Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
    torna indietro
 

Home > Menu 1 > Sottomenu > Documento

back

Acquisto di armi per successione - Angelo Vicari

ACQUISTO DI ARMI PER SUCCESSIONE

    Nell’immaginario collettivo la parola  successione  viene automaticamente associata a quella di morte; quest’ultima collegata a fine, con la illogica conseguenza di cercare di cancellare questi termini dal vocabolario quotidiano, esorcizzandoli. Infatti, in una società tutta protesa verso il futuro e che, oramai, non sa più vivere il presente, dove tutto ciò che si sviluppa intorno all’individuo tende a fargli sempre più credere di essere immortale, è umanamente  conseguenziale, anche se illogico, che ognuno di noi neghi categoricamente la verità ed attualità del sillogismo aristotelico gli uomini sono mortali; Socrate è un uomo; Socrate è mortale.
    Purtroppo questo atteggiamento di chiusura totale nei confronti del nostro limite temporale che, grazie a Dio, è l’unica certezza/verità rimasta al mondo e che, come una livella riposiziona tutti sullo stesso piano, si ritorce contro i nostri familiari.
    Infatti, se, almeno qualche volta, pensassimo che nudi siamo venuti e che nudi ce ne andremo, potremmo evitare un sacco di problemi ai nostri congiunti. Purtroppo questi problemi si ingigantiscono quando si ereditano armi.
 Si ritiene che, effettivamente, vi siano difficoltà nella regolarizzazione di armi ereditate, problematiche di frequente aggravate dagli stessi addetti ai lavori che, invece, avrebbero il compito di risolverle. Infatti, spesso, a chi si presenta agli sportelli degli Uffici e Comandi competenti per conoscere la procedura da seguire, viene richiesta, tra l’altro, anche la dichiarazione di cessione da parte di eventuali altri eredi, se non addirittura la copia del testamento. Inoltre, capita di sentirsi dare  il consiglio di consegnare le armi per la distruzione, così da evitare complicazioni burocratiche!..... Quest’ultimo consiglio quasi sempre viene espresso senza che sia neppure stato fatto un accertamento sulla natura delle armi in questione. Infatti, sarebbe necessario ricordare che nessuna incombenza burocratica spetta all’erede che venga a trovarsi in possesso di armi disattivate (art. 5, D.L.vo n. 204/2010), ad aria compressa di debole potenza (non superiore a 7,5 joule; D.M. 9 agosto 2001 n. 362), di simulacri di armi a salve, di armi antiche che siano inidonee a recare offesa per difetto ineliminabile della punta o del taglio, ovvero dei congegni di lancio o di sparo (art. 5, L. 21 febbraio 1990, n. 36), di spade o spadini senza filo né punta ( Circolare 17 gennaio 2020), di coltelli o pugnali, non classificabili armi bianche perché senza punta e lama a doppio filo (Cass. n. 20146/2023).
    Spesso i problemi vengono creati anche dagli stessi eredi, sempre convinti che l' arma sia di gran valore e pronti a litigare come se dovessero dividersi dei diamanti. Così la procedura di regolarizzazione si blocca e la Polizia o i Carabinieri sono costretti a ritirare ed a custodire le armi anche per anni. Attività che dovrebbe essere retribuita.
    Accade che persino dei curatori fallimentari depositino le armi dei falliti negli Uffici e Comandi; comportamento illegittimo perché il fallito può continuare a detenerle e, se non ha l’abitazione idonea alla custodia, il giudice fallimentare può ordinarne il deposito presso il Tribunale o la vendita urgente, nonché disporne la custodia da parte di soggetto idoneo e retribuito.
    Al riguardo deve essere chiaro che nessuna norma prevede che Polizia o Carabinieri siano tenuti ad accollarsi l'onere dalla custodia di armi  solo perché gli eredi non si accordano sulla loro destinazione. Diverso è il caso in cui il soggetto che viene a trovarsi in possesso di armi alla morte del parente o convivente non dia affidamento di non abusarne, o quando, in mancanza di eredi, le armi non siano custodite con modalità protetta; in queste particolari situazioni Polizia o Carabinieri hanno l’obbligo di intervenire ritirando e depositando le armi presso i propri Uffici o Comandi, secondo la procedura di cui all’art. 39 del TULPS, così come integrato dal D.L.vo n. 121/2013.  
