi che altri Prefetti non seguino questo indirizzo e che il Ministero non voglia inserire anche questo orientamento del Consiglio di Stato nella circolare del 25 novembre 2020, in aggiunta a quelli già richiamati per l’applicazione dell’art. 39.
Mala tempora currunt!....

Firenze  28 febbraio 2023                                ANGELO VICARI

NOTICINA di E.M.:

A piangere sulle sentenze dei giudici italiani, di ogni settore, ci sarebbe da risolvere il problena della siccità!. Diceva Nietzsche "Il dio Pan è morto!" Forse intendeva il dio della Giustizia. Dalle sentenze emerge un quadro di incapacità, di ignoranza, di inadeguatezza, di impreparazione, che non consente di fare altro che piangere. Che noin capiscano molto del fatto è notorio e spesso pare che neppure lo abbiano letto, ma il colmo è che insistano a non leggere norme che non hanno mai letto. E' evidente che vanno ad orecchio, che la legge non la cercano nella gazzetta ufficiale, ma nelle sentenze  che hanno già scritto i loro predecessori.  Già si può cominciare a piangere per il momento in cui inizieranno ad usare l'intelligenza artificiale. Questa è fatte per consentire alle persone intelligenti di avere nuove idee; è deleteria in mano ai cretini che spegneranno il cervello e diventeranno i servi sciocchi di macchine prive si sentimenti e di elasticità e di quella cosa indefinibile che è la cultura. Ricordiamoci che la logica diventa spesso brutale e crudele e che da sola non può portare alla giustizia. E' la base del diritto e ciò spiega perché sia cosi difficile avere giustizia.

 

Ecco il testo della sentenza:

N. 01799/2023REG.PROV.COLL.
N. 00142/2022 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 142 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Caliendo, Paolo Cantile, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
U.T.G. - Prefettura di Napoli, non costituito in giudizio; Ufficio Territoriale del Governo Caserta, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Caserta e di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con il ricorso di primo grado l’odierno appellante ha impugnato i provvedimenti con cui la Prefettura di Caserta ha respinto la richiesta di rinnovo del porto di pistola per difesa personale, disponendo altresì il ritiro delle armi detenute.
In particolare, l’interessato, -OMISSIS-, era titolare della citata licenza sin dal 1996, in ragione dell’attività -OMISSIS-.
La Prefettura di Caserta ha comunicato i motivi ostativi al rinnovo della licenza, evidenziando la mancanza del requisito del “dimostrato bisogno” ex art. 42 T.U.L.P.S. e riscontrando due precedenti penali a carico dell’istante, concernenti, rispettivamente, il mancato versamento di contributi previdenziali e la violazione delle norme igieniche all’interno di un esercizio commerciale.
Infine, ritenute irrilevanti ai fini del rinnovo del titolo le osservazioni scritte depositate dall’appellante, la Prefettura ha respinto l’istanza in forza delle circostanze fattuali indicate nel preavviso di rigetto.
Avverso il suddetto diniego, l’istante ha proposto ricorso innanzi al T.A.R. Campania – Napoli, deducendo l’illegittimità dell’atto per molteplici profili.
Con il primo motivo di gravame, il ricorrente ha sostenuto la contraddittorietà del diniego nonché la carente istruttoria posta a fondamento del decreto impugnato, in quanto l’Autorità prefettizia, in ragione dei precedenti reiterati rinnovi, avrebbe dovuto far riferimento alle ragioni che avrebbero comportato il venir meno della necessità di munirsi di un’arma, essendo stata quest’ultima ritenuta sussistente dalla medesima Autorità nei precedenti rinnovi a fronte di condizioni di pericolo rimaste, a suo dire, immutate.
Con la seconda censura, il ricorrente ha contestato l’illogicità motivazionale del gravato decreto, nella parte in cui non ha considerato la situazione di pericolo e di rischio connessa all’attività del richiedente sufficiente ai fini del rinnovo del titolo, attesa la possibilità di ricorso a sistemi di pagamento che escludono i rischi cui si riconnette la materiale consegna del denaro.
Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato l’illegittimità della determinazione prefettizia di disporre, in ragione del denegato rinnovo, il ritiro delle armi detenute, che tuttavia dovrebbe seguire all’adozione del divieto di detenere armi e munizioni che, nella specie, non è stato adottato.
Infine, il ricorrente ha censurato il giudizio di inaffidabilità che, a suo dire, avrebbe formulato l’Amministrazione sulla base del richiamo dei precedenti penali che hanno attinto l’interessato.
Il T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto il ricorso.
Nel dettaglio, la pronuncia ha affermato che:
a) l’autotutela può essere consentita soltanto nei casi di estrema necessità, con la conseguente eccezionalità del rilascio o del rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale;
b) nel caso di istanza di rinnovo del titolo in questione, l’Amministrazione compie una valutazione attuale degli interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che, al momento del rinnovo, potrebbe essersi verificato un mutamento delle esigenze di salvaguardia dell’ordine pubblico, rispetto a quelle esistenti in fase di rilascio della licenza;
c) l’art. 42 del T.U.L.P.S. non prevede alcun aggravio motivazionale in caso di diniego del rinnovo della licenza, considerato che l’onere della prova in merito all’esistenza del “dimostrato bisogno” di detenere armi grava in capo al privato, trattandosi di un’eccezione alla regola generale secondo cui la tutela dell’incolumità pubblica è rimessa alle forze dell’ordine;
d) in ragione dell’eccezionalità della previsione, è da escludersi che il rinnovo del titolo possa avvenire automaticamente, facendo leva sull’assenza di precedenti penali, sull’appartenenza ad una determinata categoria, o sullo svolgimento di una peculiare attività, essendo al contrario necessario che ricorra una concreta ed attuale esigenza di circolare armati.
Applicando i predetti principi al caso concreto il T.A.R. ha rilevato che:
- l’Amministrazione ha svolto un controllo attuale sulla persistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge, compiendo una riconsiderazione discrezionale sulla stessa opportunità del permanere del titolo autorizzatorio;
- la semplice rappresentazione di un pericolo potenziale connesso alla professione esercitata dal ricorrente non costituisce ragione sufficiente per l’ottenimento del porto di pistola per difesa personale;
- è legittima la determinazione dell’autorità prefettizia di disporre, in ragione del denegato rinnovo, il ritiro delle armi detenute, trattandosi della logica conseguenza di quanto previsto dall’art. 39 T.U.L.P.S., nonché dell’atto di ritiro della licenza;
- il diniego di rinnovo del porto d’armi è un atto plurimotivato, di cui è stata accertata la legittimità, per cui non è necessario esprimersi sulla ulteriore censura relativa al giudizio di inaffidabilità del ricorrente per i risalenti precedenti penali da cui era stato gravato.
La sentenza è stata impugnata dall’appellante, che ha reiterato le doglianze proposte con il ricorso, sia pure limitatamente ai capi della sentenza relativi alla determinazione prefettizia di disporre il ritiro delle armi detenute e al giudizio di inaffidabilità asseritamente formulato dall’Amministrazione in ragione dei risalenti precedenti penali da cui era stato gravato.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio, senza articolare difese.
Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Secondo la tesi di parte appellante, la pronuncia resa dal T.A.R. sarebbe erronea nella parte in cui ha confermato la legittimità del ritiro cautelare delle armi, disposto in conseguenza del diniego di rinnovo del titolo autorizzatorio.
L’appellante sostiene che il ritiro cautelare dell’arma, disciplinato dall’art. 39, comma 2, del T.U.L.P.S. possa seguire esclusivamente all’adozione del divieto di detenere armi e munizioni di cui all’art. 39, comma 1, del T.U.L.P.S., non potendo invece essere disposto a seguito del diniego di rinnovo del porto d’armi per difesa personale.
La censura non è suscettibile di positivo apprezzamento.
Come noto, il d.lgs. 29 settembre 2013, n. 12, ha introdotto il comma 2 del citato art. 39 del T.U.L.P.S., il quale prevede espressamente che «nei casi d’urgenza gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare dei materiali di cui al primo comma, dandone immediata comunicazione al Prefetto».
La disposizione in esame consente alla Pubblica Amministrazione, per l’esigenza di gestire l’urgenza, di procedere al ritiro cautelare dell’arma e ciò senza necessità di adottare preventivamente il provvedimento di divieto di detenzione di armi e munizioni.
Da quanto precede deriva il carattere generale della misura in esame, che non necessariamente deve seguire l’adozione di un divieto di detenzione di armi e munizioni e che, peraltro, non si fonda neppure sui medesimi presupposti in presenza dei quali viene adottato il provvedimento inibitorio cui si è fatto cenno.
Il ritiro cautelare dell’arma risponde infatti all’esigenza di impedire che chi non sia più autorizzato al possesso dell’arma continui a detenerla, essendo sul punto irrilevante la specifica ragione per la quale il titolo autorizzatorio è venuto meno.
La censura veicolata con il secondo motivo di gravame è, invece, inconferente.
Va infatti rilevato che la questione controversa non attiene al giudizio di inaffidabilità del soggetto, ma alla sussistenza o meno del dimostrato bisogno dell’arma imposto ai fini del rilascio del porto di pistola per difesa personale dall’art. 42 del T.U.L.P.S. Sul punto, l’appellante nulla dice in ordine alle circostanze che giustificherebbero il rilascio del porto di pistola per difesa personale.
Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
La condanna al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio segue la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento di euro 500,00 (cinquecento/00) in favore ell’Amministrazione appellata, per spese e onorari del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

Michele Corradino

 

 

 

 

 

 

 


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