    Invece, quando le Forze di polizia rilevino un reato, il codice di procedura penale stabilisce che le armi devono essere sequestrate e custodite in Tribunale, cosa che avviene, ad esempio, per denunzia di omessa custodia, tenendo presente che possono essere sequestrate solo le armi che non siano state custodite con diligenza, ma non tutte le armi detenute.
    Purtroppo, manca una normativa che disciplini la situazione che si crea subito dopo la morte del detentore, nella quale anche dei soggetti, che possono essere non autorizzati a detenere armi, si trovano a disporne; peraltro la burocrazia ha dei tempi che non consentono di acquisire l'autorizzazione alla detenzione in pochi giorni.
Ciò premesso il problema della gestione delle armi di un defunto e di acquisto delle armi per successione è risolvibile applicando, con buon senso, le norme sull’acquisto e detenzione di armi, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza.
    In merito occorre osservare prima di tutto le norme penali e di PS:
- l'art. 38 del TULPS prevede che chiunque detiene armi, deve farne denuncia entro 72 ore successive all’acquisizione della loro materiale disponibilità, alla Polizia o ai Carabinieri;
- l’art. 39 del TULPS stabilisce che il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione di armi alle persone ritenute capaci di abusarne (c.1) e che nei casi d’urgenza gli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare delle armi, dandone immediata comunicazione al prefetto (c.2);
- l'art 20 Legge 110/75 stabilisce poi che: la detenzione delle armi deve essere assicurata con ogni diligenza (c.1) e che  chiunque rinvenga un'arma o parti di essa è tenuto ad effettuarne immediatamente il deposito presso l'ufficio locale di pubblica sicurezza o, in mancanza, presso il più vicino comando dei carabinieri che ne rilasciano apposita ricevuta(c.2);
- l'art. 697 c. 2 del C.P. punisce chiunque, avendo notizia che in un luogo da lui abitato si trovano armi o munizioni, omette di farne denuncia all'autorità.
    Come si vede una serie di norme volte a garantire che l'autorità di PS sappia sempre e tempestivamente dove si trovano le armi e chi abbia l'obbligo di custodirle. La denunzia delle armi non è fine a se stessa, ma assicura anche che vi sia sempre un soggetto obbligato alla loro custodia.
    La finalità di queste norme è la salvaguardia della sicurezza pubblica, che si realizza attraverso il costante monitoraggio e controllo da parte delle Forze di polizia di coloro che sono detentori di armi e munizioni, imponendo agli stessi di denunciarne la materiale disponibilità, indipendentemente del modo in cui ne vengano in possesso. Quindi, tale obbligo, riguarda anche qualsiasi soggetto che, alla morte di un parente, affine o convivente, si trovi materialmente a detenere armi, seppur già denunciate, per un periodo di tempo apprezzabile, che, però, decorre dal momento in cui egli abbia i dati sufficienti per valutare il problema, vale a dire in cui capisce che detiene oggetti che sono soggetti a denunzia.
    L’errore piuttosto frequente di eredi e conviventi di non considerarsi obbligati alla denuncia, nasce dal falso presupposto che confonde il concetto della proprietà in senso civilistico e secondo il diritto successorio, con quello della detenzione temporanea di tali oggetti particolari, regolamentato dal TULPS.
    Infatti, il delitto di detenzione illegale (artt. 10 e 14 L 497/ 1974), conseguenziale all’omesso obbligo di denunzia di detenzione (art. 38 TULPS), si realizza con la materiale disponibilità di un arma, indipendentemente dal fatto che il nuovo detentore sia erede e che, quindi, acquisti la proprietà per successione.
    La situazione di fatto  può essere alquanto variegata, perché il defunto:
  a - viveva da solo e non aveva eredi, né conviventi;
  b - aveva più eredi;
  c - aveva conviventi, non eredi;
  d - la presenza di armi  era nota, o meno, agli eredi o ai conviventi;
  e – aveva eredi o conviventi, ma non affidabili, perché ritenuti capaci di abusare delle armi.
    Tali particolari situazioni di fatto, possono essere risolte e regolarizzate con l’applicazione di quanto previsto dalle norme sopra riportate (artt. 38 e 39 TULPS, art. 20 L. 110/1975, art. 697, c. 2, C.P.).
    Questa distinzione è importante  perché gli obblighi in relazione alle armi legalmente detenute variano a seconda della conoscenza che i parenti o conviventi del defunto abbiano circa la presenza delle armi nella sua abitazione.
    Infatti, si deve tener conto di un importate dato giuridico: la detenzione illegale di armi è un delitto e perciò il reato viene commesso solo in presenza di dolo; non è sufficiente la colpa. Perciò non è sufficiente che un soggetto si trovi a detenere l'abitazione in cui vi siano armi per far scattar l'obbligo della denunzia è bensì necessario che egli sappia che ci sono armi e che sappia che sono armi soggette a denunzia da parte di chi si ritrova a detenerle. Il termine di 72 ore per la denunzia delle armi decorre dal momento in cui egli ha la precisa conoscenza di detenere tali armi. Chi conviveva con il defunto, di regola ha visto le armi, ma gli altri eredi possono averne solo una conoscenza indiretta e non attuale. Inoltre, ben è possibile che il nuovo detentore ignori completamente le norme che regolano le armi (norme che è tenuto a conoscere bene chi se le procura e non chi accidentalmente si ritrova ad  essere giuridicamente  il detentore) e perciò si deve ritenere che, se non ottempera, lo faccia solo per uno scusabile errore sul fatto e sulla legge e non per dolo.
    Chi abbia la consapevolezza che l'arma del defunto, che si ritrova in casa, sia soggetta a denuncia  deve provvedere a comunicare al più presto il fatto alla PS e, se è legittimato ad acquistare armi, può denunziarne il possesso, e di conseguenza assumere l’onere della custodia; ciò non significa che ne diventi il proprietario, perché rimangono impregiudicate le questioni civilistiche. Una cosa è certa: in caso di successione, chi è tenuto a fare denuncia di detenzione, ai sensi dell’art. 38 del TULPS, non diventa automaticamente proprietario delle armi in senso civilistico, ma il loro custode; poco importa se intende tenersele o dividerle con gli altri eredi.
    Se l’interessato rientra fra gli eredi del defunto, ma non vuole o non può detenere l'arma, e nessun altro erede si fa avanti  per reclamarla, può cederla ad un terzo. Il danaro incassato dovrebbe essere conferito alla massa ereditaria, ma è cosa che non riguarda le Forze di polizia. Un erede può disporre di beni dell'eredità, senza il consenso dei coeredi, con l'unica conseguenza che, facendo ciò, egli accetta l'eredità e rinunzia al beneficio d'inventario.
    Infine, l'art. 697 C.P. regola il caso speciale, considerato meno grave, di armi trovate nella casa in cui si abita. Ovvio che deve trattarsi di armi detenute illegalmente, perché altrimenti la loro esistenza è già nota alle Autorità, e che non vi deve essere stato concorso nel reato di detenzione illegale delle stesse.  Ricordiamo che per l'art. 348 C.P., i prossimi congiunti (art. 307 C.P.) non sono tenuti a denunziare fatti che possono ledere il proprio onore o far incriminare un congiunto o lederne l'onore e che non sono obbligati a testimoniare contro di lui. Si potrebbe anche giungere a sostenere che in certi casi il rinvenimento di armi illegali (ad es. destinate alla criminalità) è fatto che potrebbe ledere l'onore del parente che le rinviene!
    In merito alla risoluzione delle problematiche nascenti a seguito dell’acquisto di armi per successione, anche la giurisprudenza può venire in aiuto. Infatti, quella della Corte di Cassazione è sempre stata costante nell’affermare che l'obbligo della denunzia riguarda chiunque, indipendentemente dal fatto che abbia, o meno, un rapporto di parentela o di affinità con il defunto.
    La Suprema Corte, evidenziando che lo scopo della norma è quello di mettere l’Autorità locale di polizia in grado di conoscere quante e quali armi si trovino, ed in possesso di chi, entro il territorio di propria competenza, ha riconosciuto l’obbligo della denuncia anche a carico degli eredi di un’arma già denunciata Tale indirizzo è stato ribadito con sentenze n.7959 del 4/10/1984  n. 10295 del 7/11/85 precisando che, quando un’arma faccia parte del compendio di un asse ereditario non ancora suddiviso, l’obbligo della denuncia di possesso non spetta a tutti gli eredi bensì al soggetto, che potrebbe anche essere diverso dagli eredi, che materialmente ne ha la disponibilità per un periodo di tempo apprezzabile.
    Dello stesso tenore le sentenze n.9817 del 1990, n.680 del 1996, n.5382 del 1997, nonché la n.18013 del 24 marzo 2004, con la quale è stato ribadito che il delitto di illecita detenzione di arma comune da sparo si perfeziona con la disponibilità dell’arma e non già con la proprietà in senso civilistico della stessa, sicché lo commette anche colui che, pur non essendo erede del legittimo detentore, continui ad abitare, pur dopo la sua morte, nella casa dove l’arma si trovi, quindi anche da chi non abbia nessun rapporto di parentela con il defunto (non dimentichiamoci del requisito del tempo apprezzabile della permanenza nell’abitazione dopo la morte del proprietario, necessario per far scattare l’obbligatorietà della denuncia, che non può certo riguardare il badante che sia rimasto alcuni giorni nella casa, magari a richiesta degli stessi eredi, per sistemare le cose). Tale obbligo è previsto anche per gli eredi che non abitino nella casa dove sono custodite le armi (Cass. n. 20896/2015).  La Cassazione si dimentica regolarmente la necessità di valutare anche l'elemento soggettivo del reato; ciò perché si è trascinata dietro le decisioni in cui l'omessa denunzia era solo una contravvenzione, punibile anche per sola colpa!
    Né basta la sola accettazione con beneficio di inventario a sollevare l’erede dall’obbligo della denuncia, siccome quest’ultimo, pur accettante con beneficio d’inventario, ai fini penali, avendone la disponibilità materiale, non può esimersi dagli obblighi di denuncia (Cass. n.15199/2020; Mori, in questo sito, Povera cassazione. Come ti castigo la vedova, 2020).
    Anche di recente la Cassazione ha confermato tale orientamento secondo il quale l’obbligo della denuncia di detenzione incombe a chiunque detiene armi, a prescindere dal titolo di acquisto della proprietà e del fatto che il dante causa avesse, o meno, denunciato la detenzione delle armi (Cass. n. 5943/2023), sempreché la persona che entra nel possesso dell’abitazione del defunto sia consapevole della esistenza delle armi.
    Alla luce di quanto sopra appare di chiara evidenza che, in caso di successione, l’erede o altro soggetto che si trovi nella materiale disponibilità di un’arma, per un tempo apprezzabile, deve procedere alla denuncia di detenzione della stessa, senza aspettare nessun consenso di eventuali altri eredi, sia in presenza di testamento o meno, non costituendo tale denuncia né una appropriazione, né atto idoneo a creare diritti o pretese sull'arma, in senso civilistico. Di conseguenza si dovrà fare resistenza ad eventuali richieste degli addetti ai lavori che, al momento della presentazione della denuncia di detenzione, pretendano anche l’assenso di altri eredi o la copia del testamento o la denunzia di successione.
Diverso è il caso in cui, in presenza di più eredi, chi provvede alla denuncia non voglia detenere le armi e decida di versarle per la distruzione; in tal caso sarebbe opportuno, ma non obbligatorio, avvisare anche gli altri altri eredi, al dine di evitare il sorgere di faide parentali. Non essendo obbligatorio tale assenso è evidente che chi decide per la distruzione, in assenza della volontà degli altri eredi, potrà essere chiamato da questi ultimi a risarcire il danno subito, in particolare ove si tratti di armi antiche di un certo valore.
    Anche il Ministero ha avuto modo di precisare che chi acquista la proprietà per successione potrà decidere se versare l’arma per la distruzione, detenerla o cederla a terzi, fermo restando che, se non può essere rilasciato il nulla osta all’acquisto, l’arma deve essere ceduta a altri versata per la rottamazione (Circolare 19 luglio 2004).
    Ove si tratti di armi non regolarmente detenute dal defunto (capita ad esempio che non abbia denunziato un trasloco) non si potrà procedere alla semplice denuncia di successione, ma alla procedura più complessa della denuncia di rinvenimento di armi di cui all’art. 20 della legge 110/75. Le armi, come oggetto di reato, verranno sequestrate e poi confiscate dal giudice. L'erede, talvolta, non è in grado di sapere se le armi siano meno denunziate o in regola. Perciò deve rivolgersi all'ufficio competente per sapere come procedere.
    Per quanto riguarda il rispetto del termine temporale delle 72 ore per presentare la denuncia (art. 38 TULPS), in particolare quando non si sia in possesso di titoli legittimanti, tenuto anche in debito conto la particolare situazione personale in cui viene a trovarsi l’erede alla morte di un congiunto, è chiaro che esso è stato previsto per trasferimenti  a persone già legittimate all'acquisto e che è improponibile quando questo soggetto manca  e quando è noto che ci vogliono alcuni mesi per espletare la pratica per il nulla osta all'acquisto.
    Nella prassi il problema è stato risolto facendo fare la denunzia di detenzione delle armi ad un soggetto che contemporaneamente fa richiesta del nulla osta, Ciò sembra non risolvere il problema che le armi vengano affidate ad una persona di cui non è stata controllata l'idoneità psichica, ma in realtà il sistema ha previsto anche questa ipotesi e l'ha ben regolata.
È da ricordare che il legislatore, al fine di venire incontro a coloro che desiderano continuare a detenere armi del defunto al solo scopo affettivo, ha stabilito che La licenza per la collezione di armi ha carattere permanente e può essere rilasciata anche per una sola arma comune da sparo quando l'interessato non intenda avvalersi della facoltà di detenere l'arma e il relativo munizionamento, per farne uso, previa la denuncia di cui all'articolo 38 della legge. (art.3 D.P.R. 28 maggio 2001,n. 311). Quindi è superfluo richiedere le usuali certificazioni.
È auspicabile che tale saggia disposizione venga doverosamente applicata per la denuncia di detenzione, che è attività senz'altro meno problematica della collezione. Infatti, quando un soggetto dichiari di voler detenere l’arma ereditata a solo scopo affettivo e quindi di non voler usufruire della funzionalità della stessa, sarebbe oltremodo ragionevole da parte degli addetti ai lavori, non richiedere la defatigante dimostrazione della capacità tecnica e della idoneità psichica, riportando nella stessa denuncia, ai sensi dell’art. 9 del TULPS, l’obbligo di non detenere alcun tipo di munizionamento (come previsto dalla circolare 21 luglio 1993, che avrebbe bisogno di essere ribadita). Con questa soluzione si potrebbe anche evitare la presentazione quinquennale del certificato medico per l'idoneità psichica.
    Infine, è inoltre auspicabile un intervento del legislatore per favorire il lavoro delle Forze di polizia, le quali spesso si trovano a dover gestire nei propri Uffici e Comandi la detenzione e custodia di armi rinvenute, ritirate a richiesta degli eredi, o d’ufficio,  talvolta persino consegnate da sprovveduti curatori fallimentari. Purtroppo, attualmente, non vi sono disposizioni normative che, a fronte dell’inerzia dei diretti interessati, permettano una soluzione adeguata dei lunghi tempi del deposito. Una soluzione potrebbe trovarsi con una integrazione dell’art. 39 del TULPS, in analogia alla procedura prevista per le armi ritirate per pericolo di abuso, stabilendo che, quando si tratti di armi depositate negli Uffici e Comandi a qualsiasi titolo, delle quali non venga indicata la destinazione dai diretti interessati, trascorsi 150 giorni dal provvedimento del Prefetto con il quale si diffida a provvedere, si può procedere alla confisca e alla distruzione di quanto depositato.
     Nell’attesa di questo improbabile intervento del legislatore, si potrebbe ipotizzare di inserire nei verbali di deposito temporaneo delle armi, presso gli Uffici e Comandi, l’obbligo dei depositanti di provvedere entro un termine certo, oltre il quale le armi non regolarizzare vengono avviate alla distruzione. Tale ordine, impartito ai sensi dell’art. 650 C.P., è un ordine dato per ragioni di pubblica sicurezza, penalmente tutelato e non richiede altri provvedimenti attuativi. Ovviamene va motivato come ogni atto amministrativo e  si deve indicare che esso può essere impugnato di fronte al TAR.
    Per concludere un consiglio: considerato che gli uomini sono mortali, che siamo uomini e, quindi, non immortali,  è del tutto opportuno pensare a non lasciar grane ai nostri cari, di solito ben poco interessati agli aspetti non patrimoniali delle armi. Quindi è opportuno cedere in vita le armi che non interessano ai figli o  intestare loro le armi, se sono interessati; ed è  opportuno allegare alle denunce di armi un pro memoria nel quale si spieghi che cosa si deve fare in caso di successione.
Speriamo che serva il più tardi possibile, ma una cosa è certa, prima o poi servirà!........

Firenze 22 dicembre 2023


torna su
email email - Edoardo Mori top
  http://www.earmi.it - Enciclopedia delle armi © 1997 - 2003 www.earmi.it